Sassuolo, Parma, Carpi, Bologna, Modena. Tutte in rigoroso ordine di classifica. No, non quella di vivibilità del “Sole 24 Ore” (anche se non c’è bisogno di questa, per sapere che qui si vive bene). L’ordine è quello stabilito dal nostro pallone. Ed è un ordine nuovo, che vede il distretto della ceramica come espressione del miglior calcio emiliano in circolazione, a discapito di un Parma che ad oggi naviga a vista timonato da un gruppo di nuovi proprietari russi-ciprioti di cui poco si sa ancora. O di un Bologna che è passato a Joe Tacopina dopo mille traversie.
Ma restano i Crociati il punto di riferimento del calcio emiliano moderno. Gli scudetti del Bologna sono un ricordo sbiadito nel tempo, mentre le coppe del Parma sono storia più recente. Clamorosa. E stupire sembra essere la parola d’ordine. Il Carpi non è mai stato in Serie A e per ora è primo in B con 9 punti sulla seconda, mentre il Sassuolo si è già salvato al primo anno tra i grandi ed ora viaggia verso la seconda permanenza in A. Viene quindi da chiedersi: i neroverdi sono il nuovo Parma? Ed è in Emilia che si annida la vera rinascita del nostro pallone?
Per anni, il Parma Calcio è stato considerato un modello. Un gioiellino, come la sua azienda proprietaria, la Parmalat. Ma a vederlo oggi, più che un modello è stata l’estensione di una tradizione: quella dell’uomo solo al comando, che compra la squadra di calcio per affermare una forma di potere personale. A gestire il tutto, a Parma, era Callisto Tanzi, che negli anni Sessanta era partito da un piccolo caseificio per allargarsi fino ad arrivare, negli anni Ottanta, ad aprire stabilimenti anche fuori dal parmense. Nel 1984, la Parmalat sbarcò a Nusco, in provincia di Avellino. Fu una scelta strategicamente agghiacciante: lo stabilimento distava a 40 chilometri dal casello autostradale più vicino. Ma Nusco era il paese di Ciriaco De Mita e alla Democrazia Cristiana, per un verso o per l’altro, conveniva spesso dire di sì. Tanto che lo stesso De Mita, divenuto presidente del Consiglio, fece emanare nel 1989 una legge ad hoc sulla produzione di latte a lunga conservazione, che servì alla Parmalat per commercializzarlo a livello nazionale.
Tomas Brolin con la maglia del Parma, in finale di Coppe Coppe ’93 (Getty Images Sport)
L’anno, nel 1990, l’occasione per Tanzi di affermare ancora di più la propria immagine arrivò con la promozione del Parma in Serie A. Da qui, i primi clamorosi successi. Al primo anno nella massima serie, il Parma arrivò sesto e va in Coppa Uefa. L’anno dopo conquistò la prima Coppa Italia, quindi la Coppa delle Coppe a Wembley. Gli anni Novanta sono stati gli anni dei gialloblu, prima del crac Parmalat del 2003 e della rifondazione del club, che ha rivissuto l‘onta della B e che ora è ultimo in A.
Sulla via Emilia, però, il calcio non è tramontato. A Sasol in pochi anni si sono ritrovati invasi di taccuini e telecamere. Stavolta non per il distretto della ceramica, che tra Sassuolo e Scandiano ha chiuso il 2014 con un fatturato di 4 miliardi di euro, di cui 3,2 derivati dalle esportazioni. L’interesse dei media stavolta è stato per il pallone. Mentre Tanzi cominciava a spiegare agli inquirenti il mega buco da 14 miliardi di euro del suo gioiellino, a Sassuolo il bergamasco Giorgio Squinzi prendeva in mano il Sassuolo Calcio. La sua Mapei, azienda leader nel mondo per produzione di materiali chimici per l’edilizia (come gli adesivi per pavimenti in ceramica), era già stata sponsor della squadra negli anni Ottanta. Ma per fare il grande salto, era necessario un impegno più diretto nella squadra. E quale sport migliore del calcio, mentre il ciclismo lottava disperato contro il doping e il team Mapei cominciava a disimpegnarsi dal mondo delle bici dopo anni di successi.
