Banche popolari, l’autarchia è solo un’illusione

Banche popolari, l’autarchia è solo un’illusione

Chi non ha ancora espresso il proprio parere schierandosi a favore o contro la riforma delle banche popolari? Pochi, direi. Giusto sentire tutte le campane per farsi una migliore opinione. Due giorni fa è arrivata quella della rappresentanza delle piccole imprese con una nota ufficiale di Rete Imprese Italia (associazione che raggruppa Confartigianato, Confcommercio, Cna, Confesercenti, Casartigiani). Comunicato che recita così:

Secondo Rete Imprese Italia, con la trasformazione in società per azioni delle banche popolari di maggiori dimensioni, c’è il rischio che venga snaturato il loro ruolo di attenzione e di sostegno ai territori nei quali sono insediate, allontanandole dai bisogni delle imprese. Il valore delle banche maggiormente ancorate al territorio sta soprattutto nella loro capacità e sensibilità non solo nel raccogliere numeri, ma anche informazioni qualitative sull’impresa e sull’imprenditore, sul suo excursus professionale e personale. Un Paese con milioni di piccole imprese e con grandi differenze tra territori, ha sempre più bisogno di una pluralità di soggetti creditizi solidi che abbiano vocazione e interesse a partecipare attivamente allo sviluppo di tutte le sue componenti.

Due i rischi derivanti dalla riforma indicati da Rete Imprese Italia: da una parte, è prevedibile una riduzione delle risorse destinate all’imprenditoria locale, così come avvenuto con l’introduzione dei Sistemi Interni di Rating nelle Banche; dall’altra, la riforma renderebbe le banche popolari trasformate in SpA contendibili, quindi acquistabili anche, e soprattutto, da operatori esteri, ossia da soggetti che perseguono ben altre finalità, essendo orientati alla massimizzazione degli utili da distribuire.

Dunque per Rete Imprese Italia la riforma non s’ha da fare.

Non esistono prove, anzi…

Ora con permesso vorrei passare in rassegna le motivazioni addotte e smontarle ad una ad una:

→ non esiste una prova inconfutabile che le 10 banche popolari oggetto della riforma e trasformazione in spa abbiano un’attenzione e diano un sostegno ai territori maggiore di quelle che sono già spa. Tutte le 10 popolari ad eccezione della Popolare Sondrio hanno ridotto il credito dal 2011 (vedi tabella), vi sono invece popolari che hanno violentato il territorio facendo male il mestiere dell’intermediazione (Banca Etruria) o rimanendo invischiate in indagini giudiziarie (BPM). Smettiamo di parlare di sostegno ai territori e parliamo invece di sostegno alle piccole imprese di qualsiasi territorio, su questo si può discutere ma servono dati veri e non se ne trovano molti sul credito tolto alle medio-grandi imprese e dato in cambio alle piccole. Dubito di questo trasferimento perché in banca è noto che le piccole imprese sono le più rischiose e molto spesso le più indebitate.

→ non esiste neppure una prova che le 10 popolari in questione siano più brave delle altre banche nel raccogliere “informazioni qualitative sull’impresa e sull’imprenditore, sul suo excursus professionale e personale”. Frequento molte piccole imprese e non ho mai constatato di persona alcuna differenza. Tutte le banche raccolgono e stivano poche informazioni qualitative e chi lo fa bene è solo per iniziativa dei singoli che hanno le qualità per farlo a prescindere dalla banca per cui lavorano. La prova del nove è che quando qualsiasi delle 10 popolari in esame sposta una persona da una filiale all’altra (assai frequentemente) il nuovo arrivato non ha alcuna informazione sugli excursus, molte volte non sa nemmeno cosa produce l’impresa. Esempi visti personalmente molti, trasferimenti da una filiale all’altra dall’oggi al domani senza passaggio di consegne visti personalmente in Lombardia.  Inoltre queste famose informazioni contano pochissimo nell’assegnazione del rating, che dipende da ben altri fattori. Tutte le 10 banche hanno sistemi interni di rating, cosa curiosamente confermata dalla stessa nota nel paragrafo successivo.

