Viva la FifaGerrard non va a svernare: lo avrebbe fatto in Serie A

Gerrard non va a svernare: lo avrebbe fatto in Serie A

A tutti quelli che sono tornati ora dalle ferie (ah, beati) e che stanno tornando sui social dopo il riposo, forniamo una doverosa precisazione: Steven Gerrard non è morto. È vivo e lotta ma non più insieme al Liverpool. He’ll never walk alone, ma al di là dell’Oceano. In un campionato che ormai non più solo un cimitero per elefanti.

E così, le precisazioni diventano due. Negli ultimi giorni, il messaggio passato soprattutto attraverso molti tweet è sembrato uno solo: la morte sportiva di Gerrard, capitano storico del Liverpool. Quello che da piccolo veniva immortalato dallo zio con il trofeo del Championship in maglia Everton, ma che ha incarnato l’anima dei Reds, dall’esordio ancora giovanissimo fino alla pazza notte di Istanbul e finendo con uno scivolone che è costato una Premier mai vinta. E giù con i ritratti, le lacrime virtuali, i saluti. Certo, non vedere più Stevie G a Anfield fa effetto. Così come può fare effetto non vederlo andare in un’altra big del calcio europeo. Lo sa lui stesso, ci soffre davvero, quando spiega che «È la decisione più difficile della mia vita. Lascio la Premier League».

Ma basta grattare un po’ la superficie, per scoprire che la Mls, il campionato di calcio di Usa e Canada, non è più solo un dorato auto-declassamento, il buen retiro lontano dagli stress dei tabloid e di una Champions e una Premier che non regalano più soddisfazioni. Le stesse che ora Gerrard può trovare in Mls, nei Los Angeles Galaxy. Ovvero, nel club più titolato del campionato  (#FirstToFive, ricorda il loro account Twitter). Il primo a portare una stella assoluta del calcio europeo, come David Beckham. Quando lasciò Madrid per la California, partì il funerale sportivo dello Spice Boy. Giocatore finito, marchetta coi tacchetti. Beckham è andato, ma mica in una bara piena di sponsor. Ha giocato e vinto in Mls, concedendosi pure qualche allenamento con l’Arsenal durante la pausa del campionato e – addirittura – alcuni mesi in prestito nel “campionato più bello del mondo”, con la maglia del “club più titolato al mondo”. Accadeva nel 2009/2010.

Ed è qui il perno sul quale far ruotare la questione-Gerrard, per vederla da un’altra prospettiva. Questa: la Mls sta diventando una lega attraente e competitiva. Mentre il cimitero degli elefanti si sta spostando in pianta stabile qui da noi. Ma forse non tutti lo hanno ancora compreso bene. «Quest’abitudine, questo vizio di accogliere stelle al tramonto, dimostra che non è cambiato molto dai tempi di Pelè e Beckenbauer. Cercare miti stanchi conferma la dipendenza dalla propria indole hollywoodiana: se hai già vinto un Oscar vendiamo meglio il prossimo film», spiegava qualche giorno fa un articolo di Repubblica sull’addio di Gerrard al Liverpool.

Diciamo che ne è passato di tempo, da quando le stelle del calcio europeo andavano ad arrotondare lo stipendio nelle leghe d’oltreoceano. I soldi muovono i giocatori e li convincono a salire su aereo, ma non a smettere. Successe proprio a quel Franz Beckenbauer citato da Repubblica. Il difensore tedesco con una vita sportiva al Bayern se ne andò a giocare nei New York Cosmos nel 1977, pochi mesi dopo il suo secondo Pallone d’Oro. Per il Kaiser non fu la fine, visto che tre anni tornò in Germania Ovest, all’Amburgo. Ma chi va, può anche decidere di restare e chiudere la carriera più che degnamente. Chiedere a Marco Di Vaio, salutato da una standing ovation dai tifosi del Montreal Impact, alla sua ultima da calciatore.

Già, i tifosi. Ce ne sono. Tanti e appassionati. E fanno cose che in Italia non si vedono da anni, decenni. Come a Seattle, dove i supporters dei Sounders organizzano (con tanto di programma sul sito del club) la March to the match verso lo stadio. Cori, bandiere, sciarpe: una festa. La stessa che si vede a Toronto, dove il Bmo Field fa spesso il pieno. Lo stadio, ultimato nel 2007 per 62 milioni di dollari, può contenere fino a 20mila spettatori e rappresenta  – per l’amministrazione cittadina proprietaria dell’impianto ma non solo – un investimento non casuale, accompagnato dagli sforzi del club, autore di una poderosa campagna acquisti di un anno fa, quando in Canada arrivarono Jermain Defoe dal Tottenham e Michael Bradley dalla Roma. Proprietaria della franchigia è la Toronto Maple Leaf Sport e Spettacolo (MLSE), di cui nel giugno 2007 è stato nominato capo Tim Leiweke, l’uomo considerato l’architetto del trasferimento di David Beckham al Los Angeles Galaxy nel 2007. 

 https://www.youtube.com/embed/rHdyXOPp-2w/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Beckam e i Galaxy come modello iniziale, dunque, dal quale la Msl ha imparato per poi proseguire con varie modalità. A New York sono arrivati gli arabi. Il proprietario del Manchester City, lo sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan, ha deciso di entrare nel mercato statunitense del soccer, fondando la terza squadra della Grande Mela. Il New York Football Club, che farà il suo debutto nella Major League Soccer nel 2015,nascerà grazie alla compartecipazione della Yankee Global Enterprises, società proprietaria della celebre squadra di baseball dei New York Yankees. Un investimento di circa 100 milioni di dollari (di cui quasi 80 messi da Mansur) che consentirà allo sceicco di attirare nuovi sponsor, ma anche nuovo pubblico. Che andrà in nuovo stadio, così come farà il Dc United di Erick Thohir (riuscirà a fare lo stesso con l’Inter?).

Nuovi impianti per un pubblico crescente, che vivrà il prossimo campionato con Gerrard che dividerà il campo con Kakà, Lampard (che nel frattempo è al City, ma a New York hanno tappezzato la città con le sue foto giganti), David Villa. Date ai tifosi un prodotto ben studiato, con stadi nuovi e interpretato da gente che vuole correre, non finire la carriera e basta. Chissà se a Vidic, Evra, Cole e a molti dirigenti dei nostri club (e della Federcalcio) staranno fischiando le orecchie.

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