La musica di Friedrich Nietzsche era terribile

La musica di Friedrich Nietzsche era terribile

Come filologo, era rispettato. Come filosofo, diventerà celebre. Ma la sua vera aspirazione, il suo sogno più profondo, era di diventare un grande musicista. Friederich Nietzsche non ci riuscirà mai. Era un discreto suonatore, ma un pessimo compositore. Le sue musiche sono (erano, sono sempre state) tremende, secondo un giudizio unanime di posteri e contemporanei. Il più duro fu Hans von Bulow, direttore d’orchestra, pianista, compositore tedesco. Quando ebbe modo di vedere la partitura di una Meditazione di Manfredi, scritta da Nietzsche e inviatagli per ottenere un giudizio autorevole, rimase di stucco. E glielo scrisse :«È la cosa più estrema che abbia mai sentito in fatto di stranezza, l’opera meno edificante possibile, lo scritto più anti-musicale che mi sia capitato di vedere. Mi sono chiesto: ma è uno scherzo? Era tua intenzione fare una parodia della cosiddetta musica-del-futuro [era, all’epoca, la musica di Richard Wagner]? Sei consapevole di avermi mandato un flusso assurdo che viola qualsiasi regola tonale, dalla sintassi alla semplice ortografia?»

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Il povero Nietzsche ci rimase male. A consolarlo furono gli amici Richard Wagner e la moglie di lui Cosima (che Nietzsche, in segreto, in modo inespresso, in modo contorto, amava), con delle pacche sulle spalle. Per essere sinceri, poi, nemmeno loro apprezzavano le sue composizioni. Non deve ingannare il fatto che il pianista Franz Liszt si dichiarò “impressionato”, quando ebbe modo di eseguire la Sylvesternacht di Nietzsche, durante un suo soggiorno a Bayreuth, il “regno” di Wagner. Lo fece per gentilezza, senza dubbio, e per riguardo all’amico dell’ospite.

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L’ostinazione di Nietzsche nel campo musicale è commovente, più o meno come quella di Veltroni per la scrittura. Nel 1874 si dedica alla composizione di un “Inno alla Vita”, ispirandosi a una poesia scritta da Lou von Salomé, personaggio notevole di quell’epoca (e Nietzsche era innamorato anche di lei). Per lui si trattava di un’opera fondamentale: nel 1884 spiegò a Felix Motti, direttore d’orchestra austriaco, quanto quella musica fosse fondamentale per la comprensione della sua filosofia: «Questo pezzo deve rimanere come un’integrazione della parola del filosofo che, com’è proprio delle parole, deve rimanere per necessità non chiara. Il sentimento della mia filosofia trova la sua espressione in questo Inno». Di più: in un’altra lettera scriverà che «È la mia composizione che è intesa a sopravvivermi e a essere cantata in mia memoria». Gli è andata bene che nessuno abbia seguito il suo consiglio.

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Sono in tanti, nella vita, a commettere seri errori di valutazione sul valore delle proprie opere. Petrarca era convinto che fossero i suoi scritti in latino (che pochi in realtà conoscono e quasi nessuno legge, anche tra gli specialisti) il mezzo con cui si sarebbe conquistato la gloria postuma. Invece è ricordato per il Canzoniere, che è in volgare. I fratelli Grimm erano stimati filologi e linguisti, ma il mondo li ricorda per le loro fiabe. Nietzsche era consapevole che il suo cavallo vincente (ahah) fosse la filosofia, ma non riusciva ad accettare in nessun modo la sua mediocrità nel campo musicale. Nessuno è perfetto, nemmeno un superuomo.

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