«Renzi e Silvio sono soci: eleggeranno il presidente»

«Renzi e Silvio sono soci: eleggeranno il presidente»

«Matteo Renzi è entrato in società con Silvio Berlusconi. E di solito quando due si mettono in società, la prima cosa che fanno è eleggere un presidente». Il senatore del Partito democratico Miguel Gotor ha pochi dubbi: sarà il Patto del Nazareno a determinare la scelta del successore di Giorgio Napolitano. Prima di quel momento, però, il Parlamento è atteso da altri impegni. L’approvazione dell’Italicum, ad esempio. Anche la nuova legge elettorale è frutto dell’intesa tra il presidente del Consiglio e il leader di Forza Italia. «Ed è una riforma a rischio di incostituzionalità» racconta Gotor. Professore di Storia moderna all’Università di Torino, stretto collaboratore dell’ex segretario Pierluigi Bersani, il senatore dem avverte: «Con l’Italicum oltre il 60 per cento dei deputati rischia di essere nominato». Al centro delle critiche finiscono due aspetti del provvedimento: i capolista bloccati e le dieci pluricandidature: «Tutti trucchi da professionisti della politica, inseriti per aumentare il controllo su chi entrerà nel prossimo Parlamento».

Senatore Gotor, per superare questi aspetti dell’Italicum lei ha depositato diversi emendamenti. 
Non solo io, ma una trentina di senatori del Pd. Partiamo dal presupposto che il Parlamento serve a fare le leggi e i parlamentari devono impegnarsi a farle nel modo migliore possibile. E che la legge elettorale, essendo fondamentale per definire i caratteri e gli equilibri di una democrazia, è una materia di specifica pertinenza parlamentare. 

Qual è il suo giudizio sull’Italicum?
La legge elettorale ha due indubbi aspetti positivi. Anzitutto il ballottaggio, con una soglia che è stata elevata dal 37 al 40 per cento. Questo risponde a una giusta e condivisibile esigenza di governabilità. Il secondo aspetto positivo riguarda la rappresentanza. Nella prima versione dell’Italicum le soglie di ingresso erano diverse e contraddittorie. Ora sono state unificate e portate al 3 per cento. Faccio notare che questi due aspetti corrispondono a due precise richieste avanzate dalla minoranza Pd all’indomani del voto alla Camera. Peccato che in quell’occasione i soliti Soloni del renzismo in servizio permanente effettivo ci avevano accusato di essere dei sabotatori e ci avevano spiegato che quell’accordo era intoccabile perché scaturito dal Patto del Nazareno. I fatti hanno dimostrato che così non era.

Quindi secondo lei si può ancora modificare l’Italicum.
Non so se c’è la possibilità di rivedere l’accordo, ma c’è il dovere di provarci. L’obiettivo di un parlamentare deve essere quello di approvare la migliore legge elettorale possibile nelle condizioni date. E sui singoli emendamenti saranno le Camere a decidere a maggioranza, secondo una normale e fisiologica dialettica parlamentare e democratica. 

Fa discutere la proposta di modifica che avete presentato per eliminare i cento capolista bloccati.
L’Italicum, così come viene presentato, di fatto prevede un Parlamento con circa il 60 per cento dei deputati nominati da tre-quattro “grandi nominatori” e il rimanente 40 per cento eletti con le preferenze. E ci tengo a precisare che il metodo delle preferenze è stato inserito dal secondo accordo tra Renzi e Berlusconi. Ma attenzione: le preferenze sono un optional nella disponibilità solo e soltanto di chi vince il premio di maggioranza. Il base ai nostri calcoli, una forza che conseguisse il 20 per cento (e quindi non un piccolo partito, come scrive qualcuno) eleggerebbe con le preferenze soltanto due deputati, oltre ai cento capolista bloccati. Questo è inaccettabile, soprattutto in considerazione del fatto che siamo impegnati in un processo di riforma del bicameralismo perfetto, che deve proseguire e realizzarsi, in base al quale avremo una sola camera politica, un solo rapporto fiduciario con il governo e un senato composto da eletti di secondo grado. Insomma, non è possibile che su 630 deputati il 60 per cento sia bloccato. Così si crea uno squilibrio istituzionale che non farà bene alla democrazia italiana perché il problema di fondo è restituire agli italiani il diritto di scegliere i propri rappresentanti per provare a ricucire lo strappo tra istituzioni e cittadini che dieci anni di Porcellum hanno certamente contribuito ad allargare.

