TaccolaL’export dei distretti cresce più di quello tedesco

L’export dei distretti cresce più di quello tedesco

Giù le cautele: il 2015 è l’anno della svolta e il 2016 andrà ancora meglio. Alla presentazione del settimo rapporto annuale di Intesa Sanpaolo sull’economia e finanza dei distretti industriali, a dirlo più volte è stato lo stesso consigliere delegato della banca, Carlo Messina. «Nei giorni scorsi ho incontrato in un roadshow 80 investitori tra i più importanti al mondo. L’impressione che ne ho tratto è che vedono un punto di svolta: il nostro Paese, che è sempre stato considerato a crescita zero, ora viene visto come un’opportunità di investimento». Merito dei vari fattori esterni che si sono allineati (cambio, Qe, prezzo del petrolio) ma anche di farina del sacco del governo, come il Jobs Act e la riforma delle banche popolari. 

A guidare la ripresa saranno proprio i distretti industriali. Lo dicono gli imprenditori, il cui «mood sta cambiando in positivo», come sottolinea il chief economist di Intesa, Gregorio De Felice, ma lo dicono soprattutto i numeri. Uno su tutti: dai distretti deriva il 62% dell’avanzo commerciale del manifatturiero italiano, vale a dire 60 miliardi di euro. «I distretti sono l’area produttiva che più ha avuto miglioramenti in termini di esportazioni – commenta -, più del totale dell’industria tedesca e di quella francese».

Non è che le aziende dei distretti vivano in un altro mondo rispetto a chi ne sta fuori: anche loro hanno chiuso il 2012 con una perdita di fatturato del 3% e nel 2014 la loro risalita sarà pari solo all’1 per cento. Ma qualunque indicatore si guardi, la risposta è univoca: i distretti sono più solidi e stanno ponendo le basi per uno sviluppo più duraturo rispetto al resto dell’economia reale.

Le imprese nei distretti, dati alla mano (si vedano le tabelle) hanno maggiore capacità di registrare brevetti e marchi, esportano di più, fanno più investimenti diretti all’estero. Inoltre dimostrano di aver accresciuto maggiormente i propri patrimoni negli ultimi anni e sono state più capaci di crescere come dimensioni.

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Il risultato di questi fattori è dopo il +0,9% del 2014, le previsioni sono di una crescita del fatturato complessivo del 3,1% nel 2015 e del 3,2% nel 2016. Alla fine del 2015 i distretti avranno quasi interamente recuperato i livelli di fatturato del 2008, chiudendo definitivamente il gap accumulato nel quadriennio 2008-2012. L’intero manifatturiero italiano non ci riuscirà prima del 2018. 

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Per De Felice è un motivo di soddisfazione anche personale: «Dal 2006-2009 i distretti sono andati peggio dell’industria – dice -. Questo spinse molti commentatori a dire: “i distretti sono morti”. Non ci abbiamo mai creduto, perché abbiamo sempre visto delle realtà forti. Ora si dovrebbe dire che i distretti sono risorti. In realtà non sono mai morti».

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Secondo il capo economista di Intesa, «la specializzazione distrettuale dell’Italia è molto elevata anche nel contesto europeo.  Non è vero che siamo specializzati nei settori sbagliati. L’Italia continua ad avere una leadership che altri Paesi ci invidiano».

Se la maggiore reattività dei distretti era già emersa nelle edizioni precedenti dei rapporti, la novità è l’interesse verso le aziende che li compongono da parte di capitali stranieri. «I distretti sono capaci di andare all’estero ma storicamente la quota di capitale entrata nei distretti è stata bassa – ha detto Fabrizio Guelpa, responsabile della Ricerca Industry & Banking di Intesa Sanpaolo -. Ora stanno entrando ed è un segnale importante delle potenzialità che ci sono sul territorio». 

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Le imprese estere hanno un ruolo importante perché, pur essendo numericamente poche e pur occupando un numero limitato di addetti, generano quote rilevanti di valore aggiunto, fatturato e soprattutto ricerca e sviluppo. «Un quarto della ricerca e sviluppo delle imprese di questo Paese è effettuato da aziende con proprietario estero – spiega Guelpa -. Se aumentasse peso straniero ci sarebbe una parziale risoluzione di un problema atavico dell’Italia, la mancanza di innovazione».

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Il caso più emblematico è quello delle multinazionali che investono nel farmaceutico, uno dei poli tecnologici che è più cresciuto negli scorsi anni, secondo solo a quello aeronautico. Fatti 100 i brevetti del settore farmaceutico, 82 vengono da aziende appartenenti a settori. 

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Un altro passo avanti è il rafforzamento del patrimonio, cresciuto del 10,8% dal 2008, due punti e mezzo in più rispetto alle aziende fuori dai distretti. Gli appelli di Mario Draghi e Ignazio Visco stanno quindi trovando una risposta, spesso obbligata, dalle aziende. 

Le criticità nei vari distretti industriali comunque permangono e sono almeno di tre tipi: una differenza di redditività molto ampia tra imprese migliori (ebitda 17%) e peggiori (-2,3%); una grande sofferenza delle micro imprese nei distretti, che hanno accumulato un calo di fatturato vicino al 20 per cento; la debolezza di alcuni distretti, come le cucine di Pesaro o gli elettrodomestici della Inox Valley. 

La capacità dei distretti di dimostrarsi più reattivi del rispetto al resto dell’economia reale è messo a rischio dalla riforma delle banche popolari? Messina non ha dubbi: «Non credo che la riforma porterà a una modifica nel modello di erogazione di credito. Le banche vivono perché fanno raccolta e fanno crediti, non per la loro forma societaria. L’impatto sui clienti ci potrà essere solo in caso di fusioni: se ci sarà una diminuzione delle filiali, come conseguenza, delle fusioni, ci potrà essere minore attenzione nei confronti dei clienti, ma sarà temporanea».  

La presentazione completa del sesto Rapporto annuale sull’Economia e finanza dei distretti industriali

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