No, non è stata una prova di forza della maggioranza e neppure un voto di fiducia, come molti esponenti dell’opposione avevano insinuato, di cui il Governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni, aveva bisogno. No, niente di tutto questo. Quella dell’altroieri è stata una bella vittoria, per approvare un referendum consultivo con il quale si chiederà al popolo lombardo se è giusto o meno percorrere la strada dell’autonomia speciale per chiedere maggiori competenze allo Stato di Roma. All’indomani del risultato del referendum bisognerà elaborare una risoluzione con l’indicazione particolareggiata delle materie che saranno oggetto delle trattative con il governo di Roma. E a conclusione dei negoziati sarà possibile valutare il grado di autonomia conquistato per collocare la Lombardia nell’alveo delle regioni con uno statuto speciale, per via delle competenze che gestiscono.
È questa l’unica strada percorribile per combattere la crisi in atto, che si abbatte sulle famiglie e sulle imprese, e arginare quella che risulta una vera e propria rapina fiscale da parte dello Stato centrale. Una rapina che è stata recentemente quantificata dalla Cgia di Mestre: ogni lombardo versa annualmente all’erario oltre 11mila euro. E il residuo fiscale della Regione – che copre circa il 21% del Pil – ammonta a 54 miliardi di euro. Questa è la fisionomia della capacità contributiva della Regione Lombardia, derivante dalla sua forte vocazione economica e produttiva, ma anche dalla virtuosità e dalla lealtà dei suoi cittadini. La Lombardia è regione leader a livello europeo, inseritaattivamente nei “Quattro Motori dell’Europa” (insieme a Baviera, Baden Württenberg e Catalogna), e centro propulsivo della Macroregione Alpina. La sfida da vincere è quella di ottenere – grazie al consenso della gente – l’istituzionalizzazione di questa “specialità” della Lombardia per agguantare maggiori competenze. Lo diceva sempre Gianfranco Miglio che con il consenso della gente si può fare di tutto.
Attraverso l’articolo 116, comma 3, della Costituzione si possono chiedere tutta una serie di competenze tra le materie concorrenti dell’articolo 117 e le materie che i giuristi chiamano “innominate”, vale a dire quelle non espressamente indicate nella Carta. Quella dell’articolo 116, comma 3, è una strada già percorsa dalla Lombardia nel 2007; strada che si concluse con un nulla di fatto. Stavolta, alle spalle, ci sarà l’esito di un referendum e ciò indubbiamente darà forza alle trattative. Quella dell’altroieri è stata una bella vittoria di Maroni e della maggioranza che governa in Regione Lombardia. E il Governatore ha dimostrato tutta la forza del “modello lombardo”, uno schema politico che si sta rivelando efficace e incisivo, grazie all’autorevolezza istituzionale e alla capacità amministrativa del suo leader, Roberto Maroni. Al netto di tanti ragionamenti, forse è questo il vero modello di ricostruzione del centrodestra dal quale ripartire. Un modello nell’ambito del quale la lista civica del Presidente ha svolto un ruolo non marginale: chi scrive è stato colui che, un anno fa, ha impostato il percorso e l’altroieri è statoil relatore in aula della proposta referendaria.
È stata anche, la votazione referendaria, una bella vittoria del Movimento 5 stelle. Lo Statuto della Regione Lombardia prevede infatti che per l’approvazione dei referendum consultivi siano necessari i due terzi dell’Aula. A conti fatti, la maggioranza poggiava su 49 voti. Alla fine il referendum è passato con 58 (ce ne volevano 54). A favore, dimostrandosi assai sensibili per i temi dell’autonomia e del “lombardismo”, hanno votato anche i grillini. Con questa operazione si sono smarcati dalla cappa asfissiante del Pd, nell’ambito dell’opposizione. Hanno fatto centro con l’approvazione della legge sul voto elettronico, hanno resistito – con orgoglio e con fierezza – alle polemiche e alle offese, verbalmente anche violente, che gli rivolgeva il resto dell’opposizione, hanno recuperato una loro specifica identità politica, seria e responsabile. E hanno dimostrato di aver capito sino in fondo che la protesta fine a se stessa non porta da nessuna parte e non basta se non è accompagnata dalla proposta.
Di fronte a due vincitori, un grande sconfitto: il Pd. Che ha votato contro. Intendiamoci, era difficile sostenere la politica dei due forni di fronte a un provvedimento così esplicito e politicamente significativo, finalizzato a radicalizzare il conflitto con lo Stato centrale sulla base della virtuosità lombarda. E a nulla sono valse anche le inaccettabili polemiche sui costi del referendum, strumentalizzati ad arte alla vigilia e poi in aula. Al di là del fatto che, forse per la prima volta, si svolgerà ricorrendo al voto elettronico, occorre sottolineare con forza che la democrazia non ha prezzo. È risibile appellarsi ai costi quando si ricorre a uno strumento di democrazia diretta come il referendum per consultare il popolo. Anche perché – per effetto del mandato rappresentativo – ogni eletto siede in Consiglio regionale per tutelare, difendere e valorizzare l’istituto democratico.
A Roma il Pd governa. E il governo di Roma, con la riforma costituzionale del Titolo V, adesso in discussione – tra un cazzotto e l’altro – in Parlamento, sta dimostrando quel che intende fare con le regioni: sopprimerle, riducendone in modo drastrico i margini di autonomia politica e amministrativa. Come poteva fare “questo” Pd a votare a favore del referendum per l’autonomia? Nulla. E così è stato. Malgrado le significative aperture di Maroni, malgrado le ingiurie rivolte ai grillini e malgrado le professioni di fede autonomista sbandierate ai quattro venti dai suoi esponenti, il Pd ha eretto le barricate, s’è arroccato sulle sue posizioni e s’è isolato. La sfida cui adesso è chiamato è quella di trovare la strada per uscire dal corner. Sarà molto difficile. Perché in questa occasione il Pd ha dimostrato che vengono prima le ragioni del partito rispetto agli interessi e alle necessità cogenti del grande popolo lombardo di fronte alla drammatica crisi in atto e alla sistematica rapina fiscale da parte dello Stato burocratico e accentratore di Roma.
*Stefano Bruno Galli, capogruppo della Lista Maroni in Lombardia