Gli indipendentisti scozzesi decideranno le elezioni in Regno Unito

Gli indipendentisti scozzesi decideranno le elezioni in Regno Unito

Dovevano essere le elezioni dell’Ukip, ma quasi certamente saranno quelle dello Scottish National Party. Solo pochi mesi fa, la possibilità che un successo del movimento di Nigel Farage potesse mettere in crisi il tradizionale sistema partitico britannico attirava l’attenzione di analisti e commentatori.

Ora, a meno di tre settimane dalle elezioni del 7 maggio, sembra chiaro che l’Ukip riuscirà a portare solo pochissimi parlamentari a Westminster, mentre lo Snp sta inaspettatamente volando nei sondaggi. Un risultato sorprendente, visto che a settembre gli indipendentisti erano stati battuti nel referendum sulla secessione scozzese. Se questo trend sarà confermato nelle ultime settimane di campagna elettorale, allo Snp spetterà il ruolo di ago della bilancia per la formazione del prossimo governo. E gli effetti a lungo termine di questo sconvolgimento della geografia politica britannica potrebbero essere difficilmente reversibili.

A livello nazionale lo Snp continua ad avere intenzioni di voto molto basse, sotto il 5 per cento. Ma i sondaggi locali gli assegnano un consenso sempre più in crescita in Scozia, che secondo alcune rilevazioni potrebbe addirittura arrivare a sfiorare il 50 per cento. Nel frattempo il Labour arranca nelle regioni settentrionali del Regno a quasi venti punti di distanza, attorno al 25 per cento.

«Quella del referendum è stata una sconfitta solo in apparenza per lo Snp»

Grazie al sistema elettorale britannico – il cosiddetto “First past the post”lo Snp potrebbe aggiudicarsi più di 40 dei 59 seggi assegnati in Scozia, mentre il Labour ne otterrebbe appena 10. Il confronto con le elezioni del 2010 dice tutto: cinque anni fa il partito laburista si aggiudicò ben 41 seggi, mentre lo Snp ne vinse appena 6, arrivando addirittura terzo dopo i Liberal-Democratici. Come ha fatto lo Snp a passare in pochi mesi da una sconfitta – quella del referendum – a una probabile ondata elettorale che potrebbe trasformare la politica britannica?

«Quella del referendum è stata una sconfitta solo in apparenza per lo Snp», spiega a Linkiesta Nicola McEwen, professoressa di Politica all’Università di Edinburgo e direttore associato dello Scottish Centre on Constitutional Change.

«Raggiungere il 45 per cento dei voti è stato un ottimo risultato, che è diventato un punto di partenza per successivi progressi. La lunga campagna elettorale, poi, ha portato a uno sviluppo di un movimento di massa per l’indipendenza che prima non esisteva – continua McEwen. Ora una fortissima maggioranza di quel 45 per cento che aveva votato per il “Sì” appoggerà lo Snp, perché il legame tra sentimenti pro-indipendenza e voto per lo Snp è più forte che mai. In più, lo Snp si sta presentando anche come il partito della giustizia sociale, e quindi sottrae al Labour anche elettori contrari all’indipendenza».

Grazie al referendum, poi, lo Snp ha beneficiato di un enorme aumento dei suoi iscritti: prima della consultazione erano 25 mila, ora sono più di 100 mila, una macchina formidabile da mettere in campo in una campagna elettorale. Il partito indipendentista si è rafforzato anche grazie al cambio di leadership seguito alla sconfitta referendaria, con il passaggio del testimone tra l’esperto Alex Salmond e la più giovane e carismatica Nicola Sturgeon, che ha “ereditato” anche la carica di primo ministro scozzese ed è stata molto efficace nei dibattiti elettorali in tv.

Il sentimento prevalente in questo momento nel Labour scozzese sembra essere il panico. «L’avanzata dello Snp è come uno tsunami. Non si può fare nulla per ostacolarla», ha dichiarato ai giornali britannici uno dei 41 parlamentari laburisti uscenti – a condizione che non venisse rivelato il suo nome. La rimonta dello Snp rischia di essere catastrofica per la performance nazionale del Labour. Il partito guidato da Ed Miliband, indebolito da una flessione nei sondaggi negli ultimi dodici mesi, avrebbe potuto comunque raggiungere la maggioranza necessaria a formare un governo a Westminster. Ma con la crescita degli indipendentisti scozzesi la meta sembra ormai irraggiungibile.

