Nelle banlieue di Parigi, dove il mito è Maometto

Nelle banlieue di Parigi, dove il mito è Maometto

PARIGI – «Se Charlie merita un minuto di silenzio, i paesi musulmani oppressi chiedono che ci si taccia per sempre». La scritta campeggia su un vecchio muro abbandonato della città di Saint Denis nella banlieue nord di Parigi. Al lato, un bambino gioca a calcio da solo facendo rimbalzare il pallone su un muro pieno di graffiti. I suoi compagni di gioco lo chiamano: «Mohammed! Mohammed!». Dall’altro angolo tre ragazzi incappucciati vendono bracciali e anelli d’oro su un tessuto blu scuro che tengono tra le mani. Sono appoggiati ad un palo della luce e si guardano intorno con occhiate furtive. Nella città che fu dei re di Francia e dove sorge l’omonima basilica capolavoro del gotico francese ancora nel Novembre scorso una manifestazione studentesca è degenerata in sommossa contro la polizia. Nel 2005, tutto il dipartimento della Senna-Saint Denis, le Neuf Trois, banlieue tra le più calde di Francia dove il tasso di disoccupazione è più alto che altrove, s’è rivoltato. Gli eventi di Charlie Hebdo qui giungono quasi come lontani, attutiti da una sensibilità molto diversa da quella della gauche caviar che legge Charlie Hebdo e dell’XI arrondissement, dove ha avuto luogo la strage. Il diritto di satira e le figure oscene che vedono protagonista Maometto offendono molti abitanti musulmani che si sentono lacerati tra lutto cittadino e rispetto della propria confessione religiosa.  

È mattina e la città di Saint Denis si sta svegliando. Si sente odore di spezie, di cibo orientale, di kebab. La città è un miscuglio di razze e religioni che qui convivono. Nonostante la povertà e la violenza c’è un fortissimo spirito di solidarietà. Di fronte ad una “République” giudicata tirannica e assente, che cerca di imporre una laicité dall’alto, proliferano associazioni, collettivi, centri sociali dove si cerca di fare massa critica, di dare una visione alternativa della società e di resistere al marchio di vivere in una delle banlieue più pericolose del paese. Non per niente la città è storicamente un bastione del Partito comunista francese (PCF).  Sotto il mio naso sfilano parrucchieri cinesi, negozi di telefonia pachistani, ristoranti di kebab turchi, negozi di abbigliamento africani. Camminando lungo l’arteria principale, a ridosso della piazza dove sorge la basilica, m’imbatto in venditori di orologi falsi, telefoni rubati, borse contraffatte. La mercanzia è adagiata a terra, sopra coperte o asciugamani, nel caso la polizia colga tutti di sorpresa per sequestrare la merce ed allora è facile racimolare tutto nel sacco e fuggire a gambe levate nelle stradine laterali. Appena tiro fuori la mia macchina fotografica per immortalare quel ribollire di vita, un giovane ragazzo che vende orologi in bella mostra sull’avambraccio mi fa segno con l’altra mano di avvicinarmi. «Mon frère, vuoi fotografarmi? Solo cinque euro». Io sorrido e proseguo oltre.

Alcune centinaia di metri più avanti, sull’avenue Gabriel Péri, entro in una boulangerie. Le commesse sono tutte velate. In un angolo del bancone c’è un contenitore di latta dove si raccolgono fondi per la Palestina e per i detenuti rinchiusi nelle carceri israeliane. La panettiera, Halima, è algerina. Mi scambia per un suo concittadino. Mi fa assaggiare dei dolci di Cabilia, la sua regione. Gli avventori la salutano con cordialità, Assalam Aleikum. Le chiedo cosa pensi del massacro a Charlie Hebdo. « Come cittadina francese – mi dice – io condanno ciò che è successo. Tuttavia, come musulmana non mi sento toccata da questra tragedia. Ci sono pazzi ovunque, non conoscono veramente la parola di Allah ». Due ragazzi incuriositi dalla conversazione entrano nel negozio. Uno è incappucciato, il suo viso è in penombra. Mi guarda fisso, mi fa un mezzo sorriso che sembra più una smorfia di disappunto. Il suo compagno guarda il cellulare poi col segno di vittoria mi dice : « Je ne suis pas Charlie. Vive le Prophète Mohammed ». Halima serve altri clienti ma mi fa capire che ha altre cose da dirmi. « Io non accetto – riprende – la mancanza di rispetto verso il nostro profeta,aleyhi salat wa salam, non accetto che si bruci o si strappino le pagine del Santo Corano, non accetto che si attacchino delle moschee, che certa gente gridi ‘Morte agli Arabi’. Queste persone non hanno capito nulla. Io sono per la pace e la tolleranza e la libertà ma nel limite di rispetto della libertà altrui».

In quel momento ricevo un sms da Stèphane, un giovane maestro di scuola che lavora nel Neuf Trois con il quale ho preso appuntamento. Vuole raccontarmi la sua esperienza nelle scuole e come è andato il minuto di raccoglimento in classe per la morte dei giornalisti di Charlie Hebdo. Halima capisce che sto per uscire dalla boulangerie. Nell’angolo del bancone di una boulangèrie dove le donne sono tutte velate c’è un contenitore di latta dove si raccolgono fondi per la Palestina e per i detenuti rinchiusi nelle carceri israeliane.  Halima, la boulangère algerina:« Per concludere – mi dice – sono completamente traumatizzata da questi atti orribili. Denuncio questi crimini e nego qualsiasi legame tra questi individui e la religione musulmana. Compatisco il dolore delle famiglie ed il loro lutto ma non sono Charlie, no, non aderisco alla loro ideologia blasfema ».

