Ristoranti a Milano, dopo l’Expo resteranno le briciole

Ristoranti a Milano, dopo l’Expo resteranno le briciole

Cosa succede/ cosa succede in città/ c’è qualche cosa…/qualcosa che non va/guarda li, guarda là/ che confusione…/guarda lì, guarda là/che maleducazione… A parte l’ultima strofa che non c’entra del tutto – anzi no, è vizio in costante aumento sotto la Madonnina – il ritornello della canzone del sommo Vasco è la colonna sonora ideale per raccontare quanto sta avvenendo a Milano, sempre più capitale gastronomica del Paese. Due-tre aperture alla settimana. Sopra i tetti o sottoterra. Locali di tendenza e osterie tradizionali. Hamburgerie e ristoranti creativi. Start-up di ventenni e scelte delle grandi compagnie internazionali. Di tutto, di più e ancora: per la gioia dei gourmet e il panico di pr/marketing/ uffici stampa che si affannano per trovare un posto al sole, almeno per un mese dopo l’apertura. Prima di essere superate da un altro vernissage. Dura la (bella) vita.

Milano inizia a sembrare se non Londra o Parigi almeno quelle città medie europee come Lione o Francoforte, ricche di “cose” da fare e con una bella offerta di locali

Dicono che era scontato, con l’Expo 2015, per di più dedicato al cibo. Ma qui più che “nutrire il pianeta” siamo in presenza del più grande ristorante della Storia all’interno del recinto fieristico – dove sono entrati Mc Donald’s e Coca-Cola: l’avreste mai detto? Noi sì – e di un “borgo” dove non si trova più una ferramenta artigianale ma in compenso si può mangiare ogni cosa, persino a orari un tempo impensabili. Ebbene sì, Milano inizia a sembrare se non Londra o Parigi almeno quelle città medie europee come Lione o Francoforte, ricche di “cose” da fare e con una bella offerta di locali.

Se non il giorno seguente la chiusura di Expo ma sicuramente a Natale, saranno decine i posti spuntati dal nulla negli ultimi mesi a sparire di scena, non riaprendo dopo le ferie

Sin qui tutto bene, però legittima è una domanda: passi che il destino dell’area Expo – una volta smontati i prefabbricati – sia in mano a costruttori edili e banche (non scandalizzatevi, please: pigliatevela con Regione, Comune e dintorni) ma noi ci preoccupiamo per i locali in città. Quelli seri, coraggiosi, nati non solo per “fatturare” ma anche per passione (il ristoratore e il cuoco sono o non sono i mestieri del momento?) e il piacere di vivere in prima fila i sei mesi più affollati nella Storia meneghina. E sottolineiamo ancora il termine “fatturare”, perché non consideriamo neppure la vasta serie di imprese che stanno approfittando della mega-occasione per “risciacquare” denaro sporco. La Magistratura tiene d’occhio più di una situazione, di certo se non il giorno seguente la chiusura di Expo ma sicuramente tra Natale 2015 e Capoadanno, saranno decine i posti spuntati dal nulla negli ultimi mesi a sparire di scena, non riaprendo dopo le ferie. Senza colpo ferire.

Nei primi nove mesi del 2014, a Milano hanno aperto 679 esercizi, in gran parte gestiti da under 35. Ma uno su quattro chiuderà 

Esaurito il flusso (auspicato) dei 20 milioni di visitatori che riempiranno – inevitabilmente – ogni posto che dir si voglia, ci sarà da capire come potranno sopravvivere i nuovi locali e i nuovi hotel. Milano ha solo un milione e 300mila abitanti – la metà di Roma – e se è vero che con la nuova città metropolitana (che ha sostituito la provincia) arriva a più di tre milioni, ci si rende conto che la base di consumatori è limitata. E il confronto con la capitale diventa impietoso dal punto di vista degli arrivi turistici: circa quattro milioni e mezzo contro sedici e mezzo, nel 2014. Ed è evidente che in mancanza di nuove idee, nel 2016 si tornerà più o meno a questo rapporto mettendo in ginocchio chi ha investito per l’Expo. Ecco perché stupisce che già nei primi nove mesi del 2014, a Milano hanno aperto 679 esercizi, solo 8 in meno di Roma.  Investimenti pesanti, che sono fatti in gran da imprenditori – spesso neofiti – under 35: i dati di Fipe-Confcommercio dicono però che in due anni ne chiude uno su quattro. Pensare ai numeri del post-Expo quindi fa paura. Per chi ha aperto una hamburgeria di quartiere come per il grande cuoco che ha mollato il vecchio ristorante per salire a Milano, in cerca di gloria e quattrini. E ancora per chi ha ristrutturato totalmente il locale e via così.

Soluzione? Una sola. Tenere alto l’interesse verso la città, già a partire dal prossimo inverno, con più eventi e fiere

Soluzione? Una sola. Tenere alto l’interesse verso la città, già a partire dal prossimo inverno. Milano non può restare attaccata al Salone del Mobile/Design – l’unico che coinvolga veramente la popolazione e i visitatori – e al calendario della moda, peraltro sempre più autoreferenziale e che non sparge quasi nulla a parte le feste nei soliti hotel, soliti locali, soliti loft. Ci vogliono più fiere e più eventi, anche sportivi: la finale della Champions League 2016 è una piccola grande occasione in questo senso: 100mila persone per tre giorni, come minimo. Ma non basta, e comunque questa è una priorità pari se non superiore al destino dell’area Expo perché interessa il futuro prossimo di migliaia di persone. Detto questo, uno potrebbe pensare ma che senso ha investire su un evento di sei mesi, sfidando il tracollo successivo? Semplice: secondo la Confindustria, la spesa turistica indotta da Expo sarà di 3 miliardi e mezzo di euro tra alloggio (1 miliardo e mezzo), ristorazione (un miliardo e 200 milioni) e il resto in altri elementi che vanno dall’acquisto dei prodotti tipici al pagamento del taxi (o Uber…). Il rischio vale la candela, quindi.

Conta sì il denaro/altro che no/me ne accorgo soprattutto quando non ne ho!  Il Comandante Rossi ha sempre ragione, altro che balle. 

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