«Non smettere di pedalare» è da anni il motto di Squinzi, che la passione della bici l’ha ereditata dal padre, con il quale ha fondato la Mapei negli anni Settanta, dopo la laurea in chimica industriale. L’azienda di famiglia, di pedalare non ha smesso mai, crescendo nel tempo grazie alla sinergia con il distretto della ceramica e con l’espansione all’estero: è del 1978 l’apertura di uno stabilimento in Canada. La dimensione internazionale permane tuttora: delle 59 fabbriche del gruppo, solo 9 sono in Italia.
Viene facile da dire che la mentalità dell’azienda è stata trasportata nella controllata Sassuolo. Ma i fatti dicono anche che il modello Sassuolo, così come strutturato, oscilla tra il vecchio modello all’italiana, fatto di aziende forti alle spalle, uomini soli al comando, politica, plusvalenze e il nuovo, dove comandano stadi e giovani.
Nel tentativo di unificare i due modelli, Squinzi ha investito nel club puntando su due aspetti: know-how e infrastrutture. Dal tecnico Eusebio Di Francesco a Simone Zaza, passando per l’acquisto dello stadio di Reggio Emilia, eredità della Reggiana di Franco Dal Cin e ribattezzato Mapei Stadium. Del vecchio modello, è sopravvissuta la gestione finanziaria. Come nel caso della Parmalat, la Mapei è sponsor e ammortizzatore economico della squadra. Il bilancio 2013 del Sassuolo, anno della storica promozione in Serie A, ha visto il club incamerare 20 milioni di euro, di cui 14 dall’azienda di Squinzi. Roba che se il Sassuolo fosse in Europa, farebbe alzare più di un sopracciglio agli ispettori della Uefa, in ottica Fair Play Finanziario. La Mapei viene usata per assicurare l’equilibrio economico del club, oltre che per le fidejussioni per la campagna acquisti. E sul calciomercato, si innesta un’altra buona fetta del vecchio modello gestionale del Sassuolo. Quello legato alle plusvalenze: 9 milioni di euro quella generata dalla cessione di Berardi alla Juventus, oltre ai 15 che ci vogliono per prelevare Zaza, titolare nell’Italia di Conte (e primo neroverde a giocare in Nazionale maggiore). E poi ci sono i nomi d’esperienza, da Consigli a Missiroli. Nomi non grandissimi, ma adatti alla causa. Un po’ come lo erano i vari Di Chiara, Pin, Melli ai tempi del Parma, che addirittura in Nazionale portò gente ai Mondiali.
Simone Zaza, primo neroverde convocato in Nazionale maggiore (Claudio Villa/Getty Images Sport)
A fare da legante tra il vecchio e il nuovo c’è anche la politica. Se Tanzi prediligeva la vecchia e cara Balena Bianca, a Sassuolo già due anni fa girava la voce che se Graziano Del Rio, all’epoca primo cittadino di Reggio Emilia eletto con il Pd, fosse andato a fare il ministro a Roma, Squinzi avrebbe portato la squadra a giocare allo stadio ex “Giglio”. Uno stadio che Squinzi ha rilevato dal Tribunale di Reggio, che lo aveva preso in carico dal fallimento della Reggiana, all’asta per 3,8 milioni di euro. Il Sassuolo è così diventato il secondo club professionistico in Italia ad avere in patrimonio un immobile come uno stadio di proprietà, il che ne rafforza la solidità economica e ne assicura introiti. E poi, sulla via della gestione moderna, ci sono i giovani. Nell’attuale Campionato Primavera, il Sassuolo è terzo nel girone B, subito dopo le due corazzate Inter e Milan e davanti a club esperti nella crescita dei giovani come Cesena e Atalanta.
Il tutto pensato per il salto di qualità: «Ci sono tutte le condizioni per fare bene anche grazie alla scelta di puntare su calciatori giovani e italiani, che permette alle Squadre Nazionali di attingere dalla rosa neroverde», ha spiegato Conte dopo la visita alla squadra prima delle vacanze natalizie. Ma bisogna fare presto. A Carpi la squadra locale, dopo due anni di B, è in corsa per la A. Anche qui, un uomo solo al comando: Stefano Bonacini, capo di Gaudì, azienda leader nel settore abbigliamento. Un’altra modenese che vuole fare il Parma.