Il Quantitative Easing della Bce e la vittoria elettorale di Syriza metteranno a dura prova la fibra dell’Europa; pur se pare oggi forte la spinta disgregatrice che potrebbe sfasciare tutto, essi forse finiranno per innescare una serie di eventi che imporranno a una riluttante Eurozona di darsi un governo sovranazionale.
La Ue nel suo insieme avrebbe sì nel Dna la meta di un’unione sempre più stretta, ma tale meta ormai svapora: non scalda tanti Stati, non compresi nel nucleo fondante del Trattato di Roma e il Regno Unito ha la testa già fuori. Dove urge un’integrazione forte, per motivi tecnici e politici, è nell’Eurozona (pur se lo squallore di tale nome denota disattenzione per le implicazioni politiche dell’unione economica e monetaria).
Oggi la Ue avrebbe nella Commissione il suo Governo, che risponde a un legislativo formato da due “Camere”, il Parlamento Europeo e il Consiglio della Ue: il primo (come la Camera bassa americana) ha deputati eletti in proporzione ai cittadini di ogni Stato, mentre nel Consiglio della Ue, come nel Senato Usa, tutti hanno eguale peso. Da un po’ quel nitido quadro è però sfigurato; purtroppo il Consiglio della Ue è ormai il vero esecutivo ed è nato un altro “Consiglio Europeo”, dal ruolo forzatamente sfocato.
Nell’Eurozona presto potrebbe imporsi un cambio di passo. Forse non a caso il presidente della Bce Mario Draghi in un intervento di fine 2014 sul Sole 24 Ore auspicava il rafforzamento dell’integrazione «in un rinnovato ordine istituzionale». Bisogna infatti passare da Regole a Istituzioni: i suoi peculiari problemi impongono all’Eurozona di darsi un proprio assetto istituzionale, magari partendo dalle proposte pubblicate su Die Zeit (17 ottobre 2013) dal Glienicker Gruppe. Le cessioni di sovranità e la maggior integrazione politica, ormai così ovviamente necessarie, possono avvenire solo nella “cooperazione rafforzata” dell’euro; se non si va avanti, si andrà indietro, nel caos.
È inutile ripetere le arcinote ragioni di fondo che lo impongono, basti citare qualche scampolo di cronaca. La Commissione Juncker vuole una Unione dei mercati dei capitali simile all’Unione bancaria, ma all’obiettivo non arriverà se, per tener buono il Regno Unito, l’affiderà a 28 autorità nazionali: sarebbe come pretendere che l’Unione bancaria possa funzionare lasciando la vigilanza alle banche centrali nazionali. Il solo modo per attuarla è di darne la responsabilità a un’entità europea – c’è già la European Securities Markets Authority – o, meglio, a una nuova Autorità per l’Eurozona.
Le linee-guida della Commissione Ue sui bilanci pubblici, pubblicate il 13 gennaio, danno sì più spazi ai Paesi in difficoltà per ridurre i tagli al deficit, ma lo fanno in base a calcoli e proiezioni indecifrabili dai cittadini di buona volontà; pane solo solo per i denti degli studiosi di finanza pubblica.
All’Eurozona serve un salto di qualità: non già altre regole per dirimere, in modo che vorrebbe essere neutrale, i rapporti fra Stati “sovrani”, ma nuove istituzioni di livello superiore, democraticamente rappresentative, cui quelli cedano competenze. Oggi un intrico di eccezioni e minute regole pretende di imbrigliare la discrezionalità che, in democrazia, è alla base di ogni decisione politica. La mancanza di fiducia fra Stati, illusi di poter viaggiare separati, in direzioni diverse, in un’unione economica prima ancora che monetaria, alza muri di regole per rassicurare i cittadini di uno contro le inadempienze dell’altro. I muri però possono reggere un condominio, non l’unione economica e monetaria; porteranno altra acqua al mulino non del populismo, ma del nazionalismo, il vero nemico che dietro il primo si cela.
Non lo vediamo solo al Sud, ma anche in tanti commenti tedeschi, cui sfugge che l’Italia non ha avuto un euro di aiuti; che noi la riforma delle pensioni l’abbiamo fatta, meglio di loro; che i bassi tassi d’interesse non danneggiano solo i risparmiatori tedeschi, anche quelli italiani. Il nazionalismo ormai pervade anche la Ue, perfino la stessa Bce: istituzioni dove si dovrebbe perseguire l’interesse europeo, e invece si difende apertamente, con fiera miopia quello (supposto) nazionale.
Non ho titolo a fare proposte articolate, per cui mancherebbe anche lo spazio, ma se una comunità politica vuol durare ha bisogno di istituzioni democratiche, non di minute regole condominiali. Bisogna avere il coraggio di dirlo: serve un Governo dell’Eurozona, con serie competenze rivenienti dagli Stati, che risponda a un Parlamento, uscito da elezioni vissute dai cittadini come espressione di volontà di una collettività politica. Servono dunque profonde modifiche dei Trattati; non si sa dove porterebbe questa strada se ci fosse la forza di imboccarla, ma si sa anche che l’alternativa è l’irrilevanza, non solo nostra. Certo, in tali entità l’Italia non peserebbe come la Germania, ma guardiamo in faccia la la realtà: oggi è molto peggio!
Come arrivarci? I governi nazionali, che fanno e disfano ma da simili rivolgimenti sarebbero molto ridimensionati, purtroppo si guardano bene dall’avviarli: i tacchini non votano per il Natale. Solo i cittadini dell’Eurozona, partendo dal compatto nucleo dei sei Paesi fondatori, possono avviare un movimento per cambiare il cuore di quell’Europa che, se scordasse le dure lezioni della sua Storia sarebbe condannata a riviverle. A questa stretta rischiamo di arrivare comunque, ma tardi, fra troppi anni, nel caos delle recriminazioni reciproche; è meglio darsi da fare subito, prima che la polvere confonda la vista e la mente.