Islam, istruzioni per l’uso

Islam, istruzioni per l’uso

Oltre alle vittime della violenza nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato kasher di Parigi, ce n’è un’altra, ed è proprio l’Islam. Dopo le uccisioni nel cuore di Parigi in nome di Allah, la convivenza già esistente tra noi e i musulmani, 1,7 milioni in Italia, oltre 15 milioni in Occidente, rischia di sgretolarsi e trasformarsi in diffidenza. Mentre stavamo imparando a conoscere cosa c’era dietro veli e moschee, le 16 uccisioni nel cuore di Parigi sono un duro colpo al dialogo e all’integrazione di chi vive nelle nostre città, prega Allah, ma non pensa di uccidere nessuno. «L’immagine simbolo dell’attacco a Charlie Hebdo è quella di uno degli attentatori che spara al poliziotto già a terra», spiega Stefano Allievi, sociologo autore de Islam italiano. Viaggio nella seconda religione del Paese. «Quel poliziotto a terra era un musulmano, certamente più praticante del terrorista, da quello che sappiamo, e molto integrato, tant’è che vestiva la divisa di poliziotto. Da questa immagine simbolo non viene fuori uno scontro tra Islam e Occidente, Islam ed Europa, ma uno scontro tra due modi diversi di vedere la stessa cosa». 

Partiamo dall’abc. Si può parlare di un solo Islam?
Non si può parlare di un unico Islam a livello mondiale. Così come non c’è un Islam europeo e non c’è neanche un unico Islam nello stesso Paese. È come dire che esiste un unico Cristianesimo. Esistono differenze culturali, linguistiche e dottrinali. I marocchini non sono turchi, i turchi non sono pakistani. Basti pensare che esistono quattro diverse scuole giuridiche. 

Cosa sta accadendo nel mondo musulmano?
L’immagine simbolo dell’attacco a Charlie Hebdo è diventata quella di uno degli attentatori che spara al poliziotto già a terra. Non tutti sanno che anche il poliziotto a terra era anche lui musulmano, certamente più praticante del terrorista da quello che sappiamo e molto integrato, visto che era un poliziotto. Il quotidiano Libero ha usato questa immagine in prima pagina titolando “Questo è l’Islam”, magari senza neanche sapere che si trattava di un musulmano contro un musulmano. Da questa immagine si vede chiaramente che non c’è uno scontro tra l’Islam e l’Occidente o l’Islam e l’Europa, c’è uno scontro all’interno della comunità musulmana tra due modi diversi di vedere la stessa cosa. D’altronde le guerre peggiori sono le guerre fratricide.

(Uno degli attentatori di Charlie Hebdo spara contro il poliziotto già a terra. Entrambi sono musulmani)

Chi paga il prezzo maggiore di questi atti violenti?
Il prezzo maggiore degli atti violenti dei musulmani lo pagano i musulmani che non c’entrano niente. Il terrorismo di matrice islamica danneggia le comunità musulmane, generando diffidenza e paura.

L’immagine simbolo dell’attacco a Charlie Hebdo è quella del terrorista che spara contro il poliziotto, anche lui musulmano. C’è uno scontro tra due modi diversi di vedere la stessa cosa

Ma l’Islam è una religione moderata o no?
L’espressione “Islam moderato” non ha senso. Andrebbe cancellata dal vocabolario. È come se dicessimo “Cristianesimo moderato”: è un’espressione senza senso. L’aggettivo moderato applicato a una religione non ha senso. Una religione ha dentro tutto e il contrario di tutto. Islam moderato è un’espressione ambigua, anche perché si chiamano Paesi arabi moderati solo gli alleati dell’Occidente, come l’Arabia Saudita ad esempio, che moderata non è. Tunisia, Turchia e Indonesia che invece potrebbero essere definiti moderati, invece non vengono definiti tali. 

Con l’espressione Islam moderato si intende nel senso comune una religione non fondamentalista, non violenta.
Se si intende con moderato un’Islam non violento, allora sì, esiste ed è la maggioranza. Nell’Islam esistono varie tendenze. La maggioranza è di tipo quietista, di coloro che sono musulmani senza voglia di qualificarsi come tali, senza scriverselo sulla maglietta insomma. È la parte più secolarizzata dell’Islam e che si impegna di più nel dialogo e nell’integrazione. Poi c’è una parte più islamizzata, che non vuol dire più radicale, più impegnata socialmente o anche politicamente. E infine c’è una frangia radicale che sostiene il califfato e la violenza. Tutte queste tendenze convivono insieme. È come dire che tutti abbiamo letto Marx, ma Renato Curcio sparava, io no. D’altronde tra i musulmani quelli che vanno in moschea sono una minoranza, a differenza dal Ramadan, seguito invece dall’80 per cento. Un po’ come i cattolici: a messa ci va il 20%, ma il 90% viene battezzato. Se per moderato si intende uno che è musulmano ma beve birra, non è necessariamente così. Spesso i più praticanti sono anche i più integrati e anche più “moderati”.

Quali sono le principali caratteristiche dell’Islam italiano?
L’Islam italiano è frammentato tra linee etniche e linguistiche diverse. In Italia un terzo dei musulmani sono marocchini. Il resto è molto frammentato tra egiziani, tunisini, mediorientali, senegalesi, albanesi. E c’è un tessuto di moschee molto forte: ci sono circa 700 luoghi di culto, spesso molto piccoli e instabili, tra garage, capannoni, retrobottega, ma le moschee vere e proprie, invece, sono quattro o cinque. All’inizio una moschea viene creata da un gruppo omogeneo, della stessa etnia. La lingua che predicano è la loro lingua, come è normale. Non puoi obbligarli, come si dice, a predicare in un’altra lingua. Allora dovresti farlo anche con i pentecostali nigeriani o con i cattolici filippini. Poi con il tempo nelle moschee entrano anche altre etnie, e allora magari arrivano anche i sermoni in italiano, per farsi capire anche dagli altri musulmani o semplicemente dalle seconde e terze generazioni per le quali la lingua dominante non è più quella del Paese d’origine.

