La Sardegna è il posto più pericoloso in cui intraprendere una carriera politica a livello locale. Sindaci e consiglieri comunali sono costantemente nel mirino di criminali e attentatori. L’ultima vittima in ordine di tempo è stato Francesco Fois, primo cittadino di Bultei, paese in provincia di Sassari. Nella notte tra il 25 e il 26 gennaio qualcuno ha pensato bene di piazzare una bomba di fronte al salotto della sua abitazione. Ordigno che, in base alle prime perizie, era stato progettato per uccidere. Schegge e chiodi non hanno lasciato nessuno a terra solo per pura casualità. Una deflagrazione capace di scuotere un’intera comunità e di far riflettere il primo cittadino in merito alle sue dimissioni. La vicenda assomiglia a decine e decine di fatti di cronaca. Sull’Isola è diventato quasi scontato che un politico possa rimanere vittima di attentati dinamitardi, incendi dolosi o essere destinatario di proiettili. I casi sono talmente numerosi che ormai non fanno più notizia. E non si pensi che ad essere colpiti siano solo gli amministratori impegnati in zone difficili o nei territori dove vige il Codice barbaricino. Qualche mese fa fu data alle fiamme l’auto del sindaco di Selargius, un grosso centro nell’hinterland di Cagliari. Elementi in grado di dimostrare tutta la gravità del fenomeno.
A mettere nero su bianco dati e cifre ci ha pensato l’Università di Sassari. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio sociale sulla criminalità la Sardegna è saldamente al comando della classifica relativa alle intimidazioni ai danni degli amministratori locali con 1108 casi nel triennio 2011- 2013, con dati cinque volte superiori alla Campania e volte la Sicilia. Il fenomeno ovviamente non ha origini recenti. Tanto che ogni ministro dell’Interno è costretto a confrontarsi con gli attacchi ai rappresentanti dello Stato. Vengono inviati messaggi su carta intestata, si promette attenzione per poi lasciare tutto come prima. A metterci una pezza ci ha pensato la Regione Sardegna nel 1998, quando fu promulgata una legge che prevede dei risarcimenti per gli amministratori locali vittime di fatti di violenza. Le spese hanno però raggiunto un livello talmente elevato da lasciare quasi vuoto il relativo capitolo nel bilancio regionale.
Gli attentati a danno dei sindaci sono anche al centro dei lavori di una commissione parlamentare d’inchiesta istituita al Senato, organo inquirente presieduto dalla senatrice del Partito democratico Doris Lo Moro. La scorsa estate si è proceduto anche all’audizione del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Il leader del Nuovo Centrodestra aveva spiegato come «nel 2013 gli atti di intimidazione nei confronti di amministratori locali rilevati sull’intero territorio nazionale sono stati 668, mentre nel solo primo quadrimestre di quest’anno sono stati 321. Questo dato sembra purtroppo indicare un trend incrementale». Secondo i dati in possesso delle Prefetture la Lombardia sarebbe la regione più colpita nel settentrione mentre in Sicilia e Calabria ci sarebbe un andamento in sintonia con la media registrata negli scorsi anni. A preoccupare i vertici del Viminale sono stati però i numeri relativi a Toscana ed Emilia-Romagna, territori dove si è registrato un incremento di violenze molto rilevante. In base alle rilevazioni del ministero dell’Interno sono stati soprattutto i sindaci, 44,5 per cento, a subire intimidazioni, seguiti dai componenti delle giunte comunali, 21,8 per cento, e dai consiglieri, 20,1 per cento. Nel 10 per cento dei casi, gli episodi hanno avuto ad oggetto beni o mezzi di appartenenza degli enti locali. Per buona parte degli episodi, ossia il 41,5 per cento, la matrice rimane ancora ignota come altrettanto ignota rimane l’identità dei responsabili. Un fatto però è certo: le intimidazioni connesse all’attività delle mafie rappresentano una minoranza. Nella quasi totalità dei casi le Forze dell’ordine sono costrette a misurarsi con reati perfezionati da chi intende contrastare l’azione amministrativa di una Giunta o intende minacciare direttamente il singolo amministratore. Angelino Alfano, durante la sua audizione, aveva promesso l’istituzione di un database dei fatti criminali a danno dei sindaci e la costituzione di “nuclei tecnici” presso le Prefetture. Parole che non hanno avuto nessun tipo di seguito. Al contrario, i singoli territori hanno dovuto fare i conti con il taglio dei presidi di Polizia e con la chiusura di diverse stazioni dei Carabinieri. Così come disposto da un piano predisposto dallo stesso Viminale.
Negli scorsi giorni l’Anci e trecento sindaci eletti in Sardegna hanno portato la propria solidarietà al primo cittadino di Bultei. Gli eletti sanno benissimo il perché dell’impennata nel numero di reati a loro danno. Sono spesso gli unici rappresentanti di uno Stato capace di manifestarsi solo quando si tratta di versare tributi o inviare salate cartelle esattoriali. Il grido di allarme riguarda anche l’abbandono dei territori. A chiudere i battenti non sono solo le stazioni dei Carabinieri, stanno fuggendo dai paesi dell’interno anche le Poste e le scuole. Una razionalizzazione – spesso scriteriata – che rischia di lasciare solo in trincea chi ha deciso di dedicare la sua vita alla comunità. Amministratori che rischiano la propria incolumità per un’indennità che ha raggiunto livelli davvero miseri. La Giunta regionale e i parlamentari eletti in Sardegna hanno chiesto al Viminale di intervenire con forza sul fronte della prevenzione. La prossima intimidazione è solo questione di tempo.