L’ultimo uomo sulla terra è, per tradizione romanzesca, fumettistica e televisiva, piuttosto ben educato. Generalmente si aggira per il continente (quasi sempre americano, anzi io non ricordo ultimi uomini sulla terra che si aggirassero da altre parti) alla ricerca di sopravvissuti. Non ne trova o ne trova di poco propensi alla collaborazione e cade nella disperazione. Ma sempre in maniera pulita, rispettosa di quell’ambiente che finalmente può prendere una boccata d’aria, senza occupare più spazio del necessario e facendo grande economia delle risorse, ormai infinite, a sua disposizione. Poi, alternativamente, gli va bene e grazie a un colpo di fortuna comincia a darsi da fare per ripopolare il mondo, oppure gli va male, cede alla disperazione e trova un modo spettacolare — a beneficio di chi? È l’ultimo! — per farla finita. Ho sempre pensato che se fossi l’ultimo uomo sulla terra, già che sono in giro, potrei fare cose che con il resto dell’umanità intorno non avrei mai osato. Però in tutti i programmi che ho visto, i libri e i fumetti che ho letto su questo tema, i protagonisti preferiscono sempre il bene superiore all’ultimo, grandioso, slancio edonistico. Contenti loro.
In The Last Man on Earth, serie nuova di zecca targata Fox, Will Forte fa tutto quello che farei io. Anzi, fa molto di più: colleziona compulsivamente opere d’arte saccheggiate in vari musei degli Stati Uniti, usa la Costituzione Americana come tovagliolo, dedica la maggior parte del suo tempo a un’escalation certosina di alcolismo, si appropria dei tappeti della stanza ovale, trasforma qualsiasi ambiente in una pista da bowling e qualsiasi cosa gli capiti sottomano in palle o birilli, non si ferma ai semafori rossi, corteggia i manichini nelle vetrine e — in mancanza di acqua corrente — ricava il gabinetto da una piscina. Ovviamente non si rade e vive in mutande. Guardavo la prima puntata e annuivo compiaciuto: bene, quest’uomo ha capito come ottenere il meglio dall’estinzione dell’umanità.
C’è un però: a parte la mia soddisfazione iniziale e la genialità di inventarsi una serie che abbia potenzialmente un solo protagonista, Fox ha creato un precedente. Prima, in caso di ecatombe planetaria, avremmo avuto sostanzialmente solo buoni esempi di come comportarci se fossimo rimasti soli. Ora ne abbiamo uno cattivo. The Last Man on Earth giustifica tutto il male che potremmo fare a ciò che resta del pianeta e a noi stessi se fossimo gli unici sopravvissuti. Quand’è che la televisione, storicamente sottoposta al continuo ammonimento morale, ha deciso di lasciarsi andare completamente al cattivo esempio?
«Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione» — Karl Popper
Verso la metà degli anni Ottanta e poi attraverso gran parte dei Novanta, il dibattito è montato in maniera incalzante. Si discuteva di televisione buona e cattiva, si facevano i conti con tette in vista, violenza e messaggi al limite della moralità. I film splatter incitavano all’odio, quelli erotici — e il concetto di “erotismo” era ben diverso da quello che abbiamo oggi — stimolavano comportamenti licenziosi. I bambini venivano educati male e rischiavano di diventare adulti deviati che a loro volta avrebbero messo a rischio l’esistenza dei loro figli e condannato il genere umano, paradossalmente tendendo alla condizione di cui scrivevo all’inizio. «Una democrazia non può esistere — scriveva Karl Popper nel saggio breve Una patente per fare tv, contenuto in Cattiva maestra televisione (Reset, 1994 e Marsilio, 2009) — se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi». Non parlava dei cinegiornali di propaganda fascista e nazista, ma dell’aumento della violenza nei film. Ed era solo il 1994: è troppo tardi.
In Italia, poi, si è combattuta quella strana battaglia che ha continuato a caricare sulla nuova televisione berlusconiana, indiscutibilmente più colorata, movimentata ed esterofila rispetto al profilo grigio di mamma Rai, tutto il peso della deriva politica e sociale degli anni a venire, ben oltre i tempi sospetti. Programmi come Drive In e Striscia la notizia possono anche aver instupidito le menti già predisposte al torpore e soffiato senza pudore sulle braci del populismo, ma è improbabile che abbiano creato mostri dal nulla.
