Dopo più di quattro anni di trionfi elettorali è arrivato il primo stop per il premier ungherese Viktor Orbán. Alle elezioni suppletive di domenica 22 febbraio, per il seggio vacante della città di Vezsprém – lasciato dall’ex ministro Tibor Navracsics, ora Commissario europeo all’Educazione, Cultura, Politiche giovanili e Sport – il partito di governo Fidesz è stato sconfitto da un candidato dell’opposizione. Orbán ha così perso la maggioranza dei due terzi in Parlamento, la soglia di sicurezza che finora gli aveva permesso di modificare la Costituzione. Una sconfitta che arriva proprio a pochi giorni dalla contestata visita di Vladimir Putin a Budapest, che aveva provocato le critiche di molti governi europei.
«La politica amichevole di Orbán verso la Russia può aver alimentato l’ondata di scontento che sta crescendo nella società», spiega Bulcsú Hunyadi, analista di Political Capital, think tank indipendente con sede a Budapest. «Fidesz ha perso molti punti in tutti i sondaggi, e le stesse rilevazioni mostrano che la maggioranza degli ungheresi è orientata verso l’Ovest e gli Stati Uniti. In più, i molti casi di corruzione, e alcuni passi falsi, come il tentativo di introdurre una tassa su Internet, hanno sicuramente pesato».
La scelta di accogliere Putin a Budapest, il 17 febbraio, aveva sfidato il consenso della Ue sull’interruzione dei meeting bilaterali degli Stati membri con la Russia. Una decisione presa dai leader europei dopo l’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines sui cieli dell’Ucraina dell’est. Già la scorsa estate, Orbán aveva stupito gli osservatori occidentali con un discorso, tenuto in Romania, in cui aveva lodato il modello di “democrazia illiberale” della Russia e di altri stati autocratici.
In effetti le somiglianze tra i due leader non sono poche, specie dal ritorno al potere di Orbán, nel 2010. «Da quel momento, con la maggioranza dei due terzi – spiega ancora Hunyadi –il primo ministro ha sconvolto il sistema di pesi e contrappesi che regolava la democrazia ungherese. L’autonomia della Corte Costituzionale è stata fortemente minata, e tutte le figure politiche di garanzia sono state occupate da suoi fedelissimi».
«In ambito economico – continua l’analista di Political Capital – interi settori sono stati riorganizzati per fare spazio a “clienti politici”, che negli slogan governativi vengono chiamati “capitalisti nazionali”. È successo, ad esempio, nel commercio del tabacco, nel sistema bancario, e spesso anche per quanto riguarda molte attività al dettaglio».
L’intervento governativo è stato pesante anche nel mondo dell’informazione. Human Rights Watch denuncia una «situazione di condizionamento della libertà dei media» nel paese. Balasz Nagy Navarro, ex reporter della tv di Stato, è stato suo malgrado protagonista di uno dei casi più eclatanti: «Con alcuni colleghi avevo iniziato a protestare perché un dirigente della tv, vicino al partito di Orbán, aveva ordinato di far oscurare, durante un servizio giornalistico, il volto di un ex presidente della Corte suprema, critico nei confronti del governo. C’erano stati altri episodi, ma questo passava il limite, e abbiamo iniziato un sit-in permanente di fronte alla sede della tv». Per questo Nagy Navarro ha perso il suo lavoro, ed è stato anche sotto processo per “proteste illegali” (venendo poi assolto).
L’ascesa al potere di Orbán e del suo partito Fidesz, che fa parte del PPE ma usa toni fortemente populistici, è stata oggetto di attenzione da parte di analisti politici e storici. «In Ungheria c’era moltissima speranza per l’integrazione europea, ma è stata totalmente compromessa dalla macelleria sociale causata da diverse decisioni economiche. Molti ungheresi pensano che il paese sia stato svenduto alle multinazionali estere», spiega Antonello Biagini, storico, e uno dei massimi esperti italiani di Europa dell’Est. L’Ungheria è stata, infatti, il primo paese della Ue a dover ricorrere al bail-out della “Troika”, nel 2008. «E non vanno dimenticati anche gli scandali che hanno minato la credibilità del partito socialista, che ha governato il paese prima di Orbán», continua Biagini. Nel 2006 ci furono proteste di piazza dopo l’uscita di una registrazione in cui l’allora primo ministro Gyurcsani rivelava di aver «mentito agli elettori».
Dopo le aperture nei confronti di Putin, Orbán si è comunque allineato al consenso europeo quando ha deciso di votare le sanzioni nei confronti della Russia, pur avendole criticate in alcune occasioni. E anche per quanto riguarda la visita del presidente russo a Budapest, il politologo Hunyadi è prudente: «è stata un forte motivo di imbarazzo per Orbán, perché ha mostrato quanto l’Ungheria di oggi sia in bilico tra Occidente e Russia. Il primo ministro ha provato a giustificare la visita con gli accordi energetici firmati con Putin, ma non è sembrato credibile: la maggior parte di questi erano già noti, o simbolici. Ora, dopo la sconfitta elettorale, Orbán potrebbe riallinearsi decisamente a Ovest. Anche le pesanti critiche ricevute dalla Polonia, tradizionale alleato nella regione, potrebbero convincerlo a farlo».
La posizione strategica dell’Ungheria è ricca di contraddizioni. Anche se, dall’inizio della crisi ucraina, la pesante dipendenza energetica nei confronti della Russia si è attenuata, Orbán conta comunque di ricevere da Mosca un prestito di dieci miliardi di euro per la costruzione di due reattori nucleari nella centrale di Paks, l’unica del paese. D’altro canto, proprio in questi giorni, sono in corso esercitazioni militari congiunte dell’esercito ungherese con quello degli Stati Uniti, e l’Ungheria potrebbe ospitare in futuro la “forza di intervento rapido” della Nato. Il destino del paese sembra ancora sospeso tra Est e Ovest.