Tra Italia e CorsicaL’inefficienza italiana arriva fin nelle Filippine

L'inefficienza italiana arriva fin nelle Filippine

Papa Francesco è da alcuni giorni nelle Filippine, una delle nazioni asiatiche dove ha fatto più breccia il messaggio evangelico (95%, 81% cattolici), e trova niente meno che una nutrita comunità italiana. I nostri connazionali sono infatti più di mille tra imprenditori, pensionati e giovani che hanno lasciato l’Italia in cerca di opportunità, stanchi di una burocrazia opprimente, di una tassazione asfissiante e di meccanismi che rendono sempre più difficile e faticoso trovare la propria strada.

E un po’ un come la nuvoletta che perseguitava il mitico ragionier Ugo Fantozzi, l’inefficienza italiana continua ad affliggere i nostri concittadini anche a centinaia di migliaia di chilometri dalla patria.

Linkiesta è entrata in possesso, infatti, del documento in cui un gran numero di italiani attivi nelle Filippine denunciano l’incapacità della nostra rappresentanza diplomatica a Manila di assisterli e sostenerli nel loro operato. Il duro “j’accuse”, inviato anche alla Farnesina, è stato fatto passare sotto silenzio, ma l’insofferenza verso un’ambasciata considerata inefficace è vasta. Ecco cosa scrivono nella petizione oltre trecentosessanta italiani sotto un titolo già emblematico, «Firme raccolte dalla comunità italiana nelle Filippine. Denuncia di inefficienza, disorganizzazione e disinteresse da parte delle autorità e personale dipendente dell’ambasciata italiana»: «I sottoscritti cittadini italiani, residenti o domiciliati sul territorio filippino, sono fortemente contrari al comportamento continuo dell’ambasciata italiana per quanto concerne la qualità dei servizi e la mancanza di attenzioni verso i propri concittadini. Infatti sono molteplici le occasioni in cui i cittadini residenti, imprese italiane localizzate nelle Filippine o imprenditori che raggiungono le Filippine per motivi di lavoro, evidenziano difficoltà nell’essere ricevuti e tanto meno considerati, oppure l’indifferenza riservata in talune occasioni a coloro che dopo aver fatto un viaggio di ore vengono respinti con la colpa di non aver chiesto preventivamente un appuntamento».

I nostri connazionali mettono sotto accusa la conduzione della missione diplomatica da parte dell’ambasciatore, Massimo Roscigno. I firmatari della petizione parlano apertamente di «personale non adeguato» e rincarano la dose scrivendo che «le relazioni fra l’istituzione che rappresenta gli interessi della nostra nazionale e i nostri connazionali sul territorio filippino vengono sempre meno e disseminano così tra costoro un sentimento di abbandono, indifferenza, mediocrità». In tempi di austerità e di pulci all’amministrazione pubblica, viene a questo punto da interrogarsi su quanto costi l’apparato diplomatico a Manila, così duramente criticato. L’attività dell’ambasciatore Roscigno desta effettivamente più di una perplessità anche con riguardo a casi specifici. È il caso della gestione delle risorse italiane nel sostegno alla popolazione filippina colpita da calamità naturali. Emblematica in questo senso è l’ intervista rilasciata dallo stesso Roscigno a uno dei principali giornali filippini, Philippine Star, nella quale il diplomatico annuncia che i soldi dei contribuenti italiani vanno a finanziare a pioggia progetti locali, affidandosi soltanto ai controlli delle istituzioni del Paese asiatico, nonostante i casi di corruzione e la scoperta di clamorose e massicce distrazioni di fondi (10 miliardi di peso/ oltre 1,6 miliardi di euro) destinati a interventi di sviluppo.

Secondo Roscigno l’elevatissimo fenomeno corruttivo non è una buona ragione per fermare i flussi di denaro italiani verso le Filippine, ma curiosamente non annuncia alcuno specifico intervento di controllo e monitoraggio delle risorse utilizzate. Forse un po’ poco se si paragona la facilità di impiego delle somme messe a disposizione dall’Italia in riparazione delle calamità naturali filippine con l’assenza o scarsità di sostegno a città come Genova che sono state messe in ginocchio da fenomeni come alluvioni o da altri casi di dissesto idrogeologico.

E tutto ciò per non parlare di una altro dossier scottante che riguarda l’Italia e che attende inutilmente da mesi una soluzione che può passare solo da un canale diplomatico, il caso dell’ambasciatore Daniele Bosio, “prigioniero” nelle Filippine a seguito della formulazione di un incerto e barcollante impianto accusatorio. A distanza di nove mesi dall’inizio della vicenda, nonostante la magistratura filippina abbia già riconosciuto che a carico del diplomatico italiano (ex ambasciatore in Turkmenistan) non sussistono «gravi indizi di colpevolezza», l’Italia non è riuscita, come per il più noto caso Marò, a ottenere alcun risultato in favore del nostro connazionale: né l’archiviazione del procedimento, né il rientro in patria in attesa della sentenza e neppure un processo rapido che veda in conclusione Bosio definitivamente prosciolto dalle odiose e infamanti accuse di pedofilia (negate già oggi nelle testimonianze rese in tribunale dagli stessi bambini presunte vittime degli abusi, ndr). Nonostante la riservatezza dell’ambasciatore Bosio e della famiglia, che hanno declinato l’invito a parlare, colpisce il fatto che un cittadino italiano ad aprile 2014 possa essere privato della libertà e infangato e divenga di fatto ostaggio in un Paese straniero senza che si sia svolta ancora neppure un’udienza utile del processo che dovrebbe accertarne responsabilità o innocenza, così come colpisce che in tanti mesi, un Paese come l’Italia che dovrebbe “pesare” qualcosa nel rapporto con le Filippine, basti pensare al fenomeno immigratorio che da quel lembo di Asia porta tanti lavoratori nelle case degli italiani, non riesca a ottenere nulla di concreto, consentendo anzi che si svolgano, come ancora in questi giorni in occasione della visita del Santo Padre, strumentalizzazioni mediatiche che giocano sul prestigioso incarico ricoperto da Bosio che, ironia del destino, ha al proprio attivo, venti anni di cristallina e meritoria attività di volontariato in favore dei minori, da Roma a Tokyo, da Algeri a Manila passando per New York.