Ci sono due città sulla baia di Humboldt, una più piccola e l’altra più grande. Queste due città, così come lo Stato che le ospita e di cui una delle due è capitale, sono inesistenti. Inesistenti per lo meno nel nostro universo. Però poggiano le loro origini su pagine che ne testimoniano lo sviluppo e il legame profondo con il territorio che (non) occupano nella realtà. Sono due città intrise di storia americana, fondate sopra i valori dei Padri Pellegrini, costruite sul richiamo del Destino Manifesto. I loro sotterranei raccontano le gesta dei fondatori, non uomini ma cani, paperi e topi tutti d’un pezzo, e il loro crescere e adattarsi ai tempi passa attraverso le piccole gesta di altri cani, paperi e topi più vicini a noi. Immutabili e in evoluzione costante, come le loro città. Le luci che si vedono di notte dal porto di Topolinia sono quelle di Paperopoli, e questa è la loro storia. Né più, né meno.
Le distanze nell’universo Disney si dilatano e alle volte annebbiano le prospettive. Così Paperopoli e Topolinia, che sulla carta si trovano a poche miglia l’una dall’altra, difficilmente incrociano i loro destini. Sono simili, ma profondamente distinte. Vicine, ma non si toccano quasi mai e quando accade è per un’occasione speciale.
Topolinia è nata all’improvviso un giorno del 1950, assimilando gli spunti sparsi e le rovine di città come Mouse City — battezzata nel 1933 da Floyd Gottfredson nella storia Mickey Mouse Outwits the Phantom Blot, che in Italia avrebbe introdotto il personaggio di Macchia Nera, assieme a Basettoni — oppure la generica Hometown in cui topi e paperi avevano convissuto dal 1928. A darle il nome è stato il maestro Guido Martina, e solo da poco ha trovato il suo corrispettivo inglese in Mousetown. Hometown era lo specchio rurale degli anni che l’avevano forgiata, aveva qualcosa degli stati del Sud e di quella spensieratezza indotta dai poveri mezzi, Mouse City assumeva già i contorni complessi della città che conosciamo, ma è Topolinia a sobbarcarsi la storia e a dare ai suoi abitanti un’identità, se non geografica, per lo meno materiale. E quell’identità è fatta di un profondo senso di giustizia, derivante dallo spirito dei bucanieri spagnoli che nel 1690 fecero campo per la prima volta nella baia e corretto pochi anni dopo dai pionieri inglesi guidati dal leggendario Geremia Ratt, vero fondatore della Topolinia che conosciamo oggi.
Le luci che si vedono di notte dal porto di Topolinia sono quelle di Paperopoli, e questa è la loro storia
Della sua storia non si sa molto di più, il suo aspetto è andato piano piano adattandosi alla crescita dei personaggi che la abitano. Le casette basse, tipiche dei centri urbani benestanti della costa del Calisota — tanto simile a quella Californiana, ma con qualcosa del Connecticut quando la neve ammanta le strade, e di Philadelphia, quando si tratta di battere i bassifondi — sono forse il tratto distintivo più riconoscibile. Quella sgangherata di Pippo e quella infiorettata di Minni, quella curata di Topolino e quella rattoppata di Orazio. Persino il vecchio Pietro Gambadilegno può permettersi una villetta con il prato all’inglese e la staccionata bassa, in una città dove la delinquenza è, dopotutto, poco più che una scia di marachelle. Ma quando si tratta di scendere a esplorare il marciume della società, le strade soleggiate e ariose diventano vicoli umidi e scuri, ricettacoli di avanzi di porto e di galera. Topolinia ha i suoi quartieri poco raccomandabili, pattugliati dai bravi poliziotti del distretto di Basettoni e dei detective Manetta e Rock Sassi — personaggio creato da Tito Faraci nel 1997 e comparso nella storia La lunga notte del commissario Manetta — e affacciati sul Mouse River. Tra le ombre dei suoi ponti e l’incombenza dei suoi attracchi.
Se i confini di Topolinia restano in genere poco definiti, è senza dubbio nella tradizione Disney italiana che si trovano la maggior parte degli elementi distintivi. Il lavoro di Martina per distinguerla da Paperopoli ha dato a Topolinia diversi tentativi di mappatura, un orientamento cardinale e un’idea di dimensioni. La città è piccola, qualcosa più che una cittadina, ma affacciata sul mare e protetta dalle montagne, piuttosto vicina al deserto e ai grandi parchi naturali. Potrebbe essere Pasadena, solo ricollocata verso il Pacifico. L’Italia, poi, ha popolato Topolinia di personaggi come i professori Zapotec e Marlin, creati da Massimo Di Vita nel 1979 e comparsi per la prima volta nella storia Topolino e l’enigma di Mu, di un museo delle scienze e di un futuro prossimo in cui la città assume uno skyline simile a quello di Manhattan — nel corso della saga Topolinia 20802, ideata da Fausto Vitaliano, cominciata nel 2009 e ancora in corso (di seguito trovate un’anticipazione della prossima puntata (1)), in cui Topolino accetta la sfida dei nuovi orizzonti e si trasferisce in centro dove comincia a lavorare per il Topolinia Daily, tra palazzoni stratificati e stradoni imbottiti di taxi, in un esperimento grandioso, spettacolare e maturo. Topolinia, insomma, deve la gran parte della sua tradizione ai nostri disegnatori e sceneggiatori e non ha ancora finito di crescere.
