Gli organoidi cerebrali contro l’Alzheimer

Gli organoidi cerebrali contro l’Alzheimer

Quando Madeline Lancaster mette una piastrina di plastica trasparente controluce, all’incirca una dozzina di grumi di tessuto delle dimensioni di piccole perle barocche ondeggiano all’interno di un liquido color pesca. Si tratta di organoidi cerebrali, che possiedono alcune caratteristiche del cervello umano nel suo primo trimestre di sviluppo – lobi e corteccia inclusi. Questi gruppi di tessuto umano non sono propriamente dei “cervelli cresciuti in vitro”, come descritti da alcuni, ma aprono una nuova finestra sul modo in cui i neuroni crescono e funzionano, e potrebbero cambiare la nostra comprensione di tutto quello che riguarda il cervello, dalle attività cerebrali di base alle cause di schizofrenia e autismo.

Prima di crescere in una delle piastrine della Lancaster, un organoide cerebrale parte da una singola cellula prelevata dalla pelle di un adulto. Con le giuste sollecitazioni biochimiche, questa cellula può essere trasformata in una cellula staminale indotta pluripotente (il genere che può maturare in una di diverse tipologie di cellule) e quindi in un neurone. È così possibile fare cose che un tempo sarebbero state impossibili. Gli scienziati possono ora osservare direttamente in che modo si sviluppano e funzionano le reti di cellule cerebrali umane viventi, e come diversi farmaci o modifiche genetiche possono influire su di esse. Inoltre, siccome questi mini-cervelli possono essere cresciuti utilizzando le cellule di una persona specifica, gli organoidi potrebbero funzionare da modello accurato per un’ampia gamma di malattie. Cosa succede, ad esempio, nei neuroni derivati direttamente da qualcuno affetto da morbo di Alzheimer?

La prospettiva di trovare risposte a domande simili sta portando società farmaceutiche e ricercatori accademici a ricercare collaborazioni con la Lancaster a Jürgen Knoblich, il cui laboratorio presso l’Institute of Molecular Biotechnology (IMBA) di Vienna, in Austria, è la sede dove la Lancaster ha sviluppato gli organoidi dopo il suo dottorato. La prima di queste collaborazioni è stata un’investigazione sulla microcefalia, un disordine caratterizzato dalle dimensioni ridotte del cervello, assieme a Andrew Jackson dell’Università di Edimburgo. Utilizzando alcune cellule derivate da pazienti affetti da microcefalia, il team ha cresciuto in coltura degli organoidi che condividevano alcune caratteristiche del loro cervello. I ricercatori hanno quindi sostituito una proteina difettosa associata a questo disordine e sono riusciti a crescere organoidi che parevano parzialmente curati.

Secondo la Lancaster, questo sarebbe solo l’inizio. Ricercatori quali Rudolph Jaenisch del MIT e Guo-li Ming della Johns Hopkins stanno cominciando a utilizzare gli organoidi cerebrali per investigare autismo, schizofrenia ed epilessia. A rendere gli organoidi cerebrali particolarmente utili è il fatto che la loro crescita rispecchia alcuni aspetti dello sviluppo di un cervello umano. Le cellule, ad esempio, si separano, assumono le caratteristiche del cervelletto, si raggruppano in strati e cominciano a ricordare la struttura tridimensionale di un cervello. Se qualcosa va storto lungo strada – e per scoprirlo basta osservare crescita degli organoidi – gli scienziati possono ricercare le potenziali cause, i meccanismi e persino trattamenti farmacologici.

Il passo in avanti con la creazione di questi organoidi è la conseguenza di un progetto secondario. I neuroni erano già stati cresciuti su piastrina da altri ricercatori, ma la Lancaster ha cominciato con l’utilizzare un piatto piano per “giocare” con le cellule staminali neurali – il genere che si trasforma in neuroni o in altre cellule del sistema nervoso. Alle volte, racconta, «ottenevo delle cellule staminali neurali che non rimanevano bidimensionali, ma cadevano dal piatto e formavano grumi tridimensionali – e piuttosto che ignorarli o buttarli via, ho pensato “Interessante – vediamo che succede se lascio che continuino a crescere”». C’era però una sfida importante da risolvere: come fare a nutrire il tessuto al centro dell’organoide senza poter beneficiare di vene. La soluzione della Lancaster è stata quella di incapsulare ciascun organoide in una matrice conosciuta come coltura cellulare, depositare una dozzina di questi grumi in un bagno nutrizionale, e scuotere o ruotare il tutto per garantire il contatto con cibo cellulare.

Una sezione colorata di un organoide vista da vicino.

Da quando ha pubblicato il suo metodo, la Lancaster ha portato i tessuti cerebrali a nuovi livelli di complessità, con neuroni in fasi di sviluppo più avanzate. Il numero di applicazioni possibili aumenta con ciascuno sviluppo. Quella più allettante, per la stessa Lancaster, è la prospettiva che gli organoidi cerebrali potrebbero risolvere i misteri più profondi: cosa succede nel nostro cervello per distinguerci dagli animali? «Sono principalmente interessata a scoprire cos’è che ci rende umani», dice.

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