La batosta, oltre che aritmetica, è simbolica: la Scozia è sempre stata considerata l’heartland del Labour, è la sua culla ideologica e storica. Scozzese era uno dei padri fondatori del partito, il sindacalista Keir Hardie, e scozzesi sono stati molti suoi leader importanti, fino a Gordon Brown. Nelle elezioni degli ultimi decenni, il Labour aveva sempre ottenuto una netta maggioranza in Scozia, spesso decisiva per la formazione dei governi nazionali.

La Scozia è sempre stata considerata l’heartland del Labour, è la sua culla ideologica e storica

L’attuale leader del Labour Ed Miliband, invece, secondo il giudizio di molti commentatori, ha iniziato a prendere sul serio la “questione scozzese” quando era ormai troppo tardi. «Sono anni – spiega ancora Nicola McEwen – che lo SNP si sta affermando in quelle che un tempo erano roccaforti elettorali del Labour, e già nel 2011 aveva fatto il pieno di seggi nelle elezioni per il parlamento scozzese. Ma il referendum dello scorso settembre è stato sicuramente il punto di svolta. Non solo per l’alleanza dei laburisti con i Conservatori, ma anche per il tono fortemente negativo della loro campagna, che sicuramente farà pagare al Labour in prezzo molto caro in queste elezioni».

La possibilità di un’alleanza post voto tra Miliband e Sturgeon è diventata uno dei temi più discussi nella campagna elettorale. Lo Snp, infatti, non è solo un movimento indipendentista, ma è ormai anche un partito con posizioni decisamente di sinistra – mentre alle sue origini era più moderato e centrista. Insieme, i due partiti riuscirebbero a raggiungere la soglia di 325 parlamentari necessaria per assicurare la fiducia a un governo.

Finora Ed Miliband ha sempre escluso la possibilità di un’alleanza con lo Snp

Sturgeon ha più volte offerto a Miliband il suo aiuto per evitare la nascita di un secondo esecutivo guidato dal conservatore David Cameron, ma il leader laburista ha escluso la possibilità di un’alleanza con lo Snp. Le posizioni del partito di Sturgeon, su molti temi – non solo economici – sono piuttosto radicali, e alcune potrebbero mettere in imbarazzo un partito riformista e “di governo” come il Labour. Tra queste, l’opposizione al rinnovo del programma Trident, il sistema britannico di difesa nucleare, che funziona grazie a quattro sottomarini – armati con testate atomiche – ormeggiati nella base scozzese di Clyde.

Per capire bene la portata del cambiamento politico in Scozia basta forse andare a Paisley, cittadina di settantamila abitanti nella contea del Renfrewshire, già teatro di moti radicali nell’Ottocento, e protagonista dell’insurrezione scozzese del 1820. Qui, secondo gli ultimi sondaggi, la candidata dello Snp, Mhairi Black, una studente universitaria di appena vent’anni, dovrebbe battere il potente parlamentare uscente Douglas Alexander, influente ministro degli Esteri ombra del Labour, vicinissimo a Ed Miliband, e da lui nominato responsabile della campagna elettorale del partito in tutto il Regno Unito.

Black, se eletta, oltre a togliere il posto in parlamento a un big della politica britannica come Alexander, sarebbe la più giovane parlamentare a Westminster. «Nella mia famiglia sono sempre stati tutti laburisti – ha dichiarato Black al Guardian – ma ora la gente si sente tradita, e non ne può più dell’austerità economica. Io e mio padre ci siamo iscritti allo Snp nello stesso giorno. Il Labour non ha mai avuto bisogno di fare campagna elettorale, quindi io mi sono candidata perché volevo costringere Alexander a farsi vedere qui». Domenica scorsa, infatti, Douglas Alexander postava su Twitter alcune foto del suo giro elettorale – forse ormai tardivo – nel suo seggio di Paisley.

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