Centri per l’impiego: centralizzarli non serve

Centri per l’impiego: centralizzarli non serve

Articolo tratto da Lavoce.info

Il Jobs Act intende riportare a livello centrale i servizi pubblici per l’impiego. È un bene o un male? Il vero problema in Italia non è tanto che siano affidati agli enti locali. Ma che manchi una qualsiasi valutazione delle politiche e di chi è chiamato a realizzarle. Il confronto in Europa.

I SERVIZI PER L’IMPIEGO IN EUROPA
Le politiche attive del lavoro sono tutte quelle volte al collocamento o ricollocamento delle persone inoccupate e disoccupate. Nel 2002, Eurostat e Ocse stimavano che Francia, Germania e la maggioranza dei paesi scandinavi, spendevano più dell’1 per cento del proprio prodotto interno lordo in politiche attive (significa che in Germania si spendeva oltre 20 miliardi euro all’anno). Dal punto di vista della sussidiarietà orizzontale, vi è un crescente consenso verso la netta separazione tra governo dei servizi ed erogazione delle attività (servizi di orientamento, mediazione e formazione professionale), con una modernizzazione dei public employment services (Pes, termine per definire i servizi pubblici per l’impiego a livello europeo) che li veda al centro di una forte rete di cooperazione, se non di collaborazione, con altri attori (profit e non-profit) sul mercato del lavoro (www.ec.europa.eu). L’esternalizzazione dei servizi pubblici non è un fenomeno nuovo. Tuttavia, mentre in passato l’appalto era relativo al processo (ovvero alla sola erogazione del servizio), oggi l’attenzione si è spostata verso la “stipula” di contratti di rendimento. Un sistema che vede coinvolti una vasta gamma di attori, dove i Pes sono i “direttori d’orchestra” di una complessa sinfonia di attività del mercato del lavoro. La vera incognita è se il ruolo di “direttore d’orchestra” è meglio realizzarlo a livello centrale oppure a livello sub-nazionale. La lunga fase di decentramento amministrativo dei servizi pubblici avvenuta in Europa negli ultimi decenni, ispirata ai principi della New Public Management, considerava i Pes sub-nazionali (in Italia regioni/province) meglio attrezzati per orchestrare sinfonie in sintonia con i gusti locali. Ma non tutti i Paesi hanno deciso di delegare tali competenze e addirittura alcuni intendono oggi ri-centralizzare le funzioni attribuite a livello locale, esattamente come intende fare il Governo Renzi con il Jobs Act e l’eventuale modifica del Titolo V della Costituzione.

PREGI E DIFETTI DELLA GESTIONE A LIVELLO REGIONALE
Il dibattito su meriti o svantaggi del decentramento, inteso come “trasferimento di responsabilità per le politiche pubbliche” dal livello nazionale a quello sub-nazionale (in alcuni casi addirittura municipale), riguarda praticamente tutti i Paesi dell’Unione Europea, tanto che nel 2011 Hugh Mosley ha pubblicato sul tema un vero e proprio manuale. Innanzitutto esistono due tipi di decentramento: il decentramento amministrativo in cui ai Pes regionali o locali sono attribuiti maggiori margini di flessibilità nella realizzazione degli obiettivi di politica nazionale; e il decentramento politico (noto come devolution), che di solito comporta una delega di responsabilità di ampia portata per i Pes sub-nazionali (regionali, statali o comunali) anche per quanto riguarda i livelli di governo. Accanto alla differenziazione tra decentramento amministrativo e politico, Mosley definisce sette “componenti” di decentramento, quali: flessibilità di bilancio (livello di libertà dei Pes sub-nazionali nella gestione delle risorse finanziarie); flessibilità nel programma (quanto gli strumenti progettati centralmente possono essere adattati, oppure la libertà dei Pes sub-nazionali di progettare nuovi modelli); risorse umane (misura la libertà dei Pes sub-nazionali nel reclutamento, nella formazione e nella retribuzione del proprio personale); ammissibilità (misura la libertà da parte dei decisori locali di definire i criteri di accesso alle politiche attive del lavoro); consegna del servizio (misura quanto i Pes sub-nazionali possono modellare i processi organizzati, in particolare la gestione e raccolta dei dati amministrativi); outsourcing (i Pes sub-nazionali possono contrattare e strutturare la fornitura dei servizi al lavoro o formazione professionale tramite fornitori esterni); obiettivi di performance (misura quanto i Pes sub-nazionali possono strutturare gli indicatori volti alla verifica delle prestazioni utili al raggiungimento dei risultati). La tendenza verso la regionalizzazione del settore pubblico è attuata in modo molto eterogeneo dai paesi, ma proprio le elaborazioni di Mosley e quelle del rapporto Performance management in public employment services (ec.europa.eu) permettono di definire una schema comparativo.

A ciò si aggiunge, che secondo timo Weishaupt, le regioni (o sub-regioni) sono istituzioni in grado di realizzare pianificazioni territoriali o definire programmi di ricollocazione in maniera efficiente e “su misura” quanto e come lo Stato. La criticità non è il livello di governo (Stato o regione), ma piuttosto la concreta attuazione delle politiche: emergono in molti casi difficoltà di vedere realizzato nella pratica quanto previsto dal legislatore. I diversi argomenti teorici a favore e contro il decentramento, che sono riassunti nel seguente schema.

Nel primo schema risulta chiaro che non esiste un modello unico di “decentramento”, che in ogni caso non è una strada a senso unico, ma a doppio senso e con molte corsie. In altre parole, gli sforzi per decentrare alcuni aspetti amministrativi o di governance può richiedere la ri-centralizzazione di altre componenti, in una sorta di “Up-and-down” dove i cambiamenti possibili nel tempo sono frutto di compromessi nei quali il decentramento deve essere sempre un mezzo per il fine di una migliore efficacia o efficienza delle politiche attive del lavoro.

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