→ si rasenta il ridicolo, nel sostenere che la contendibilità delle 10 popolari aprirebbe il rischio di scalate da parte di banche estere che perseguono altre finalità. Prima di tutto non risulta a nessuno che Bnl, Cariparma e Friuladria abbiano penalizzato i loro clienti, a causa della proprietà estera (rispettivamente Bnp Paribas e Credit Agricole) e della volontà di massimizzazione dei profitti. Forse è più vero il contrario. Cercano di fare profitti -come tutte le banche- e di fare bene il loro mestiere. Secondo, e mi ripeto, devo ancora capire quale banca estera oggi sia interessata veramente a comprare una banca italiana con questo basso rendimento del capitale, con i problemi organizzativi, anche dopo un’eventuale pulizia delle sofferenze fatta attraverso la futuribile Bad Bank. Nessuna banca estera si è fatta avanti per comprare le banche in crisi (e quindi a prezzo di saldo): né Popolare Spoleto, Carife (offerta ripetutamente all’estero), né Banca Marche, né Carige. Se io fossi una banca estera comprerei solo Credem, ma questa purtroppo per le banche estere non è in vendita. Quindi chi scrive queste frasi roboanti usando parole pesanti  (vedi articolo su formiche.net):

A dir il vero, in questo modo le banche popolari diventeranno oggetto di scalate finanziarie e di attacchi speculativi che ne snatureranno la loro originaria funzione di sostengo allo sviluppo del territorio, delle pmi e delle famiglie. Molto probabilmente diventeranno pedine locali delle grandi banche too big to fail.

Penso stia strumentalizzando la possibilità di acquistare azioni in Borsa (che non significa necessariamente acquisire la quota di controllo) e comunque promuove tesi senza fondamento

→ esistono ahimè prove molto fresche che il tanto decantato abbraccio con il territorio è risultato in opacità, operazioni poco lecite indagate dalla magistratura proprio in alcune delle 10 popolari, ma – bisogna dirlo- anche in altre banche italiane, anche nelle casse di risparmio. Il territorio ha pagato salato i maneggi politico-bancari nelle Marche e in Umbria e ora paga la Toscana e la Liguria. Operazioni quasi mai fatte con le piccole imprese, ma con gli ‘amici’ del potere.

La riforma delle popolari è inevitabile, lo dicono qualificati osservatori italiani ed esteri e sarà fatta, anche con qualche compromesso (come sempre in Italia). Se Rete Imprese Italia vuole difendere le sue piccole imprese, deve cercare altri argomenti. Se vuole che le banche giudichino meglio il rischio di credito dei propri associati, abbandonando il rating, ne ha facoltà e diritto, ma lo deve chiedere a tutte le banche, nessuna esclusa. Accodarsi al partito trasversale di chi vorrebbe preservare il diritto di fare prevalere in assemblea le solite liste di consiglieri, espresse da una stretta minoranza, abilissima nella raccolta delle deleghe, senza mai produrre una documentata spiegazione delle proprie ansie popolari, non è una bella scelta.

A supporto di questo mio giudizio consiglio di leggere quanto è stato scritto sul Corriere del Veneto che ha intervistato un imprenditore, Bepi Covre, l’imprenditore leghista «eretico» della Sinistra Piave:

Della legge sulla trasformazione in spa che pensa? «È opportuna. Quando una popolare assume certe dimensioni, di popolare cos’è rimasto? Le banche territoriali possono essere le Bcc. Ma quando le banche territoriali diventano transnazionali siamo di fronte ad un ossimoro». Quando parla di trattamenti diversi si riferisce anche a Vicenza? «Sta tutto nei test Bce». Le procure accusano Veneto Banca di aver prestato soldi in cambio di acquisto azioni. «Azioni che fanno tutte le popolari. Se poi ci sono conflitti di interesse pesanti lì sì bisogna pestare duro». Per le popolari come Veneto Banca, tra trasformazioni in spa e fusioni, si apre un periodo difficile. «Sono affezionato al territorio, ma per difenderlo si deve andare oltre i campanili. In banca c’è ancora troppo conservatorismo. Viviamo una rivoluzione in cui il campanilismo non è un valore. Servono scelte coraggiose».