Dopo ogni pranzo o cena, arriva il momento del conto. A volte ognuno paga quello che ha preso, altre volte si fa “alla romana”. Ma che c’entra Roma con il conto? A questa domanda risponde l’Accademia della Crusca.
Perché si dice “pagare alla romana”?
La Crusca risponde Premesso che è d’uso frequente anche la variante fare alla romana, il senso oggi più largamente registrato dell’espressione è “spartire equamente fra amici una spesa comune” (per esempio, in occasione di una cena). Questo pagare/fare alla romana è per ovvii motivi particolarmente diffuso tra i giovani, ma si pratica ormai con naturalezza, in determinate occasioni, a qualsiasi età.
È comunque da notare che, per quanto riguarda la semplice locuzione alla romana, la tradizione letteraria fornisce anche significati più antichi. Si vedano per esempio, nel Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia (Torino, UTET 1961-2002), sotto il lemma romano, le attestazioni sette-ottocentesche del modulo alla romana (presso Goldoni, Gasparo Gozzi, Nievo) nel senso di “alla chetichella, senza prendere congedo” in frasi come “andarsene/partire alla romana”. Un altro senso ugualmente attestato presso autori dell’Ottocento è quello di alla romana per definire una vivanda “messa in comune dai vari commensali”. Invece, per quanto riguarda il modo di dire nell’accezione attuale, il Grande dizionario non fornisce alcun esempio letterario, limitandosi a segnalare come ulteriore significato del detto quello che oggi risulta generalizzato, cioè il riferimento a una spesa complessiva suddivisa in parti uguali. L’assenza di esempi d’autore in un dizionario storico della lingua fa supporre normalmente una tradizione soprattutto orale, e quindi popolare, della voce o della formula in questione.
L’espressione può derivare dalle abbondanti scampagnate fuori porta tipiche della tradizione popolare romana
Ci si può anche chiedere come si spieghi la connotazione romanesca del detto largamente diffuso. Verrebbe fatto di pensare alle scampagnate fuori porta, con annesse abbondanti merende, tipiche della tradizione popolare romana. Sembra confermare questo aggancio l’esistenza d’un termine, ormai in disuso, come romanata, nel senso appunto di “merenda campagnola”. Il già citato Grande dizionario dà di romanata la definizione di “ritrovo conviviale in cui ciascuno dei commensali paga una quota della spesa complessiva”, citando come unico esempio la seguente frase tratta da una lettera del Foscolo: “Lunedì verrò forse a una romanata in campagna vicino a Fiesole con la compagnia delle signore Orozco”. Il lemma si completa con un rinvio all’ottocentesco Lessico dell’infima e corrotta italianità di P. Fanfani e C. Arlia, che registra: “Romanata, e alla francese pique nique, chiamasi in alcuni luoghi d’Italia un pranzo o una cena per cui ognuno che vi prende parte paga una quota”. A dire il vero, l’interpretazione che il Grande dizionario dà della romanata che il Foscolo menziona nel suo epistolario risulta poco convincente. Si fatica a immaginare che una merenda nello splendido scenario della campagna fiesolana, prospettata in quei termini, cioè in compagnia di gentili e altolocate dame quali erano la consorte e le figlie del diplomatico spagnolo Orozco, frequentate a quel tempo dal Foscolo (siamo intorno al 1813), potesse prevedere un’imbarazzante colletta finale. Sarà probabile, piuttosto, che la romanata foscoliana alludesse semplicemente a una piacevole merenda all’aperto; alla quale tutt’al più ogni intervenuto avrebbe potuto contribuire con qualche cibaria (in base a un altro dei sensi attestati, come si è visto, per l’espressione in causa)».
Ornella Castellani Pollidori