La pilota ucraina che muore di fame nelle galere russe

La pilota ucraina che muore di fame nelle galere russe

In Ucraina è considerata un’eroina, in Russia un’omicida. Trentatré anni, occhi azzurri e capelli cortissimi, Nadiya Savchenko è divenuta sua malgrado il simbolo del conflitto nel Donbass. Ex ufficiale delle forze armate di Kiev, dalla scorsa estate è detenuta a Mosca. In sciopero della fame dal 15 dicembre, questa settimana un tribunale russo deciderà il suo destino.

Intanto la storia di Nadiya arriva in Parlamento. Un’interrogazione della deputata Pd Eleonora Cimbro porta all’attenzione della politica italiana il dramma della militare ucraina. Tutto a pochi giorni dall’atteso vertice di Minsk, quando i presidenti Petro Poroshenko e Vladimir Putin discuteranno il piano di pace franco-tedesco, al momento senza troppa speranza di trovare una soluzione. 

In questi mesi Nadiya è diventata il simbolo dell’orgoglio patriottico. Prima ragazza ammessa nella prestigiosa accademia aeronautica di Kharkov, unica donna a partecipare alla missione di pace in Iraq. Nel 2009 la giovane ufficiale ucraina diventa pilota di elicotteri d’attacco e cacciabombardieri. Un anno fa Nadiya lascia il suo reparto per andare a combattere nella regione di Luhansk, la regione contesa ai ribelli filorussi. Si unisce al battaglione Aidar, uno dei tanti battaglioni di volontari che affiancano le forze regolari contro i separatisti (spesso protagonista di abusi denunciati da Amnesty International).

Il 17 giugno Nadiya viene catturata durante un’azione. Trasferita in Russia pochi giorni dopo, «il 30 giugno – come si legge nel documento depositato alla Camera – la sua detenzione diventa ufficiale». Qui inizia il calvario. La commissione investigativa russa che si occupa della vicenda ipotizza la responsabilità dell’ufficiale nella morte di alcuni giornalisti. Sono due corrispondenti di Mosca. Secondo l’accusa è stata la pilota ucraina a fornire le coordinate che hanno permesso di colpire con alcuni mortai la troupe televisiva. Ma Nadiya sarebbe anche colpevole di aver volontariamente oltrepassato il confine, confondendosi tra i rifugiati. 

La versione di Kiev è molto diversa. Il legale di Nadiya è l’avvocato che tre anni fa ha difeso a Mosca le attiviste del gruppo Pussy Riot. Davanti alla commissione investigativa viene presentata una documentazione «indicante chiaramente l’innocenza dell’imputata», spiega l’interrogazione parlamentare. Secondo la difesa, la pilota ucraina è stata fermata dai separatisti filorussi prima dell’attacco che ha causato la morte dei giornalisti. E ne è quindi totalmente estranea. 

I legali denunciano le condizioni inaccettabili della detenzione. Per oltre un mese l’ufficiale ucraino viene trattenuto in un ospedale psichiatrico a Mosca. Per le autorità russe è una fase necessaria per i dovuti accertamenti medici. In realtà, spiega l’interrogazione alla Camera dei deputati, la permanenza ha l’obiettivo di isolare ancora di più Nadiya. Nella struttura non viene ammesso alcun osservatore internazionale. Anche i contatti con i legali sono rari. Un incontro a settimana. «I suoi colloqui sono controllati – si legge – avvengono da dietro un vetro, attraverso un telefono. È fatto obbligo di parlare solo in russo».

Russi e ucraini si smentiscono vicenda. Le autorità di Mosca assicurano di aver rispettato tutti i diritti della detenuta, a Kiev si denunciano le torture subite dalla giovane militare. «La luce della cella – spiega l’interrogazione della deputata italiana – è accesa 24 ore al giorno». Nonostante le richieste, a Nadiya vengono negate le cure mediche per un’acuta infiammazione all’orecchio. Fino a quando perde parzialmente l’udito. «Il suo trasporto coatto in Russia – si legge ancora nel documento di Montecitorio – è considerato sequestro dalle principali leggi internazionali». E ancora: «Le accuse verso di lei sono motivate politicamente e le prove non sono imparziali. Ciò in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

E così il 15 dicembre la Savchenko inizia uno sciopero della fame. In prigione rifiuta il cibo, accettando solo acqua e tè. In Ucraina è già un’eroina. Per il presidente Poroshenko la giovane soldatessa rappresenta «il simbolo del sacrificio del Paese. Imprigionata, ha dimostrato il fiero spirito di un militare che non tradisce la Madrepatria». Pochi mesi prima Nadiya è stata anche eletta in Parlamento. Un’elezione in absentia – durante il voto di ottobre – che le ha consentito di acquisire lo status di deputata. Non è una differenza di poco conto. Il nuovo incarico permette alle Camere di approvare una risoluzione che chiede ufficialmente a Vladimir Putin la liberazione della parlamentare. Richiesta a cui non segue alcuna risposta.

Ma non è solo il Parlamento ucraino a rivolgersi alle autorità russe. Lo scorso 18 settembre il Parlamento europeo, adottando una risoluzione sul conflitto ucraino, chiede al Cremlino il rilascio di alcuni cittadini di Kiev, compresa la Savchenko. Richiesta reiterata pochi giorni fa dal presidente ucraino Poroshenko. A richiedere la liberazione di Nadiya, solo poche ore fa, anche quattordici ministri degli Esteri Ue riuniti a Bruxelles.

Il destino della deputata ucraina potrebbe decidersi nelle prossime ore. Detenuta nel carcere di massima sicurezza di Lefortovo, a Mosca, i termini della custodia cautelare di Nadiya scadono il prossimo venerdì. La commissione investigativa ha chiesto di estendere le indagini fino a maggio e prolungare l’arresto. A breve un tribunale russo deciderà se accettare la richiesta. 

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