Non deve essere facile la vita su Marte. Ma anche sulla Terra, d’altronde, le cose ultimamente girano peggio del solito. Così, il 29 dicembre scorso, un cortocircuito o qualcosa di simile ha mandato a fuoco la FisherGreenHab, una stazione di ricerca a Hanksville, nello Utah.
Nessun ferito, tra i quattro operatori che vi stavano lavorando per testare «la possibilità di sopravvivere su Marte». Già, la vita su Marte. Perché questa, dopo la stagione delle invasioni aliene, sembra essere diventata la nuova ossessione di molti americani. O meglio, di alcuni americani: quelli più facoltosi che possono sperare in un viaggio interplanerario, per lo sfizio di godersi il panorama dall’alto o, con più coerenza ma anche suscitando più interrogativi, per sfruttare risorse e ricreare altrove le condizioni ottimali di sopravvivenza per la specie. Per tutti gli altri, ossia per chi non vuole, non può, non ha mezzi per unirsi al sogno dell’esplorazione interstellare? A loro non resterà molto. In attesa che qualche alieno di passaggio tolga loro anche il poco che rimarrà della Terra.
Una serra spaziale
In cinque anni di test estremi, la struttura della FisherGreenHab aveva dato buoni risultati, mostrando a detta degli ingegneri la possibilità di riciclare all’infinito acqua e liquidi. Poi si capì che, acqua o non acqua, le dimensioni contano: prototipo e sistema non garantivano spazio per ospitare più di quattro persone. E così, nel 2009, il GreenHab stato rimontato per un uso diverso. Una specie di serra. Va detto che un primo prototipo, tra quelli progettati dall’ingegnere Gary Fisher per la Mars Society, era andato distrutto a causa del vento. Oggi, è la volta del fuoco. Ma gli intoppi, si sa, fanno parte della ricerca e così anche la ricerca della Mars Society continua. Anzi, rilancia: la società – un po’ lobby, un po’ centro di ricerca – fondata nel 1998 come ente non-profit dall’ingegnere aerospaziale Robert Zubrin rilancia e avvia una campagna di raccolta fondi per una nuova stazione GreenHab e per continuare l’esperimento, supervisionato dalla Nasa, della Mars Arctic Research Station.
Il rover Pathfinder Sojourner esplora la superficie di Marte nel 1997 (NASA/Getty Images)
Un’economia marziana
La dichiarazione di fondazione della Mars Society venne ratificata e firmata dai 700 partecipanti riunitisi dal 13 al 16 agosto 1998 presso l’Università del Colorado, a Boulder. Citiamo dal testo:
«È giunto il tempo per l’umanità di raggiungere Marte. Siamo pronti. Sebbene Marte sia distante, oggi siamo molto più preparati per inviare essere umani su Marte di quanto non lo fossimo all’inizio dell’era spaziale. Se ci fosse la volontà, si potrebbe inviare il primo gruppo di essere umani su Marte entro dieci anni. Le ragioni per andare su Marte sono importanti. Dobbiamo andare per conoscere il pianeta Marte.
Le sonde robotiche hanno rilevato che Marte era una volta un pianeta caldo ed umido, adatto ad ospitare l’origine della vita. Ma questo accadde veramente? La ricerca di fossili sulla superficie di Marte o di microbi nell’acqua sotterranea potrebbe fornire la risposta. Se fossero trovate, queste tracce dimostrerebbero che l’origine della vita non è unica sulla Terra, e conseguentemente porterebbe alla luce un universo ricco di vita e probabilmente di intelligenza. Dal punto di vista della conoscenza del nostro vero posto nell’universo, questa costituirebbe la più importante scoperta dall’epoca di Copernico.
Dobbiamo andarci per l’opportunità. La colonizzazione di Marte è un’opportunità per un nobile esperimento nel quale l’umanità ha un’altra possibilità di mettere da parte le cose peggiori e creare un nuovo mondo da capo; portando con sé la parte migliore. Questo tipo di opportunità non si presenta spesso e non è da rifiutare con facilità. Dobbiamo andarci per l’umanità. Gli esseri umani sono qualcosa di più di un’altra specie di animali, sono messaggeri della vita. Uniche tra le creature della Terra, noi abbiamo l’abilità di continuare il lavoro della creazione, portando la vita su Marte, e Marte alla vita. Nel fare ciò faremo un prezioso omaggio alla razza umana ed ad ogni membro di essa. Dobbiamo andarci per il futuro».