Paperopoli è tutto un altro paio di maniche. Intanto è la capitale del Calisota e conta più di un milione e trecentomila abitanti, per una superficie estesa circa il doppio di quella della cugina al di là della baia. Poi, la città che conosciamo oggi è figlia di una ricerca profonda e di una continua definizione, non soltanto di un adattamento alle esigenze di storie e personaggi, ma una vera e propria crescita urbanistica. Quando nel 1947 Carl Barks ha creato Paperon De’ Paperoni, gli ha dato un contorno degno del papero più ricco del mondo: un’intera città che prosperasse del riflesso dei suoi guadagni. Paperopoli, secondo tradizione, è stata fondata nel 1818, anno in cui Cornelius Coot ha ereditato un forte appartenuto al noto corsaro Sir Francis Drake, sulle alture nei pressi del fiume Tulebug. Verso la fine del secolo, De’ Paperoni ha acquistato dal figlio di Coot, Casey, la collina su cui avrebbe costruito il suo deposito, poi conosciuta come Collina Ammazzamotori. E proprio il Deposito — la maiuscola è d’obbligo — fa da perno a una città in movimento e in crescita continua. Paperopoli è stata modellata nel tempo, da Barks e dal maestro Romano Scarpa (che ha popolato Paperopoli di personaggi come Brigitta McBridge, Filo Sganga, Paperetta Yè Yè, Gedeone Paperone), sopra a tutti. È stata tutto e il contrario di tutto: oggetto dei bombardamenti di Theodore Roosevelt, più volte ristrutturata, comprata e venduta. È stata nelle mani di ricattatori senza scrupoli e ha rivendicato la sua libertà sovrana —magnifica nella serie Duck Tales —, è sprofondata nelle viscere della terra — nei sotterranei sopravvivono ancora le rovine dell’antica Duckburg — ed è risorta grazie al contributo dei suoi miliardari (così numerosi qui, da avere un club). John D. Rockerduck ha contribuito alla costruzione delle sue dodici linee metropolitane e Paperone non fa che metterla nei guai e salvarla, sempre con amore sconfinato.
Quello dei Paperi è un universo solido, che si basa su una geografia ferrea, quasi religiosa. Dipende probabilmente dal fatto che i personaggi sono talmente ben definiti da non lasciare troppo spazio all’improvvisazione. Topolino, Pippo, Minni e compari si sono prestati a diverse attività e versioni mentre, per quanto riguarda i paperi, non c’è molto da aggiungere al lavoro dei maestri pionieri e teorici. Paperino può diventare Paperinik e poi Pikappa, e Paperopoli può modellarsi su una specie di Gotham City oscura e futuristica, ma il Deposito resterà il Deposito e così il quartiere di via dei Platani — dove sorgono le case di Paperino, Anacleto Mitraglia, Archimede e molti altri — o il covo dei Bassotti, il quartier generale di Rockerduck o Villa Rosa — culla del misterioso Fantomius, creato da Martina e disegnato per la prima volta da Scarpa nel 1970.
I quartieri di Paperopoli, ordinati e spaziosi, sorgono attorno a un centro moderno e danno alla città un aspetto simile a una sintesi tra San Diego e San Francisco. Con le sue salite e discese ripide, le sue zone verdi e i suoi grattacieli. Cornelius Coot eternamente ritratto nell’atto di porgere alcune pannocchie, in un gesto talmente tradizionale da non aver bisogno di spiegazioni.
Nell’estate del 2014 le zone sono state mappate su Topolino nell’ambito di un’iniziativa dal titolo Topotravel (2), tenendo conto del lavoro immenso cominciato da Don Rosa e proseguito da Barks nella localizzazione dell’esatta posizione della città — corrispondente più o meno a quella di Eureka, California — e nel tracciamento del reticolo urbano. Paperopoli più crescere, ma non può cambiare con la libertà di adattamento di Topolinia. Scrivere storie ambientate a Paperopoli significa accettare uno scenario pronto, nel quale muoversi ma senza improvvisare. Nel corso degli anni si sono succedute le retrospettive e le storie nella storia: è stata raccontata l’epopea di Coot in vari episodi e con dovizia di particolari la scalata al successo di Paperone, dal Klondike al trasferimento in città assieme alle due sorelle Matilda e Ortensia, e la sua rivalità con Rockerduck. Le disavventure di Paperino, le sue guerre domestiche con Anacleto, Gastone e Jones, le avventure tra il Picco del Diavolo e quello che sembra il deserto del Mojave. L’arrivo dei nipotini, l’amore corrisposto per Paperina e quello non corrisposto di Brigitta per Paperone. Sono nati personaggi come e altri sono andati poco a poco sparendo, ma la città è rimasta sempre la stessa e questo sembra essere il suo destino — anche piuttosto “manifesto”.
Le due città della baia sono capolavori utopistici, per quella loro abilità di esistere non esistendo. «I nostri autori si muovono come urbanisti o architetti — mi ha detto Valentina De Poli, direttore di Topolino — e di volta in volta svelano aspetti sconosciuti di Topolinia e Paperopoli, dando alle città nuovi fronti di crescita e consolidandone l’esistenza. Così i personaggi si trovano a fare cose che prima non facevano: in Topolinia 20802, Topolino prende la metropolitana e in PK Paperino vive in un palazzo di centocinquanta piani (più uno). Questa crescita rapida e imprevedibile fa parte del mondo raccontato a fumetti, dove l’immaginazione è la realtà». È così. Le città dei topi e dei paperi sono i capisaldi favolosi di una tradizione concreta e finché esisteranno, la nostra fantasia avrà un posto dove vivere.
(1) Anticipazione in uscita su Topolino 3100, del 22 aprile 2015, sceneggiatura di Fausto Vitaliano, disegni di Marco Mazzarello, qui per amichevole concessione del direttore e di Panini Comics.
(2) In intestazione e nell’articolo trovate alcuni disegni realizzati per Topotravel da Blasco Pisapia. Pubblicati originariamente su Topolino a partire dal numero 3068, qui per amichevole concessione del direttore e di Panini Comics.