Perché c’è ancora questa forte diffidenza verso le moschee?
Le moschee sono tra i posti più controllati da tutti i servizi segreti italiani, europei e non solo. Lo sanno benissimo gli imam. C’è un interesse reciproco al controllo. L’imam è il primo ad avere interesse a non avere teste calde nella sua moschea, salvo casi eccezionali accaduti in passato e subito identificati. Così come una testa calda se vuole partire per arruolarsi nell’Isis non passa prima dalla moschea, che è un posto molto controllato. Le moschee sono come le parrocchie cattoliche. Sono strumenti di controllo sociale. Sono gli individui singoli isolati, con pochi legami sociali, a essere pericolosi. È sociologicamente idiota considerare le moschee un nemico quando sono il nostro migliore alleato. Nel mondo ci sono 1 miliardo e 600mila musulmani non radicali: noi dobbiamo stare dalla loro stessa parte, riconoscere loro gli stessi diritti. Se dici che sono tutti uguali fai il gioco dei radicali. Alla fine si stufano di essere trattati sempre come terroristi e lo diventano davvero. L’integrazione è sinonimo di sicurezza, la demonizzazione reciproca no. Le moschee sono mezzi di integrazione, questo non possiamo negarlo.

Il prezzo maggiore degli atti violenti dei musulmani lo pagano i musulmani che non c’entrano niente

A che punto è l’Italia nell’integrazione dei musulmani?
La religione con l’integrazione c’entra assai poco. Non c’è nessun indicatore al mondo che dice che i musulmani sono meno integrati degli altri. La religione non è esplicativa per stabilire il grado di integrazione, lo è invece l’origine etnica. Alcuni, ad esempio, sono meno propensi ai matrimoni misti rispetto ad altri. Altri ancora vivono in alcune periferie più isolate. Ma parliamo di etnie, la religione è un’altra cosa. Prendiamo la comunità cinese, una delle comunità più chiuse che però non è musulmana. Molti indicatori poi sono temporanei, dipende dal fattore tempo. È chiaro che 30 bengalesi arrivati un mese fa non sono integrati non perché siano musulmani ma perché sono arrivati 30 giorni fa.

C’è un dialogo tra le comunità islamiche e gli enti locali?
La normalità in Italia è il dialogo continuo tra le comunità islamiche, gli enti locali, le parrocchie, le associazioni di volontariato. Difficile è invece il dialogo con quei sindaci che nemmeno ti vogliono ricevere.

Perché tanta diffidenza?
La difficoltà non è solo italiana, ma è condivisa a livello europeo. È comprensibile. L’Islam è diventata la seconda religione d’Europa, è un cambiamento gigantesco che nessuno però ci ha spiegato. Avere un’opinione negativa non è necessariamente razzista. Ci sono problemi veri, come quando l’80% dei bambini in una scuola è straniero, e problemi finti. Se ti cambia il quartiere intorno è normale che tu abbia un pregiudizio. I pregiudizi ci aiutano a vivere meglio, a classificare le persone, perché abbiamo bisogno subito di risposte. Dopo la conoscenza di una realtà, però arriva il giudizio. Il musulmano diventa tuo compagno di classe o collega di lavoro e allora puoi confermare o non confermare il pregiudizio, litigarci o invitarlo a cena. Bisogna spiegare meglio l’Islam: devono farlo le élites, gli intellettuali, gli insegnanti nelle scuole. Negli ospedali si stanno ad esempio seguendo dei corsi per avere a che fare con utenze di altri Paesi. Gli impiegati della pubblica amministrazione lo stesso. Devono farlo anche i politici!

L’integrazione è sinonimo di sicurezza, la demonizzazione reciproca no. Le moschee sono mezzi di integrazione, come le parrocchie cattoliche

Ma esiste un problema tra libertà d’espressione e Islam?
Prima di Charlie Hebdo, ci sono stati i casi di Salman Rushdie e Theo van Gogh. Esiste un problema reale che si risolverà con il tempo. Uno si può anche offendere perché prendono in giro Maometto, ma se la tiene. Charlie Hebdo probabilmente non era la lettura di riferimento di molti, a molti quelle vignette davano fastidio, ma non siamo mica andati ad ammazzarli. 
Quella di Charlie Hebdo era un’ironia greve che può anche non piacere. Ma le opinioni vanno bene, gli atti violenti no. Un esempio: c’erano alcuni lavoratori musulmani in Veneto che si sono licenziati perché non ne potevano più dei loro colleghi che bestemmiavano in continuazione, ma non li avrebbero mai ammazzati, si sono licenziati e basta. Questa è civiltà. 

Qual è stata la reazione dei musulmani davanti agli attentati di Parigi?
Questa volta c’è stata una presa di coscienza forte dei musulmani. La denuncia di quello che accadeva in Siria, ad esempio, è avvenuta troppo tardi. Questa volta anche se quelli di Charlie Hebdo stavano sulle scatole a tanti, molti musulmani sono andati in piazza, hanno condannato l’attentato e hanno manifestato ancora prima degli italiani. Questa volta nel mondo musulmano c’è una presa di coscienza maggiore dell’11 settembre. Sarà un processo lungo, ma come tutti i conflitti familiari sul momento stai male ma poi ti aiutano e creano maggiore equilibrio.