Per raggiungere la piazza dove mi attende il maestro di scuola bisogna passare vicino al mercato. Il mio occhio è attirato da una macelleria hallal. È piena di luci e colori. Decido di fotografarla. Un ragazzo dall’interno del negozio che non avevo notato mi fa segno di no con la mano. Poi mi chiede di avvicinarmi. Mi dice che non si può fotografare il negozio. Gli dico che se vuole, cancello la foto davanti a lui. Gli mostro la macchina e l’unica foto che ho scattato del negozio. “Tutto qui?” mi fa. Andando indietro gli faccio vedere anche altre foto che ho in memoria per rassicurarlo. Spuntano le foto della famosa manifestazione per Gaza a Place de la République. “Ci sei stato?” mi chiede incuriosito. “Si” rispondo. “E’ giusto manifestare per Gaza, mi dice, voi siete Charlie un giorno solo ma noi siamo Gaza tutti i giorni». Alla fine mi dice che posso tenere la foto. Sukran, gli rispondo mettendomi come fanno loro quando si salutano una mano sul cuore.

Mi avvicino alla stazione per ritornare verso Parigi. Un vecchio signore rovista tra i cartoni dell’immondizia. Due spazzini parlano ad alta voce in arabo. Mi sento in Francia ma anche altrove. Prima di scendere nel ventre della terra per raggiungere il centro della città mi fermo proprio all’ingresso del metrò per parlare con un altro ragazzo di origine senegalese con cui avevo un appuntamento telefonico. Viene anche lui dal Neuf Trois ma vuole rimanere anonimo. Mi vuole parlare di quella banlieue difficile, stigmatizzata da tutti. E della reazione di molti musulmani alla tragedia. «Vengo dal 93. Faccio parte della zona descritta come zona sensibile, pericolosa in Francia. Nonostante ciò, personalmente non ho mai avuto problemi nel quotidiano, perché quando tu vivi in un quartiere popolare le persone si sostengono reciprocamente. A mio avviso si ha spesso un’immagine un po’ esagerata di quello che succede in banlieue. Non dico che non ci siano problemi perché io stesso nella mia ‘cité’ ho visto traffici di droga, rapine ma per quello che mi concerne non mi sono mai sentito insicuro nel mio quartiere. Purtroppo l’altra faccia della medaglia è che quando tu vivi in questo quartiere vieni subito discriminato. Penso che  sia soprattutto questo che crea problemi, e cioé il fatto che la società ha talmente paura di questi quartieri che si creano delle differenze e delle discriminazioni che possono portare alla frustrazione. I giovani si dicono ‘Vivo nel ‘93’, quindi sono condannato alla disoccupazione e all’esclusione’ ». 

La sua voce al telefono è calma è posata. Gli chiedo cosa pensi di quanto accaduto ai giornalisti della redazione di Charlie Hebdo. «In questo momento – mi dice – non posso dire « Je suis Charlie » rispetto al giornale ma « Je suis Charlie » solo contro i terroristi. In generale non sono un fan di Charlie Hebdo. Sono per la libertà di espressione ma Charlie Hebdo è arrivato a ferire sia la religione musulmana, sia la religione cattolica, sia l’essere umano in generale. Ho visto una vignetta di Charlie Hebdo che diceva « E’ giunto il Papa, è stupido come i negri » con un’immagine del Papa di fronte a delle persone di colore che si inginocchiano davanti a lui. L’ho trovato scioccante. Sono contro l’estremismo ed il terrorismo ma sono anche contro la violenza visiva gratuita di Charlie Hebdo. Il clima in Francia diviene sempre più teso, personaggi come Houellebecq, Zemmour e Marine Le Pen non fanno altro che gettare olio sul fuoco. Nonostante ciò penso che i Francesi siano più intelligenti di quanto si creda. Hanno visto  che il poliziotto musulmano Ahmed è morto per salvaguardare la libertà di stampa e Lassana, il ragazzo musulmano del Mali, ha nascosto degli ebrei nella cella frigorifera per salvarli».

Il mio giro nella banlieue nord di Parigi volge al termine. Mi attendevo di trovare rabbia ed esclusione invece trovo solidarietà, volontà di capire ma anche di divincolarsi da cliché stantii. Lascio Saint Denis portandomi qualcosa dentro, i pezzi di quella Francia composta da un miscuglio di razze e di religioni unite in una storia ed un destino oramai comune. Il pericolo di profonde lacerazioni e divisioni è certo sempre dietro l’angolo. Ma la banlieue, e la Francia tutta, si stringono dietro a quegli umili eroi, il poliziotto Ahmed e l’impiegato del supermercato Lassana, figli di questa Francia mutietnica e multireligiosa, spine nel fianco per coloro che professano il dogma dello scontro di civiltà. 

@marco_cesario

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