Juncker, il leader che nessuno si aspettava

Juncker, il leader che nessuno si aspettava

Crisi ucraina, questione greca e stato dell’economia europea. Questi i temi al centro del summit che si è concluso giovedì 19 marzo tra i 28 capi di Stato a Bruxelles. In una capitale belga ormai stanca e annoiata di ospitare le sempre più frequenti sfilate dei leader europei, dietro le quinte si delinea l’immagine sempre più forte e decisa del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker.

Dalla crisi con la Russia a quella economica, fino alla mediazione con Atene, è Juncker il vero motore politico su cui può contare oggi Bruxelles. L’ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo, l’unico capo di un esecutivo comunitario a vantare il titolo di primo presidente a essere stato scelto dal suffragio universale (seppure da cittadini probabilmente ignari), ha capito l’aria che tira in Europa e sembra essere tra i pochi oggi a godere di una certa lungimiranza politica.

Considerato da molti un dinosauro di quella Europa da rottamare, Juncker sta facendo di tutto per smarcarsi dal decennio Barroso che si è (finalmente) concluso

Trafelato, spesso stanco e impregnato di quella antica retorica politica figlia del più classico spirito comunitario, considerato da molti un dinosauro di quella Europa da rottamare, Juncker è riuscito non soltanto a farsi eleggere alla Presidenza della Commissione, ma sta facendo di tutto per segnare il passo dal decennio Barroso che si è (finalmente) concluso. 

L’ex premier lussemburghese tiene per il momento il filo dei negoziati tra Atene e il resto dei creditori Ue

Non è un caso se Alexis Tsipras, visto lo stallo all’Eurogruppo, dove dopo quattro riunioni in appena due mesi non si è ancora arrivati a una soluzione, abbia deciso di correre (per ben tre volte) da Juncker prima ancora di incontrare Angela Merkel per il bilaterale di lunedì a Berlino. L’ex premier lussemburghese, che pure ha redarguito il giovane leader greco di troppa irruenza e mancanza di esperienza, tiene per il momento il filo dei negoziati tra Atene e il resto dei creditori Ue, ben consapevole che l’addio della Grecia all’Eurozona rappresenterebbe l’apertura di una falla troppo grande da colmare. A livello politico oltre che economico. La riprova è arrivata anche con l’organizzazione in fretta e furia del minivertice fuori programma giovedì notte a Bruxelles tra Juncker, Alexis Tsipras, Mario Draghi, François Hollande, Angela Merkel, Jeroen Dijsselbloem e Donald Tusk.

Perché se è vero che non spetta alla Commissione Ue il compito di risolvere lo stallo greco, è pur vero che una sua inerzia non aiuta le cose. Juncker lo sa e per questo si è mobilitato sin dall’inizio, tenendo low profile il ruolo dell’esecutivo nella Troika. Uno stile completamente diverso dal decennio Barroso, dove alla pubblica rinuncia a responsabilità sulla questione greca si contrapponeva un’immagine dell’esecutivo cane da guardia di conti pubblici e tutela  degli interessi dei Paesi creditori. La mano tesa da Juncker a Tsipras è del resto quella dello stesso uomo che negli anni in cui la Troika nasceva era a Capo dell’Eurogruppo e ne conosce dunque perfettamente struttura e metodi di funzionamento.

Dopo anni di tagli, austerità e scarso decisionismo, la Commissione Ue torna a essere un organo politico e d’impulso alla politica comunitaria