In ogni caso, la televisione non ha fatto che assorbire i colpi, anno dopo anno, palinsesto dopo palinsesto, innalzamento dopo innalzamento dell’asticella della tolleranza e abbassamento di quella della decenza. In una puntata di South Park del 2012, intitolata appunto Raising the Bar, James Cameron va a recuperare la barra del buongusto negli abissi marini, per risollevarla dopo il successo incontrollato del becero reality Here Comes Honey Boo Boo, nel quale una bambina sovrappeso viene utilizzata dalla madre obesa come macchina da premi alle gare di bellezza. Tra strafalcioni linguistici, chili di pollo fritto e tanta sana imbecillità. Ma quella è cattiva televisione, la stessa che chi ha un briciolo di giudizio evita o guarda con senso fortemente critico. Va archiviata sotto l’etichetta “spazzatura” ed esiste per titillare il gusto dell’orrido, del macabro e del malsano. Nessuno — davvero nessuno, non fate quelle facce — la prenderebbe per buona. Quello che è successo su scala più ampia è che con gli anni la tv si è aperta e i suoi valori sono cambiati, attingendo tanto al nazional-popolare quanto dal colto e finendo per spolverare della stessa dose di crudezza tutti i programmi di mezzo. Quelli esaltati dagli intellettuali che ci trovano chiavi di lettura sempre più complesse e allo stesso tempo in grado di soddisfare il desiderio di eccessi del pubblico neutrale.
Quando la televisione si è trovata al bivio, ha scelto la cattiva strada
La televisione, insomma, quando si è trovata al bivio, cosciente del suo ruolo di educatrice ma tentata da quello di passatempo, ha scelto la cattiva strada. In Game of Thrones, serie che non c’è chi in coscienza possa dire di aver ignorato, convivono dosi massicce di violenza e sesso esplicito, linguaggio volgare e il senso tutto medievale per nani e torture. Eppure nessuno si tura il naso nello scendere lungo il tunnel del binge watching. Breaking Bad, delizia di scrittura, sviluppo e interpretazione, grande opera globale che dovrebbe sostituire la letteratura, si racconta senza mezzi termini una storia di spaccio e omicidi, che poi sia per una buona causa è semplice contesto sottinteso. Lo stesso dicasi per i fiori all’occhiello delle produzioni italiane: Romanzo criminale e Gomorra. House of Cards è l’incarnazione della cattiva politica, messa in mostra per il pubblico visibilio. E poi c’è Family Guy, Broad City, C’è sempre il sole a Filadelfia. Persino le sitcom più buoniste hanno allargato gli orizzonti, sostituendo i panini ai joint, ma mantenendo inalterato il senso. Ma forse non serve nemmeno portare degli esempi, è piuttosto evidente che la televisione si sta spostando verso una condizione di equilibrio in cui i pessimi elementi di un tempo fanno la parte dei salvatori.
La buona notizia è che non sta succedendo niente. Il mondo continua a girare come doveva e la fine pronosticata da Popper ancora non compare sui radar. La tv predica male e razzola peggio, ma sembra che il pubblico abbia imparato a distinguere la finzione dalla realtà, almeno in questo campo. Ha vinto il pragmatismo degli ascolti e ha finito per educare le masse alla tolleranza, che non vuol dire accettazione, ma sviluppo di una nuova consapevolezza: non è da qualcosa di secondario come la televisione che nascono le brutte abitudini. Hanno vinto i cattivi, per fortuna, e hanno insegnato ai buoni a non essere troppo ingenui. I tempi della vera censura sono passati e sicuramente ne abbiamo guadagnato in spettacolo e realismo — immaginate The Wire girato con i canoni di La signora in giallo, e già lì di parolacce se ne dicevano. Certo, abbiamo qualche nozione in più riguardo i prezzi della metanfetamina sul mercato, sappiamo cosa serve per cucinarla e che è meglio farlo senza indossare i pantaloni, ma è raro che qualcuno decida davvero di prendere quella strada per emulare una serie tv, così come è raro che chi segue quella strada si interessi di serie tv.
Forse è successo che, come in un adagio abusato, la realtà ha superato la fantasia e a guardare fuori dalla scatola non-più-catodica si sta peggio che a guardarci dentro. Non saprei, ma se rimanessi l’ultimo uomo sulla terra a un certo punto penserei a Will Forte e di sicuro mi verrebbe un po’ di rimorso.