Il cosa è la nascita e la diffusione del Cristianesimo. Il quando è il primo secolo dopo Cristo. Il dove un Mondo che inizia e finisce nel bacino del Mediterraneo, tra la Turchia, la Macedonia, la Siria, la Grecia, Gerusalemme, Roma. Il chi è multiplo: in primo piano c’è Paolo, cittadino romano di Tarso, nell’attuale Turchia, il più importante apostolo del messaggio di Cristo, e c’e Luca, l’evangelista, uno schivo medico siriano che segue Paolo nelle sue peregrinazioni, mentre sullo sfondo ci sono anche Giovanni, Pietro, Giacomo, Maria, Flavio Giuseppe, Nerone.
Questi sono, per sommi capi, gli ingredienti de Il Regno, l’ultimo libro di Emmanuel Carrère, uno dei migliori affabulatori di Francia, scrittore, giornalista, sceneggiatore, persino regista. A vederli sparsi su un tavolo, in attesa di essere tagliati, conditi e impastati dal cuoco Carrère, sembrano ingredienti perfetti per un grande racconto, uno di quelle capace di mescolare la Storia “maiuscola” — quella di una religione che ha dato forma al mondo negli ultimi 2000 anni — e quella “minuscola”, fatta dagli uomini, dai loro piccoli gesti, dai loro difetti, dalle loro passioni e dalle loro follie.
Ingredienti perfetti dunque, e cuoco pure. Sì, perché, Emmanuel Carrère ha avuto modo di dimostrare, con il suo ultimo Limonov — ma anche con Vite che non sono la mia e L’avversario — di saper maneggiare per bene la delicata materia narrativa delle storie che racconta, nonché di avere una straordinaria manualità nell’utilizzare gli strumenti del mestiere.
Tanto più che Carrère si presenta come portatore di uno dei migliori punti di vista in assoluto per mettere le mani in una storia come questa: colui che, seppur per breve tempo, ci ha creduto. Sì, perché Carrère, che anche nel libro si autodefinisce come «uno scettico, un agnostico, nemmeno abbastanza credente da essere ateo», per tre anni della sua vita ci ha creduto sul serio, si è convertito, ha studiato i testi sacri e ha letto e annotando i vangeli. Chi meglio di lui — un ex agnostico ex credente ritornato agnostico con l’occhio narrativo dello sceneggiatore e del biografo, può ricostruire con fedeltà e passione una storia così delicata.
Eppure, a lettura conclusa, dopo aver affrontato le 428 pagine dell’edizione italiana — appena pubblicata da Adelphi, come gli altri suoi libri — la sensazione che resta è quella che potrebbe lasciare un piatto attesissimo che non vedevamo l’ora di spazzolarci, ma che è venuto male. Una specie di sufflé moscio e insipido. Insomma, una delusione.
Una parentesi, prima di continuare: nei libri, in quasi tutti i libri, se lo cercate per bene, potete trovare un elemento, che sia esso uno scena, un episodio, un dialogo, un personaggio, un oggetto o probabilmente anche un procedimento narrativo, che ai vostri occhi è la figura dell’intero libro che lo contiene. Si chiama frattale, un termine inventato negli anni Settanta da un matematico francese di nome Mandelbrot per descrivere «un oggetto geometrico dotato di omotetia interna», ovvero un oggetto le cui parti che lo compongono sono identiche a se stesso e, prese singolarmente, lo replicano.
Ecco, il frattale de Il Regno di Carrère è un episodio che non solo non vi aspettereste mai di trovare in un libro che parla della nascita e della diffusione del Cristianesimo, ma a cui con ogni probabilità difficilmente pensereste per riassumere un libro del genere: è una delle parti in cui Carrère parla di sé, è il racconto di un video porno.
A pagina 268, nel pieno del racconto storico di Carrère, mentre sta parlando di un quadro attribuito all’evangelista Luca, che a quanto pare non era solo un medico e uno scrittore, Carrère si intrufola e apre una parentesi squarciando il quadro narrativo — non è la prima e non è l’ultima, è un procedimento narrativo che lui ama molto fare e che è diventato uno dei suoi caratteri distintivi — e raccontando nei dettagli la sua esperienza guardando il suo video porno preferito, un’esperienza che procede sottilmente tra il piacere e la delusione e che ricorda — e per questo è il frattale — l’esperienza di lettura del Regno.
Il video porno di cui racconta Carrère è un video amatoriale, o almeno così si presenta. Non è una scena di sesso, è una scena di masturbazione. Davanti a una telecamera fissa, c’è una ragazza. «È sdraiata sul letto, in jeans, e top», la descrive l’autore. «Pur non essendo di una bellezza strepitosa, è carina, e non ha niente, ma proprio niente, di un’attrice porno. Né il fisico, né l’espressione. Sulla trentina, bruna, viso intelligente».
Il dettaglio che lo eccita è la spontaneità della ragazza, quel suo sembrare una ragazza qualunque, quel suo godere di un orgasmo — anzi due — che sembra assolutamente reale. Sull’episodio Carrère indugia un paio di pagine, cerca in ogni modo di analizzarlo, di capire se è frutto di un furto, di un revenge porn, oppure, ma tende ad escluderlo, se sia soltanto un video professionale abilmente mascherato da amatoriale. Chiede addirittura alla sua compagna — visto che amano molto condividere le loro fantasie erotiche — secondo la quale la ragazza effettivamente «si masturba con eleganza», ma «per quanto sia molto piacevole da guardare, c’è qualcosa di molto crudele.
Queste tre pagine scarse in cui Carrère ragiona sul video porno amatoriale di una bruna che si masturba riescono a rappresentare, in piccolo, tra le pagine del libro, l’effetto del libro agli occhi del lettore: perché Carrère sa scrivere con molta eleganza, è dotato di una grandissima capacità di affabulare, ma, in questo caso, un po’ come la ragazza del suo video porno preferito, si masturba davanti a una telecamera fissa, ma, a differenza della ragazza, guarda in camera troppo spesso e, a un certo punto, è impossibile non pensare che lo stia facendo per vanità ( a tal proposito vi consiglio di leggere la recensione di Paolo Nori, pubblicata su Libero).
Peccato, perché con una storia del genere per le mani uno come Carrère avrebbe potuto tirarci fuori un capolavoro. Però, questa volta, il gioco non è riuscito.