Il Pd romano? «Un partito cattivo e pericoloso»

Il Pd romano? «Un partito cattivo e pericoloso»

Il Pd di Roma è un partito «non solo cattivo, ma pericoloso e dannoso: dove non c’è trasparenza e neppure attività». Ma il Pd di Roma è anche un partito «davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza». Senza dimenticare quel Pd di Roma «dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell’autorefenzialità». A raccontare le mille facce del Partito democratico della Capitale è Fabrizio Barca, responsabile della squadra #mappailPd. Un progetto coraggioso e innovativo, voluto dal commissario Matteo Orfini in seguito allo scandalo di Mafia Capitale. L’obiettivo è chiaro: valutare la capacità di inziativa politica dei singoli circoli e provare a ripartire dalle esperienze migliori, e spesso poco visibili, del partito sul territorio. «È una mappatura dei punti di forza e di debolezza» spiega Barca. Una radiografia del Pd romano dai risultati ancora parziali, inattesi, per certi versi impietosi. 

La strada è lunga. Se oggi Barca presenta la prima relazione sul partito che ha incontrato sul territorio, i risultati finali della mappatura arriveranno solo a fine maggio. Da dicembre a oggi la squadra coordinata dall’ex ministro ha incontrato una cinquantina di circoli. Ne mancano altrettanti. Si tratta di realtà spesso molto diverse per geografia e bacino territoriale. «Dalle realtà da “200 tessere in due ore” a quei circoli talmente schiacciati sull’amministrazione da essere orfani di un pensiero proprio». Si passa dal circolo Celio-Monti (7mila abitanti) a quello di Torbellamonaca (70mila). E così per coprire tutto il territorio il team di Barca è stato diviso in cinque squadre. Ognuna ha incontrato le strutture che le sono state assegnate, presentando un questionario di 49 domande al responsabile e al coordinamento del circolo. In media una quindicina di interlocutori ogni volta. 

L’accoglienza? Non sempre entusiasta. «A volte ci hanno trattato bene, altre volte male. Qualcuno ci ha proprio insultato» racconta ridendo uno dei protagonisti della mappatura. Persino la relazione di Barca si sofferma sulle reazioni a caldo della base Pd. Fin dalla prima telefonata di contatto «c’è chi: “Provace a venì qui che poi vedemo”, chi “ho da fare fino a primavera”, anche anche… “finalmente ci avete chiamato!”». Inutile dire che non tutti gli iscritti sul territorio hanno risposto volentieri alle domande. «Nei circoli molti ci chiedevano quasi indignati: “Perché sottoponete a noi un questionario quando sono i vertici che hanno sbagliato?”» racconta uno degli intervistatori. In realtà la risposta è fin troppo ovvia. «Abbiamo sottoposto il questionario alla base del partito perché è da lì che si ricostruisce il partito. Noi siamo più interessati alle buone pratiche, che devono diventare il punto di partenza. I vertici del Pd non ci interessano. Come gli aspetti negativi della mappatura, che pure sono emersi numerosi. Quelli li consegneremo al commissario del partito che farà la sua scelta».

I risultati sono per certi versi inattesi. Una fotografia ancora a metà: fino a quando non sarà completata l’intera mappatura è difficile delineare un profilo. “Nulla è chiaro – spiega Barca – finché non è tutto chiaro». Intanto nella sua relazione intermedia, l’ex ministro distingue tra “partito buono” e “partito cattivo”. Ci sono due estremi. Da una parte si iniziano a intravedere «i tratti di un partito non solo cattivo, ma pericoloso e dannoso – spiega la relazione – Dove non c’è trasparenza e neppure attività, che “lavora per gli eletti” anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di “carne da cannone da tesseramento”». Una realtà estrema, si diceva. Che pure va distinta «dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un’attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere».

Per fortuna c’è anche un altro estremo. Un partito da cui si può ripartire sul serio. Sul territorio Barca riconosce anche di aver trovato «i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione informando cittadini, iscritti e simpatizzanti». Più preoccupante, una terza impressione raccolta nella relazione. Quella di un «partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell’autoreferenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all’innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio».

Decisivo nell’intuizione di chiedere una mappatura del partito, il commissario del Pd romano Matteo Orfini accetta la sfida dei risultati. «La relazione di Barca racconta la verità – ammette in serata – Stiamo trovando un partito che presenta aspetti pericolosi, accanto ad altri positivi. D’altra parte se non ci fossero state delle degenerazioni, non sarebbe stato commissariato il Pd di Roma». Ma non mancano gli spunti positivi da cui ripartire. «Dobbiamo sprigionare energie buone e reprimere forme degenerative – continua Orfini – come abbiamo fatto denunciando tessere false e commissariando alcuni circoli. Quando partiremo con il nuovo tesseramento ci sarà un nuovo modello di partito». E gli altri dirigenti del Partito democratico romano come hanno preso la relazione di Barca? «Qualche malumore c’è» racconta al telefono uno dei protagonisti dell’analisi. Le lamentele non sono mancate. «Ma devo dire che stasera ho ricevuto anche tanti sms entusiasti. Qualcuno quasi non ci credeva: “Ma allora quello che state facendo funziona davvero”».

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