Gorky ParkL’omicidio di Nemtsov e la miopia dell’Occidente

L’omicidio di Nemtsov e la miopia dell’Occidente

L’omicidio a Mosca di Boris Yefimovich Nemtsov, esponente dell’opposizione extraparlamentare e forte critico di Vladimir Putin, si presta a molteplici letture e altrettante interpretazioni ed è già al centro della guerra di propaganda tra Russia e Occidente, partita oltre un anno fa in grande stile con l’avvio della crisi ucraina e ora giunta, con l’assassinio dell’ex vice primo ministro russo, proprio al suo apice. Chi e perché ha ammazzato Boris Nemtsov?

Le principali correnti di pensiero, in Russia e in Occidente, sono sostanzialmente due

Le principali correnti di pensiero, in Russia e in Occidente – il resto del mondo non se ne preoccupa – sono sostanzialmente due: da una parte c’è chi dice che, direttamente o indirettamente, dietro i colpi di Makarov che hanno steso l’oppositore del presidente russo ci sia Putin stesso, dall’altra si punta l’indice lontano dal Cremlino, verso chi vorrebbe destabilizzare il Paese con una strategia tesa a far saltare l’attuale establishment.

Più concretamente: Boris Nemtsov, uno dei leader più rumorosi fra le fila dei critici antiputiniani, è stato fatto tacere come è accaduto con Anna Politkovskaya, la giornalista assassinata nel 2007, proprio perché il regime non tollera voci fuori dal coro e chi osa mettersi contro i poteri forti alla fine deve pagare. Sia che si tratti di Cecenia o di Ucraina: anche con la vita.

Secondo questa versione, Nemtsov sarebbe quindi stato vittima di un agguato orchestrato nei piani alti del palazzo, o comunque con il tacito assenso del suo più illustre inquilino. In questo modo Putin si sarebbe sbarazzato di un avversario scomodo, che aveva intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote e mostrare quanto a casa propria e nella vicenda ucraina il re fosse nudo. Se non l’Fsb, erede del Kgb, sarebbero stati i nazionalisti anti-Kiev che viaggerebbero col vento in poppa, grazie al clima iperpatriottico creato ad hoc sull’onda della guerra nel Donbass.

Una teoria è che l’omicidio di Nemtsov sia stato pianificato per aumentare la pressione interna e internazionale sulla Russia

Sul versante opposto, la teoria è che chiunque abbia pianificato l’esecuzione lo abbia fatto proprio per aumentare la pressione interna e internazionale sulla Russia, in un momento in cui a Mosca tutto non fila per il verso giusto e le difficoltà economiche potrebbero riflettersi sulla stabilità dell’intero sistema politico, generando terremoti e stravolgimenti dalle fondamenta al vertice: quattro pallottole per far traballare l’architettura putiniana e per accelerare l’isolamento della Russia, almeno sul fronte occidentale, per avviare un effetto domino sul breve-medio periodo. Indiziati principali nella teoria del complotto la Cia, l’Mi6 e anche l’Sbu ucraino.

In mancanza di prove concrete, sempre che ne arrivino, la materia si presta a ogni genere di speculazioni, ma per chiarire alcuni aspetti è utile mettere qualche punto fermo relativo sia a Boris Nemtsov che a Vladimir Putin, e soprattutto alla differente percezione delle due figure in Russia e in Occidente. I sondaggi del Levada Center, istituto di ricerca con sede a Mosca finanziato dagli Stati Uniti e per questo non sospettabile di parzialità filorussa, offrono un quadro relativamente chiaro: secondo i dati di una ricerca datata gennaio 2015, l’85% dei russi ha espresso il proprio sostegno a Putin, non il livello massimo negli ultimi anni, ma sempre alto.

Allo stesso tempo, tra i dieci personaggi della politica di cui in Russia si ha più fiducia, il nome di Boris Nemtsov non compare, mentre è al terzo posto (dopo il clown nazionalista Vladimir Zhirinovsky e Xenia Sobchak, figlia del defunto sindaco di San Pietroburgo Anatoly) tra quelli che ispirano meno affidamento.

Dall’ultimo sondaggio elettorale dell’ottobre 2014 si evince che, in eventuali elezioni presidenziali, l’87% dei russi voterebbe per Putin, meno dell’1% per Alexei Navalny, altro leader della variegata opposizione, di Boris Nemtsov nessuna traccia. In eventuali elezioni parlamentari, il 44% voterebbe per il partito del presidente, Russia Unita, meno dell’1% per il Partito del progresso di Navalny, praticamente nessuno per Nemtsov, che con Rpr-Parnas negli ultimi anni ha avuto scarsa fortuna (un rappresentante in un consiglio regionale sui 3787 di tutto il Paese).

I russi vedevano in Nemtsov più il riformatore fallito ai tempi di Boris Eltsin che il paladino della libertà anti Putin nell’ultimo decennio

In sostanza, quando il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto, appena dopo l’assassinio, che Boris Yefimovich era poco più che un cittadino comune, non ha fatto altro che sottolineare cinicamente la verità. La visibilità mediatica, in Russia e soprattutto in Occidente, di Nemtsov non corrispondeva assolutamente al suo peso politico reale. E la ragione è che i russi vedevano in lui più il riformatore fallito ai tempi di Boris Eltsin negli anni Novanta che il paladino della libertà anti Putin nell’ultimo decennio.

Questione essenzialmente di credibilità: se Nemtsov poteva aver ragione ad accusare Putin di corruzione per le Olimpiadi di Soci nel 2014, lo faceva però da un palco sul quale saliva a braccetto insieme con Mikhail Kasyanov, ex ministro delle finanze con Eltsin e premier con Putin, detto “Misha 2%” per la sua quota personale sulle tangenti. Il discorso vale per tutti gli altri esponenti dell’opposizione extraparlamentare russa, che in questi anni, per ovvi motivi, hanno fatto essenzialmente politica più davanti alle telecamere della Cnn che non sul campo.

L’Occidente politico e mediatico ha affibbiato troppo frequentemente l’etichetta di dissidente a personaggi che in Russia erano considerati criminali: uno su tutti l’oligarca Boris Berezovsky, morto nel marzo di due anni fa dopo aver trovato asilo dorato sulle sponde del Tamigi. Se Boris Nemtsov non era un bandit – parola con cui russi definiscono spesso e volentieri i politici con una vena per il malaffare (così anche Putin è stato chiamato da Navalny) – non era però certo il salvatore della patria, né quindici anni fa, né ora.

L’Occidente ha affibbiato troppo spesso l’etichetta di dissidente a personaggi che in Russia erano considerati criminali

È questa in sostanza la frattura che divide Russia e Occidente: a Mosca, per non dire a Novosibirsk, metropoli di un milione e mezzo di abitanti dove ieri duecento persone sono scese piazza per manifestare contro Putin, non proprio una folla oceanica, la prospettiva è essenzialmente diversa da quella di Bruxelles o Washington.

L’omicidio di Nemtsov si inserisce per questo nel duello più ampio tra Russia e Occidente che non è solo costituito dalla differente interpretazione del ruolo di Boris Yefimovich all’interno del quadro politico russo, ma riguarda gli equilibri complessivi geopolitici in Europa e tra Europa e Stati Uniti.

Se non salterà fuori il motivo passionale che qualcuno ha già azzardato come ipotesi forse nemmeno tanto stravagante, la morte di Nemtsov rischia quindi di diventare un ulteriore elemento di divisione sulla scacchiera internazionale già in bilico, un altro tassello di un mosaico che sarà difficile da ricomporre. E alla domanda sul cui prodest ognuno risponderà come vuole.