Si fa presto a dire Aventino. Gli oppositori del premier avevano promesso battaglie, assicurato un fronte comune e una dura opposizione alle riforme di Matteo Renzi, ma al momento della verità si sono scoperti quasi ininfluenti. Separati, ognuno è andato per la sua strada. Dei gruppi parlamentari che avevano deciso di disertare l’Aula di Montecitorio in segno di protesta resta fedele alle intenzioni solo il Movimento Cinque Stelle. Lega Nord e Sinistra Ecologia e Libertà cambiano idea e decidono di partecipare al voto sulla riforma del bicameralismo per lasciare agli atti il proprio dissenso. Forza Italia si spacca: tutti i deputati berlusconiani votano contro il disegno di legge, ma una ventina di loro affida a un documento il forte disagio per la scelta non condivisa. E poi c’è la minoranza del Partito democratico. Tra un ultimatum e l’altro, alla fine si allineano quasi tutti al premier. Salvo poche eccezioni gli avversari interni di Renzi denunciano la forzatura dell’esecutivo, ma preferiscono rimandare lo scontro alla prossima occasione. Se questo è il fronte delle opposizioni al governo, per il momento il premier può dormire sereno.
Intanto il presidente del Consiglio celebra il successo. La riforma costituzionale ottiene il via libera della Camera con 357 sì, 125 voti contrari e solo 7 astenuti. «Voto ok alla Camera – scrive Renzi su Twitter – Un Paese più semplice e più giusto». Dopo le Regionali, il provvedimento tornerà in Senato, probabilmente nelle stesse settimane in cui Montecitorio dovrà approvare l’Italicum. La vera sfida con le opposizioni, probabilmente, si consumerà allora. A Palazzo Chigi vogliono chiudere la partita della legge elettorale alla Camera, senza intoppi. In caso di modifiche al testo, infatti, il provvedimento dovrebbe tornare al Senato, dove i numeri della maggioranza sono più incerti.
Nel frattempo salta la regia unica delle opposizioni alla riforma costituzionale. Ammesso che sia mai esistita. I gruppi parlamentari che qualche settimana fa avevano deciso di disertare il voto per protesta ora si muovono in ordine sparso. A colpire è soprattutto la spaccatura dentro Forza Italia. A Montecitorio i settanta deputati berlusconiani votano compatti contro la riforma, come deciso dai vertici. Fa eccezione solo l’ex ministro Gianfranco Rotondi. Eppure i lavori parlamentari finiscono per evidenziare le spaccature all’interno del partito. Intervenuti in dissenso dal gruppo, alcuni deputati vicini al ribelle Raffaele Fitto prendono la parola in Aula per marcare le distanze del gruppo. Sottolineando la coerenza della propria linea politica, in opposizione al governo anche quando i vertici del partito partecipavano attivamente alla stesura delle riforme.
Ma a distinguersi sono anche una ventina di “nostalgici” del Patto del Nazareno. Diciotto deputati, in larga parte vicini a Denis Verdini, che prima del voto spiegano in una lettera aperta le ragioni del proprio voto contrario alla riforma. Una scelta giustificata dall’affetto per Silvio Berlusconi. «Voteremo come da te indicato – si legge nel documento – non per disciplina di gruppo ma per affetto e lealtà nei tuoi confronti». In ogni caso «situazioni simili, in futuro, non potranno vederci silenti». Secondo qualcuno è il segnale che presto, se necessario, alcuni di loro potrebbero decidere di strappare. Magari votando in linea con la maggioranza. Magari proprio al Senato, dove gli equilibri sono più delicati e l’apporto di un piccolo gruppo di parlamentari potrebbe fare la differenza. Tra le righe non manca una serie di critiche, fin troppo esplicite, all’operato dei vertici del gruppo parlamentare. Colpevole di un «deficit di democrazia». A Palazzo Cihigi osservano lo scontro con interesse. Se questa è la tenuta di uno dei principali partiti d’opposizione, in vista dei prossimi appuntamenti parlamentari Renzi può tirare un sospiro di sollievo.
Discorso a parte per la minoranza Pd. In Aula prendono la parola i principali protagonisti del dissenso interno. Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre e Gianni Cuperlo avvertono il premier: se il governo non riaprirà il confronto sulle riforme, in particolare sull’Italicum, sono pronti a schierarsi contro l’esecutivo. Intanto, però, salvo poche eccezioni votano tutti a favore della riforma istituzionale. Una scelta che non li entusiasma, ammettono. Ma «condizionata alla volontà di non far fallire il percorso riformatore» come chiarisce un documento di Sinistradem nel pomeriggio.
Insomma, i dubbi e le riserve restano. Ma per ora nessuno si sente pronto ad andare oltre le critiche. Sulle riforme costituzionali sono solo in tre ad astenersi. Mentre una decina di deputati non partecipa al voto in segno di protesta, tra di loro Pippo Civati, Stefano Fassina e Francesco Boccia. A sentire la minoranza, la battaglia è rimandata di qualche tempo, quando l’Italicum arriverà alla Camera. «La legge elettorale, se non viene toccata, così com’è non è votabile» avverte Pierluigi Bersani. Resta un dubbio. Chi garantisce che in primavera, chiusa l’intesa con la Lega per le elezioni Regionali, Forza Italia non riaprirà un dialogo con il governo? In quel caso i voti della minoranza dem finirebbero per essere ininfluenti, come i propri veti. Senza contare che al momento il governo non sembra troppo disponibile a modificare la legge elettorale. Ipotesi che obbligherebbe il provvedimento ad un nuovo – e più rischioso – passaggio al Senato.