Fare il quadro della situazione in Grecia è utile, anche se si corre il rischio di deprimere sul nascere la speranza di molti sostenitori di Tsipras. Entrare nel paese ellenico, oggi, significa infatti fare un viaggio nel tempo sino al tardo medioevo. Quasi un milione di dipendenti privati, soprattutto nel settore alimentare – cassieri o commessi, per intenderci – sono pagati in buoni pasto o “in natura”. Alcuni, i più fortunati che ricevono uno stipendio, lo ricevono con ritardi di oltre sette mesi e in molti casi parte di esso è pagato attraverso servizi complementari come un coupon per dormire in un albergo, o per fare il pieno di benzina. La tredicesima e quattordicesima, per la stragrande maggioranza dei greci, è ormai un ricordo lontano.
Dal 2011 ad oggi in Grecia sono rimasti aperti poco più della metà dei negozi presenti nel periodo pre-crisi. Non mancano licenziamenti collettivi nel settore statale e, per quelli rimasti, gli stipendi sono all’osso. Le pensioni sono state ridotte del 25% – anche quelle minime – e tutto quello che poteva essere privatizzato (spiagge e isole incluse) è stato già venduto[1].
Non ci crederete, ma i lavoratori pagati con buoni pasto, gli statali che guadagnano qualche centinaio di euro e i poveri pensionati sono i “fortunati” della crisi: il tasso di disoccupazione in Grecia è al 27% e quello giovanile viaggia sull’ordine del 60%. I pochi giovani che trovano lavoro sono spesso assunti con contratti mensili – cari precari italiani, c’è chi sta peggio di voi – e le paghe sono da fame: più o meno 1,8 euro l’ora, non molto più dei 40 centesimi degli stabilimenti nel Guangdong in Cina.
Insieme all’Italia, la Grecia è uno dei pochi paesi che non dispone di una tutela di base strutturata (sussidio di disoccupazione o reddito minimo). Questo nonostante dedichi alle politiche di sostegno al reddito buona parte delle risorse dedicate alle politiche del lavoro.
La Grecia presenta anche il rischio di povertà peggiore dell’Eurozona (circa il 35%) e in tema di esclusione sociale non sembra di essere in Europa, ma in una zona di guerra: le file dei disperati per gli alimenti è sempre più lunga, il tasso di povertà dei bambini greci è al 30%, approssimativamente il doppio di quello italiano. In Grecia tra il 2008 e 2010 la mortalità infantile è cresciuta del 43%, il sistema sanitario è al collasso, il modello ormai è sempre più identico a quello assicurativo americano, ma senza riforma Obama o meccanismi di tutela come il programma Medicare per gli anziani. Alcune case farmaceutiche hanno interrotto le forniture di farmaci a causa delle insolvenze.
Neppure il divertimento si salva da questa crisi: l’Aek Atene ha dovuto rinviare una gara perché non aveva i soldi per stampare i biglietti e il sindacato dei calciatori ha bloccato la Serie A greca per protestare contro il mancato rinnovo delle assicurazioni sugli infortuni, mentre il Paok di Salonicco rischia di essere estromesso dalle coppe europee per via dei conti in rosso.
Se pensate che queste siano le notizie peggiori, vi sbagliate: il vero dramma della Grecia, come per l’Italia, è l’entità del debito pubblico, pari al 170 % del Pil. Significa che tutti quei sacrifici non sono valsi a nulla per evitare il default. E significa, soprattutto che tutti i prestiti e gli aiuti arrivati da Bruxelles in cambio di lacrime e sangue hanno semplicemente rimandato il fallimento della penisola ellenica di qualche anno.
Tsipras si trova a guidare un paese in macerie, quindi, all’interno di una recessione continentale tutt’altro che conclusa. Come e dove potrà trovare i miliardi necessari per rilanciare il paese è un mistero. Molto probabilmente, non li troverà. Del resto, il suo paese non è in grado di contrattare nulla: l’industria manifatturiera è inesistente; innovazione e sviluppo restano utopie; non dispone di materie prime. Nè tantomeno può essere salvato da un turismo che, pur essendo forse l’unico vero asset possibile, ha già oggi raggiunto il suo livello di massima saturazione.
Oggi, a posteriori, risulta chiaro a tutti che il programma di austerità imposto alla Grecia è stato un fallimento, che la ricetta neo-liberale secondo cui si può creare nuova domanda e nuovo lavoro attraverso maggiore flessibilità, riduzione della spesa pubblica e liberalizzazioni sfrenate, semplicemente, non funziona. Tuttavia, è fuorviante imputare alla Troika ogni responsabilità per la tragedia greca. O prendersela con la Germania, con assurde richieste di risarcimento per i crimini della seconda guerra mondiale. L’attuale caos è figlio, piuttosto, di una debolezza economica strutturale e di scelte politiche scellerate. Dov’erano i greci quando ai tempi delle olimpiadi di Atene del 2004, quando tutti gli analisi economici al mondo (gli stessi che oggi chiamiamo Troika) evidenziavano come i conti del loro governo non tornavano? Dov’erano quando i governi pensavano di far quadrare i conti delle leggi di stabilità attraverso i pedaggi autostradali?
Alexis Tsipras può anche provare a cacciare gli invasori della Troika dalle stanze dei bottoni greche, ma non può salvare i greci da se stessi e dagli errori commessi in passato. Per questo, salvo sorprese, è destinato a fallire.
[1] Quanto segue sulla situazione economica greca è la sintesi di vari contributi presenti sul sito Keep Talking Greece, vedi link: www.keeptalkinggreece.com.