I rischi taciuti dell’intesa Iran-Usa

I rischi taciuti dell’intesa Iran-Usa

Anche se qualcuno l’ha chiamato Rolex Agreement, dal nome del campus di Losanna che ha ospitato i colloqui, l’intesa tra l’Iran e la comunità internazionale è arrivata fuori tempo massimo, quarantott’ore dopo il termine fissato dalle parti. Ma, soprattutto, i negoziati svizzeri non hanno partorito un “deal”, ma un “framework”, cioè non un’intesa ma il quadro di un’intesa. Il presidente iraniano Rohani ha parlato di un accordo sui “parametri chiave” e il presidente Usa Obama, in una conferenza stampa trasmessa anche in Iran, ha bilanciato entusiasmo (“historic understanding”) e prudenza (“the final deal has not been signed yet”). Una prudenza condivisa da Majid Rafizadeh, politologo americano di origini mediorientali, accademico di Harvard, commentatore per Cnn, New York Times e al Arabiya.

Majid, in queste occasioni ci si chiede sempre se sia stata raggiunta una buona intesa, o comunque la migliore possibile. Ci sono vincitori e sconfitti, o è un accordo win-win?
Credo che sia un accordo bilanciato. Dal quadro che emerge, sembra che sia una situazione win-win, sia per Obama che per Rohani. Il team di Teheran può sostenere che la Repubblica Islamica ha strappato una vittoria perché ha conservato il suo diritto ad arricchire l’uranio e ha mantenuto operativi i propri siti nucleari, compresi quelli di Arak e di Natanz, nonché il reattore di Fordo. Come ha fatto notare, davanti all’opinione pubblica iraniana, il ministro degli Esteri, Javad Zarif, “nessuna delle misure su cui si è raggiunta l’intesa richiede la chiusura di un impianto nucleare”. Infatti “l’orgoglioso popolo dell’Iran non lo avrebbe accettato”. Ha poi aggiunto che il sito di Fordo, sotterraneo, manterrà le proprie centrifughe.

Quella di Zarif non è propaganda a uso interno? In fondo, se messo in pratica, l’accordo appare più rigido di quanto ci si potesse aspettare. Anche gli Stati Uniti hanno ottenuto più del previsto, ad esempio su materiale stoccato, numero e qualità delle centrifughe, che saranno tutte di prima generazione.
Obama potrà fare affidamento su un argomento: la comunità internazionale ha conquistato una sorta di assicurazione sul nucleare, nel senso che la strada che separa l’Iran dalla bomba è lunga, in ogni caso, almeno un anno. Il Dipartimento di Stato può dire di avere strappato alcuni punti importanti: durante il periodo dell’intesa, cioè quindici anni, l’Iran arricchirà uranio in un solo impianto, quello di Natanz, e soltanto al 3.67 per cento. Le attività ad Arak, dove c’è un reattore ad acqua pesante, verranno limitate. Quello di Fordo diventerà un centro di ricerca, a scopi pacifici, per sviluppare nuove tecnologie.

Restano, però, dei dettagli tecnici che non possono non essere politici. Ad esempio: gli ispettori dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) avranno accesso ai siti militari? In caso contrario l’accordo rischia di essere debole.
Certo, i dettagli tecnici sono politici. Entrambe le parti cercheranno, per usare una metafora, di “mandare la palla in tribuna”, di tergiversare. Al tempo stesso non possono permettersi di affrontare le ripercussioni e le conseguenze interne, in caso di fallimento dei negoziati, che sono durati, lo ricordo, diciotto mesi. È vero, d’altro canto, che l’Aiea ha fallito varie volte nel suo intento di ispezionare rigorosamente i siti nucleari iraniani. Questo è il motivo per cui ci sono le sanzioni. Resta da vedere se ci saranno ispezioni complete e se l’Aiea avrà accesso a tutte le informazioni relative agli sviluppi militari del programma atomico. Ma il punto, secondo me, è un altro.

Quale?
Il fatto cruciale è che questo accordo, anche se dovesse essere messo in pratica, non rimuoverà del tutto, in maniera permanente, la possibilità dell’Iran di ottenere armi nucleari. L’intesa è su base temporanea. Teheran, in qualsiasi momento, può venire meno ai termini concordati e riprendere il suo programma.

Sì, ma l’Iran non avrebbe mai accettato uno smantellamento totale dei siti e una rinuncia del suo diritto ad arricchire l’atomo. Crede che Teheran seguirà l’esempio della Corea del Nord, sconfessando l’accordo?
È meno probabile, perché l’economia iraniana è maggiormente integrata a quella internazionale, per cui trarrà giovamento dalla progressiva cancellazione delle sanzioni. Però, se l’Iran dovesse sconfessare l’accordo, una volta tolte le sanzioni, sarà molto difficile per l’Occidente reintrodurle. Ed anche l’opzione militare non è così probabile.

Le sanzioni internazionali dovranno passare attraverso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
E lì la Russia tornerà in gioco e si opporrà a un ritorno automatico delle misure punitive, perché questo indebolirebbe il proprio potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza. L’opposizione di Mosca all’automatismo delle sanzioni farà gli interessi della leadership iraniana.

Obama nel suo discorso ha voluto rassicurare più volte sia Israele che i Paesi del Golfo, sunniti, nemici dell’Iran. La scommessa della Casa Bianca è che un Iran non più “pariah” della comunità internazionale si siederà al tavolo di tutte le trattative politiche e sarà meno incline a sostenere il terrorismo.
Non credo che la politica estera dell’Iran e le sue ambizioni egemoniche all’interno della regione cambieranno in maniera significativa. Anzi, i pasdaran – i Guardiani della Rivoluzione, ndr – si sentiranno rafforzati nel perseguire i propri interessi politici, dal momento che, con la cancellazione delle sanzioni, il loro potere economico ne trarrà beneficio. Anche se, bisogna riconoscerlo, in questo quadro ad avvantaggiarsi saranno tutte le economie, compresa quella europea.

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