Gorky ParkPutin, ancora uno zar senza rivali

Putin, ancora uno zar senza rivali

Da esattamente quindici anni Putin è alla guida della Russia. La notte di Capodanno tra il 1999 e il 2000 il malandato Boris Eltsin aveva annunciato le dimissioni, indicando nell’ex agente del Kgb e allora primo ministro il suo successore. Le elezioni di marzo lo avrebbero poi incoronato direttamente al primo turno, senza rivali. Oggi, al suo terzo mandato e dopo che per quattro anni tra il 2008 e il 2012 il delfino Dmitri Medvedev ha occupato le stanze del Cremlino, Vladimir Vladimirovich deve affrontare la più difficile crisi economica che il Paese ha attraversato negli ultimi tre lustri dopo il default del 1998. Per la prima volta da dopo il crollo del 2009 (-7,9%), la Russia ha chiuso un anno con il Pil in negativo (-0,5% a novembre) e le prospettive per quello in corso non sono certo rosee.

Congiuntura sfavorevole, prezzo del petrolio in cantina, rublo in caduta libera nei confronti di dollaro ed euro, sanzioni occidentali e riflessi negativi del conflitto ucraino: l’economia russa si è incagliata e lo stesso Putin nel suo discorso alla Nazione di un paio di settimane fa lo ha ammesso, sfoderando però ottimismo e sostenendo che nel giro di un paio d’anni il Paese tornerà a crescere. Dato che l’economia e la finanza non sono proprio scienze esatte e la sfera di cristallo non ce l’hanno il Cremlino e nemmeno i cremlinologi, per vedere quello che sarà della Russia nel giro di cinque-dieci anni bisognerà però attendere.

Nel frattempo si può riflettere sui vari scenari che si possono presentare, che vanno dal worst case della recessione economica inarrestabile e dal collasso del sistema putiniano a quello della stagnazione temporanea seguita dalla ripresa. Le variabili che possono influenzare lo spettro degli esiti sono molte e interessano non solo gli sviluppi dell’economia, ma anche ovviamente quello della sfera politica, interna e internazionale. Tutto va di pari passo e guardando il breve periodo, ossia i prossimi tre anni, sino all’appuntamento elettorale del 2018, quando scade il mandato del presidente, si possono azzardare le prime ipotesi.

Dal punto di vista economico le previsioni della Banca mondiale non sono certe e differiscono appunto dal fatto che si prenda in considerazione uno scenario pessimistico piuttosto che ottimistico; in ogni caso a medio termine la crescita continuerà ad essere determinata da come verranno portate avanti le riforme strutturali e da quanto sarà forte l’influenza dei fattori geopolitici. Gli effetti di una crescita debole o addirittura di una recessione per il 2015, l’aumento del peso del debito delle famiglie e la ripresa dell’inflazione rischiano di deprimere ulteriormente la domanda dei consumatori rallentando la crescita in Russia. Senza le grandi riforme strutturali programmate e con i fondamentali microeconomici invariati anche gli investimenti sono destinati a ridursi nei prossimi due anni. C’è poco insomma da sorridere per Vladimir Putin, che può comunque contare sulle riserve accumulate negli anni passati per fare fronte alle emergenze finanziarie e tenere comunque a galla sia l’economia che l’intero sistema.

Dal punto di vista politico la questione – in vista del 2018, ma anche del dicembre 2016, quando sono in calendario le elezioni parlamentari – non sembra allarmante. Fino a che sarà in grado di garantire la sopravvivenza di quella ampia classe media che nei suoi tre lustri al vertice dello Stato si è sviluppata abituandosi agli standard del capitalismo, il Cremlino ha poco da temere. L’opposizione parlamentare non esiste, quella extraparlamentare è limitata a pochi personaggi, come Alexei Navalny, che godono di popolarità più sui media occidentali che a casa propria. Per scalzare Putin dal trono ci vuole ben altro, come hanno dimostrato le proteste finite nel nulla che due anni fa hanno fatto parlare a vanvera di una primavera a Mosca. Ma la capitale, dove il seguito per Navalny è forte, non è la Russia e le elezioni si vincono altrove.

Al suo interno il sistema Putin è sostanzialmente solido, nel suo amalgama ormai collaudato dove i siloviki (gli uomini dell’apparato) e gli oligarchi hanno ormai spartito i ruoli e dove solo saltuariamente è necessario imporre correzioni dall’alto. Resta da vedere quanto saranno forti nel futuro prossimo le pressioni esterne, sia sull’economia, con la questione delle sanzioni occidentali, che sulla politica: se il conflitto in Ucraina ha avuto un effetto benefico per la verticale del potere in Russia, rafforzando la struttura a dosi di nazionalismo, dall’altro le divergenze con l’Occidente hanno isolato almeno in parte Mosca che si trova ora in una posizione comunque più difficile di prima. Vladimir Vladimirovich per ora non sembra comunque troppo preoccupato.

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