Detto in una frase: il governo Renzi si è rimangiato il tanto agognato taglio dell’Irap nel 2014 per evitare di sforare il limite del 3% sul deficit. Questa è la notizia, che naturalmente nessuno dei telegiornali si è preoccupato di dare. Anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, intervistato da Massimo Giannini durante la trasmissione Ballarò di martedì 10 marzo, si è ben guardato dal menzionare quanto è successo all’Irap nel 2014, lodando invece il meraviglioso taglio dell’odiata imposta regionale sulle attività produttive a partire dal 2015.
Partiamo dall’inizio: il taglio dell’Irap nel 2014, deciso dal governo Renzi in primavera, era un taglio del 5% realizzato attraverso una diminuzione dell’aliquota, per diventare a regime un taglio del 10% a partire dall’anno successivo. Peccato che durante il 2014 la congiuntura economica è andata molto peggio di quanto preventivato dal governo, e nel contempo il processo di revisione della spesa capitanato dal commissario Carlo Cottarelli è stato in buona sostanza mandato in soffitta dal governo stesso: non per niente l’impegno triennale di Cottarelli, così come previsto al momento della nomina da parte del predecessore Letta, si è trasformato in un solo anno di lavoro, con risultati tutt’altro che esaltanti, peraltro.
Economia in recessione e mancati tagli alla spesa si traducono quasi meccanicamente in minore spazio per tagliare le tasse. Il governo Renzi ha dovuto pubblicamente prenderne atto a settembre, con la Nota di Aggiornamento al Def, e successivamente con la Legge di Stabilità: pur finanziando alcuni interventi con deficit aggiuntivo, restava il problema di rimangiarsi qualcuno dei tagli di imposte già implementati. Dal punto di vista politico, rimangiarsi i cosiddetti 80 euro di bonus Irpef sarebbe stato un autentico suicidio. Il governo Renzi, quindi, si è visto costretto a intervenire retroattivamente sul taglio Irap, cercando di nascondere la cosa attraverso l’invenzione di una nuova versione del taglio stesso – salari a tempo indeterminato esclusi dalla base imponibile -, ma solo a partire dal 2015.
L’incertezza sulle tasse fa malissimo agli investimenti, perché induce gli imprenditori a rinviare spese produttive
Facciamo un po’ i conti: dal momento che le imposte – a parte il gioco degli acconti – si pagano nell’anno successivo, il mancato taglio dell’Irap nel 2014 non dà un vantaggio in termini di cassa agli equilibri del 2014, ma lo dà in termini della cosiddetta “competenza”, poiché quell’imposta riguarda il valore aggiunto prodotto durante quell’anno. Dal punto di vista della competenza, la relazione tecnica alla Legge di Stabilità ci spiega che il mancato taglio dell’Irap per il 2014 vale 2 miliardi di euro di miglioramento per il deficit, che – ai fini dei vincoli europei sui conti pubblici – è appunto calcolato per competenza e non per cassa. Qualche giorno fa, l’Istat ha comunicato che il deficit per il 2014 è esattamente il 3 per cento. Solo per un pelo, quindi, non abbiamo sforato il famoso limite che nacque a Maastricht: 2 miliardi di euro valgono all’incirca lo 0,125% di Pil: se il governo non si fosse rimangiato il taglio dell’Irap si sarebbe assestato intorno al 3,125%, ossia sopra il limite del 3 per cento.
Gli imprenditori che pensavano di pagare un po’ meno tasse nel 2015 si sono pertanto trovati la bella sorpresa di un taglio che non esiste più
Gli imprenditori che pensavano di pagare un po’ meno tasse nel 2015 si sono pertanto trovati la bella sorpresa di un taglio che non esiste più. Nel 2015 avremo entrate straordinarie grazie alla voluntary disclosure – a occhio tra i 5 e i 10 miliardi di euro – e il triplice dividendo regalatoci da Draghi ed emiri: tassi di interesse, cambio euro/dollaro e petrolio bassi. L’incasso della voluntary disclosure è una partita straordinaria che non si ripete negli anni successivi, i quali dal punto di vista dei conti pubblici sono presidiati da gigantesche clausole di salvaguardia su Iva e accise, qualora la revisione della spesa non porti gli esiti preventivati.
Gli imprenditori sono già stati fregati una volta, quindi. E adesso non resta loro che sperare nella nuova versione del taglio Irap, sempre che il governo non cambi un’altra volta idea, costretto dall’incapacità di tagliare la spesa pubblica corrente. Parliamoci chiaro: l’incertezza sulle tasse fa malissimo agli investimenti, perché induce gli imprenditori a rinviare spese produttive, ed è figlia di questa impostazione di bilancio totalmente refrattaria ai tagli di spesa. È questa la strada per fare crescere un paese almeno al 2% all’anno? La risposta è un pacato ma sonoro «No!».