Tre sono i punti che muovono la “visione” della Mars Society: 1) servire come banco di prova per l’esplorazione umana di Marte; 2) sviluppare ricerche in siti analoghi per natura e struttura alle condizioni di vita su Marte; 3) far nascere il sostegno pubblico necessario affinché si mandino esseri umani su Marte.
La mission della Italian Mars Society, che ha sede nella bergamasca Curno, è più specifica e declina il tutto in chiave di nuova economia:
«Promuovere l’obiettivo dell’esplorazione e dell’insediamento sul Pianeta Rosso. Ciò verrà fatto attraverso: 1) Un vasto coinvolgimento del pubblico per instillare la visione della conquista di Marte; 2) il sostegno a programmi di esplorazione sempre più intensivi finanziati dai governi e dalle grandi società del settore spazio; 3) coinvolgere le piccole e medie imprese nella ricerca collegata all’esplorazione di Marte e contribuire con loro a creare una nuova economia basata sulla colonizzazione dello spazio».
Marte “fai da te”
L’idea di Robert Zubrin è chiara: ridurre costi e difficoltà di un viaggio su Marte è possibile. Ma ridurre costi, difficoltà e testare la fattibilità dell’insediamento umano su Marte è quanto meno necessario. Ossigeno e risorse energetiche, spiega Zubrin, si possono produrre usando materiale marziano. Resta, però, una grande difficoltà da sconfiggere: lo scetticismo. È contro lo scetticismo che, da ingegnere visionario, Zubrin si sforza di diffondere informazioni e test controevidenti. Lo fa da almeno 30 anni, ossia da quando, con The Case of Mars, divenne un noto, anzi notissimo autore di best seller. Oggi Zubrin continua a proporre il suo approccio che definisce “minimalista” e noi potremmo sintetizzare con un più icastico “Marte fai da te” (qui trovate il suo piano, denominato “Mars Direct”. Per il 2030 saremo pronti, dichiarano fonti vicine a questa visione.
E c’è pure chi afferma ci sia lo zampino di Zubrin dietro le recenti fughe di notizie secondo cui la Nasa sarebbe pronta a finanziare un progetto per “installarsi” nei cieli di Venere, oltre che in fase di test per la navicella Orion, diretta guarda caso proprio su Marte.
La regione Echus Chasma, su Marte, fotografata da Mars Express nel 2008 (ESA via Getty Images))
Era il 1951 quando Arthur Charles Clarke pubblicò The Sands of Mars. L’anno seguente, un’edizione italiana, approntata da Maria Gallone col titolo Le sabbie di Marte, era già pronta per la lettura negli Urania Mondadori. Vi si racconta di Marte e di come l’uomo ne abbia fatto una colonia e un centro di ricerca. E proprio Clarke è il prefatore autorevole del primo best seller di Robert Zubrin, Il caso Marte. Vi si legge: «Il mio nome è Arthur Clarke, e vi parlo dall’isola dello Sri Lanka, una volta conosciuta come Ceylon, nell’Oceano Indiano, Pianeta Terra. Qui è inizio primavera dell’anno 1993, ma questo messaggio è per il futuro. Mi rivolgo agli uomini e donne – magari qualcuno di voi è già nato – che ascolteranno queste parole mentre vivono su Marte. Avvicinandoci al nuovo millennio, c’è un grande interesse per il pianeta che potrebbe essere la prima vera casa per l’umanità dopo la madre terra. Durante la mia vita, ho avuto la fortuna di vedere la nostra conoscenza di Marte avanzare da una quasi completa ignoranza – peggio di questo, una fantasia fuorviante – ad una reale comprensione della sua geografia e del suo clima. (…) Il libro del pror. Zubrin – come il mio esercizio di terraformazione di Marte, Le nevi dell’Olimpo – sarà scavalcato dai progressi futuri nella tecnologia. Comunque, dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la prima colonia umana autosufficiente dopo Madre Terra giace a portata di mano dei nostri figli. Afferreranno l’occasione?»
E poi, citando una frase di Wells che già aveva sigillato uno dei suoi primi libri – Il volo interplanetario, Introduzione all’astronautica – Clarke conclude: «la scelta, come disse una volta Wells, è l’universo – o niente… La sfida dei grandi spazi tra i mondi è una sfida stupenda, ma se non riusciamo ad affrontarla, la storia della nostra razza volgerà al termine. L’umanità volterà le spalle alle alture ancora non calpestate e discenderà ancora il lungo declivio che si distende, attraverso un migliaio di milioni di anni, in basso verso le sponde del mare primordiale».
O Marte o morte, insomma. E che questa colonizzazione parta dallo Utah o da Curno, visto l’aut aut, può davvero interessare qualcuno?
@oilforbok