Proprio il passato all’Eurogruppo per qualcuno getta molte ombre sull’apertura degli ultimi mesi a favore di crescita e investimenti, considerata opportunistica e di facciata. Eppure non è un mistero che tra il 2008 e il 2013 l’Europa abbia vissuto anni difficili, segnati anche dall’assenza di una Commissione Ue nel ruolo di cabina di regia, in grado di prevedere e aggredire la gravità della situazione. Un passato di cui Juncker sembra volersi liberare, anche per esserne in parte protagonista. Dopo anni di tagli, austerità e scarso decisionismo, la Commissione Ue torna a essere un organo politico e d’impulso alla politica comunitaria. Un dettaglio che non è passato inosservato ad Angela Merkel, che secondo le voci di corridoio al popolare Juncker avrebbe preferito il socialdemocratico Schulz. Voci cresciute al punto da essere diventate pericolose se è vero che entrambi i protagonisti, Juncker e Merkel, hanno sentito la necessità di ribadirsi piena stima e fiducia in una conferenza stampa apposita organizzata a Bruxelles qualche settimana fa.

È grazie al cambiamento di rotta avviato da Juncker se Roma e Parigi hanno potuto evitare l’apertura della procedura per deficit eccessivo

È (anche) grazie al cambiamento di rotta avviato da Juncker con il varo (in tempi record) del Piano di Investimenti se Roma e Parigi hanno potuto evitare l’apertura della procedura per deficit eccessivo. Lo sconto all’Italia dello 0,25% alla riduzione del deficit proposto dalla Commissione Ue era cosa non proprio scontata appena qualche mese fa. E anche se il miracolo moltiplicatore dei 21 miliardi di Fondo per gli investimenti in 315 miliardi di euro di investimenti a rischio non dovesse verificarsi a Juncker resterà comunque il merito di aver voltato pagina. 

Arginato lo scoppio dello scandalo Luxleaks, a pochi giorni dalla sua entrata in carica, Juncker l’ha usato come arma politica a sua favore

Arginato lo scoppio dello scandalo Luxleaks, a pochi giorni dalla sua entrata in carica, Juncker l’ha usato come arma politica a sua favore. È di due giorni fa, infatti, la notizia della presentazione da parte dell’esecutivo Ue di una proposta di legge sullo scambio d’informazioni fiscali tra i 28 Paesi. Non una rivoluzione copernicana, certo, ma il segnale intelligente di aver capito come è orientata la società e l’opinione pubblica europea.

La retorica del voltare pagina è anche ciò che ha guidato l’intervento a gamba tesa di Juncker sulla Die Welt a proposito della creazione di un esercito Ue. La notizia ha sollevato un polverone mediatico in Gran Bretagna, dove a insorgere è stato non soltanto l’Ukip, ma anche i Tories di Cameron. Anche se la difesa comune Ue resta lontana Juncker sembra aver capito, insieme ad Angela Merkel che la frattura con la Russia è destinata a durare e l’Europa necessita di far chiarezza attorno ai propri obiettivi. Juncker sembra aver capito che contro Mosca, Bruxelles può alzare la voce soltanto se sa esattamente cosa dire. 

«Tra 25 anni nessuno dei Paesi Ue comparirà nel G-7» ha detto Juncker lunedì scorso in occasione di un incontro dell’associazione Friends of Europe a Bruxelles

A giugno è prevista la pubblicazione di quello che è stato definito il Rapporto Juncker, anche se avrà anche la firma di Schulz, Draghi e Tusk. Per alcuni si tratta di una nuova versione del testo già uscito, in sordina, l’estate scorsa con la firma di Herman Van Rompuy.  Un pamphlet sulla necessità di spingere avanti l’unione politica, stringere il coordinamento delle politiche economiche e riequilibrare i poteri delle tre istituzioni. C’è da scommettere, però, che rispetto al testo firmato dall’ex Presidente del Consiglio Ue, quello di Juncker avrà una risonanza diversa.

«Tra 25 anni nessuno dei Paesi Ue comparirà nel G-7» ha detto Juncker lunedì scorso in occasione di un incontro dell’associazione Friends of Europe a Bruxelles. «È necessario capire dove stiamo andando se vogliamo continuare a esistere». I 28 leader Ue che ieri hanno lasciato a Bruxelles, sono avvisati.

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