Guida per imparare a parlare l’araki

Guida per imparare a parlare l’araki

Se proprio non sapete cosa fare, potete dedicarvi all’apprendimento della lingua araki. Potrà giovarvi nello spirito, ma di sicuro non vi aiuterà a viaggiare molto. L’araki si parla solo a Vanuatu, che è uno stato insulare, e in particolare sull’isola di Araki. In tutto, è parlata da otto persone. È la lingua con meno parlanti al mondo. Non saranno grandi conversazioni, ma di sicuro avranno un tono molto intimo.

L’araki è, in sostanza, una lingua non morta, ma quasi. I giovani, che sono ribelli e scapestrati, hanno cominciato a parlare in Tangoa, più divertente, perché contiene molte più consonanti linguolabiali (sono consonanti formate unendo la punta della lingua al labbro esterno della bocca. Provate a casa). Gli altri abitanti dell’isola capiscono l’araki, più o meno come i giovani italiani capiscono il dialetto, ma non lo parlano. A volte riescono a emettere qualche frase, ma la ricchezza del vocabolario, le espressioni e i tic della lingua araki sono perdute per sempre.

Come si pronuncia una consonante linguolabiale

Esiste una grammatica che vi permetterà (se volete) di correre in soccorso della lingua araki. La ha compilata un linguista francese, Alexandre François, nel 2002. Da qui si scopre che l’araki ha cinque vocali (meno dell’italiano) e sedici consonanti (come l’italiano), anche se i suoni sono molto più difficili. Ad esempio ci sono due tipi di “r”, una “battuta” e una “trillante”. Solo chi parla bene araki riesce a distinguere i due suoni. Gli altri no. Sulla morfologia, tralasciamo ogni commento. Ci limitiamo a dire che è molto, ma molto difficile.

Insomma, per imparare bene la lingua, la grammatica di François è l’unica in circolazione (e pensiamo che lo sarà molto a lungo, forse sempre). In più lo studioso ha preparato anche un lessico, per imparare tutte le parole necessarie. Siete pronti? Nel grande bacino delle lingue del mondo (Vanuatu è lo stato con la maggior concentrazione di lingue sul pianeta) ne sta morendo una. In fondo, c’è poco da gioire. Sono suoni, come quelli di tutti, che non si sentiranno più.

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