«A Genova sono stato testimone di tante violenze. In seguito a quell’esperienza abbiamo deciso di presentare un provvedimento che rendesse impossibile, in futuro, ripetere certi comportamenti». Dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia torna a interrogarsi sugli abusi del G8. A distanza di quindici anni molti responsabili dell’assalto alla scuola Diaz restano impuniti. «Intanto il governo ha pensato bene di bloccare il mio disegno di legge sull’identificazione degli agenti delle forze dell’ordine». Il senatore Peppe De Cristofaro nel 2001 era uno dei portavoce del Genoa Social Forum. Dopo quelle vicende ha intrapreso una battaglia in Parlamento per introdurre una norma «in grado di evitare altri casi di impunità». Nessun accanimento nei confronti della Polizia, assicura l’esponente di Sel. «Anzi, l’introduzione di un codice identificativo sui caschi degli agenti permette di riconoscere i colpevoli degli abusi, evitando generalizzazioni che finiscono per colpire chi rispetta la divisa e il Paese». Dopo un lungo iter legislativo, due settimane fa il provvedimento è arrivato a un passo dal voto in commissione. Poi, racconta De Cristofaro, un intervento del ministro dell’Interno ha bloccato tutto. Nel frattempo Sel continua a chiedere l’istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti di Genova. «Bisogna indagare sulla catena di comando. Vogliamo sapere perché in questi anni i principali responsabili di quelle vicende sono stati promossi». Ma ha davvero senso aprire un’indagine a quindici anni di distanza? «C’è una commissione di inchiesta sull’omicidio di Aldo Moro – taglia corta De Cristofaro – Se si può fare luce su fatti che risalgono al 1978, non vedo qual è il problema».
Senatore De Cristofaro, cosa comporta il disegno di legge che ha presentato?
Il provvedimento introduce un codice numerico sui caschi delle forze dell’ordine, in grado di identificare ogni appartenente del corpo. Sottolineo, nessuno vuole scrivere nome e cognome dell’agente. Si parla solo di codici numerici.
Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo viene messa a rischio la sicurezza dei singoli agenti.
Non è così. Attraverso il codice l’unico in grado di risalire all’identità dell’agente è un magistrato. E solo in caso di abusi, nell’ambito di un processo penale. Lo ripeto, questo provvedimento non ha alcuna volontà di criminalizzare le forze dell’ordine, anzi. La stragrande maggioranza degli agenti rispetta la divisa, il Paese e i cittadini. E svolge il proprio lavoro con salari tutt’altro che adeguati. Credo che anche per loro sia positivo introdurre un meccanismo che in caso di violenze permetta di identificare i colpevoli. È un elemento di trasparenza in grado di evitare i casi di impunità. Esattamente come è accaduto al G8 di Genova, dove in alcune situazioni è stato impossibile risalire ai colpevoli.
In quei giorni lei era al G8.
All’epoca ero uno dei portavoce del Genoa social forum, sono stato testimone di molte violenze. Proprio in quell’occasione ci siamo ripromessi di approvare una norma che rendesse impossibile, in futuro, ripetere certi comportamenti. Non l’ho detto io, è stata Amnesty International a parlare della «più grave sospensione dei diritti umani in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale». Ma questo disegno di legge non riguarda solo i fatti di Genova. Negli anni successivi al G8, purtroppo, ci sono stati tanti altri casi in cui sarebbe servito un numero identificativo per gli agenti delle forze dell’ordine. La ritengo una norma di civiltà. Un meccanismo che esiste in tutti i paesi europei.
Quanto manca all’esame del Parlamento?
Il disegno di legge è arrivato in commissione in quota opposizione. Come gruppo Misto ci siamo battuti da mesi per la sua calendarizzazione. Poco prima di essere votato, però, si è bloccato. Una quindicina di giorni fa è intervenuto in commissione il ministro degli Interni Angelino Alfano, ribadendo che al governo ci sono posizioni diverse rispetto a questo provvedimento. Ha proposto di presentare un unico disegno di legge, per unire questa norma a un più generale “pacchetto sicurezza”. Pur riconoscendo la legittimità di una discussione contestuale dei due provvedimenti, abbiamo chiesto che restino separati. È una questione di chiarezza. Noi vogliamo sapere se il presidente del Consiglio è favorevole o meno all’introduzione di un codice identificativo per le forze dell’ordine.
Come è finita?
La nostra proposta è stata accettata, adesso siamo in attesa. Il governo ha promesso di presentare il pacchetto sicurezza entro un mese, mancano quindici giorni. Se non ci saranno novità vogliamo che riprenda immediatamente l’esame del nostro provvedimento. Se questa norma sarà insabbiata, la maggioranza dovrà spiegare il motivo davanti al Paese.
Con la condanna della Corte di Strasburgo si sono riaperte le polemiche sul ruolo di Gianni De Gennaro. All’epoca capo della polizia, ora presidente di Finmeccanica.
Noi diciamo da tempo che quella nomina è sbagliata, non capiamo nemmeno quali meriti acquisiti possano aver giustificato quell’incarico. Per primi abbiamo chiesto le sue dimissioni. Mi colpisce che il presidente del Pd avanzi una critica così netta (ieri Matteo Orfini ha scritto su twitter: «Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica», ndr), salvo farsi smentire in maniera così clamorosa dal suo segretario nel giro di 24 ore.
Nel frattemp Sel è tornata chiedere l’istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti del G8 di Genova.
Veramente la chiediamo da molti anni. Un’iniziativa che è sempre stata bloccata in Parlamento dalle forze di centrodestra. Nella stagione di governo 2006-2008 avevamo i numeri per l’approvazione, ma allora a porre il veto fu l’Italia dei Valori. Abbiamo sempre ritenuto che lo scopo dell’inchiesta non dovesse essere punitivo. È importante far luce su quei fatti, evitando omissioni e silenzi. Anche per chiarire tutte le responsabilità. Va bene una norma che permette di identificare gli agenti, ma non sfugge a nessuno che i principali responsabili di quelle vicende sono da ricercare nella catena di comando. Mi chiedo, è possibile che in tutti questi anni nessuno è stato colpito da provvedimenti? È davvero possibile che ci sia stata questa impunità totale?
Ma ha senso una commissione di inchiesta dopo 15 anni?
Ne è stata recentemente istituita una sull’omicidio di Aldo Moro. Se si cerca di far luce su quello che è accaduto nel 1978, non vedo perché non è possibile farlo sul 2001.
Intanto il Parlamento sta per approvare una norma che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento.
È un’altra nostra battaglia storica. Abbiamo delle riserve sul testo all’attenzione di Montecitorio, è ancora ambiguo. Avremmo preferito che la tortura fosse inserita nel codice di procedura penale come reato “proprio”, tipicamente connesso all’abuso di potere. Invece si è preferito parlare di reato comune, prevedendo un’aggravante nel caso in cui il responsabile indossi una divisa. Pur non condividendo il testo al 100 per cento abbiamo votato a favore al Senato. Non è il miglior testo possibile, ma è sicuramente un passo in avanti.