Fin qui la critica. Ma come si supera questo problema?
Intendiamoci: per me il sistema ideale non sono le preferenze, ma i collegi uninominali medio piccoli, sui quali però c’è il veto di Forza Italia. Ma se devo scegliere tra un sistema di nuovo bloccato e le preferenze, allora mi bevo le preferenze e, dati gli attuali rapporti di forza, non capisco perché sia necessario concedere a Verdini un secondo diritto di veto. Bisogna trovare un punto di mediazione, che si può raggiungere perché noi non siamo contro il principio che ci possa essere una quota di candidati nominati. È importante garantire la presenza in Parlamento di competenze selezionate dal segretario del partito e di soggetti provenienti dal mondo delle professioni e dalla società civile, che altrimenti sarebbero penalizzati. Ma le proporzioni vanno invertite. Questo emendamento chiede che ci sia un 25-30 per cento di nominati con un listino circoscrizionale e il 70-75 per cento di eletti con le preferenze. È un emendamento che ha già raccolto 37 firme di senatori del Pd. Definirlo della minoranza sarebbe improprio, quindi, considerando che è stato sottoscritto da oltre un terzo dei senatori del gruppo. Non è tutto. Faccio notare che la creazione di un listino a parte con l’indicazione di massimo tre-quattro nominati, eviterebbe anche il rischio di incostituzionalità che potrebbe cadere sull’Italicum.

L’Italicum potrebbe essere dichiarato incostituzionale, come il Porcellum? 
I costituzionalisti che abbiamo sentito in Commissione ci hanno detto che è rischioso inserire in una stessa platea un candidato bloccato, certo di essere eletto, con altri che invece sono in competizione tra loro. Al di là del messaggio politico sbagliato che divide la rappresentanza in figli e figliastri ci potrebbe essere un problema di costituzionalità che il listino a parte di nominati consentirebbe di superare. Peraltro mi ha molto insospettito il fatto che alla Camera (dove si sta discutendo la riforma costituzionale, ndr), il governo non abbia voluto che l’Italicum sia sottoposto a un sindacato preventivo da parte della Corte, che in trenta giorni avrebbe potuto esprimersi sulla nuova legge. C’era un emendamento apposito della minoranza Pd. Ma l’esecutivo ha preferito non inserire questa norma, come se fosse consapevole dei rischi di incostituzionalità presenti nella legge elettorale che stiamo votando. Dopo quanto avvenuto con il Porcellum, dichiarato incostituzionale dopo tre tornate elettorali, e con tutto ciò che ne è conseguito sul piano della delegittimazione del Parlamento davanti all’opinione pubblica, perseverare in un simile errore sarebbe diabolico per la credibilità dell’intero sistema.

Non c’è solo il nodo dei capolista bloccati. Un altro emendamento a firma di Maria Cecilia Guerra chiede di limitare le dieci pluricandidature ammesse dall’Italicum.
Sì, è un emendamento che le riduce a tre. Non è possibile che l’uso e l’abuso delle pluricandidature, universalmente considerato un malcostume, un ulteriore metodo per controllare indirettamente chi entra in Parlamento, venga addirittura presentato come un elemento di virtù del sistema. Guardi, il combinato disposto tra pluricandidature e capolista bloccato produce un incrocio unico in Europa tra monarchia e feudalesimo. Monarchia, perché in tre o quattro decideranno la rappresentanza nella sola Camera che darà la fiducia al governo. E feudalesimo, perché se chi controlla un pacchetto di preferenze viene inserito come capolista bloccato, sarà in grado di far eleggere al secondo posto un suo vassallo e al terzo un valvassore. Questi sono trucchi da professionisti della politica, usati per aumentare il controllo su chi entrerà in Parlamento, che accentuerà ulteriormente la deriva oligarchica e plutocratica della democrazia italiana. È un’idea della democrazia che può piacere alla destra e a Verdini, ma non c’è motivo che sia assunta anche da noi.

Dopo la legge elettorale e la riforma costituzionale, il Parlamento dovrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica. È ancora presto per avanzare qualche candidatura?
In questo momento non ha molto senso fare nomi. Piuttosto è importante delineare alcune caratteristiche del prossimo presidente. Alcuni criteri che permettono già di tracciare un profilo. Per quanto mi riguarda i possibili candidati alla presidenza della Repubblica si contano sulle dita di una sola mano. Anzitutto serve l’esperienza politica. Non è il momento di un tecnico. Ci vuole una figura, non una figurina. Meglio autorevole che nuova. Poi sarebbe utile che il prossimo capo dello Stato avesse una specifica competenza economica e un campo di relazioni in grado di garantire l’Italia nel contesto europeo. Infine, concordo con Renzi sul fatto che il processo di riforme istituzionali in atto debba andare avanti e quindi sarebbe bene che il successore di Giorgio Napolitano avesse una buona esperienza costituzionale e cultura riformatrice.

Il premier Renzi è convinto che il presidente potrà essere eletto già dal quarto scrutinio, quando sarà sufficiente la maggioranza assoluta. 
Renzi ha un accordo di ferro con Berlusconi e i voti necessari per eleggere il Capo dello Stato usciranno da quell’intesa, verosimilmente dal quarto scrutinio in poi. Io sono tra quanti ritengono che il patto del Nazareno contempli anche la scelta del presidente della Repubblica. Del resto il premier è entrato in società con Berlusconi. E quando due si mettono in società, di solito la prima cosa che fanno è scegliere il nome del presidente. 

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