L’assessore alla Cultura di Milano Filippo Del Corno è un assessore che lavora molto e in silenzio. Le sue poche dichiarazioni sono sempre sintetiche e molto concrete, ma sulla polemica MUDEC/Chipperfield ha sbagliato — non avendo competenza sulla esecuzione dei lavori — a riportare pubblicamente, e senza verifiche, quanto gli avranno riferito dall’assessorato ai Lavori Pubblici. Il tema ha un rilievo — non solo per coloro che per mestiere si occupano di progettazione e di costruzione, ma anche per la generalità degli utenti delle opere pubbliche — e merita una riflessione.
Il progetto di Chipperfield è eccellente. Soprattutto i suoi spazi di accoglienza al piano terra, la scala e la grande piazza luminosa al primo piano sono di una qualità davvero rara tra gli spazi culturali milanesi. Finché lo sguardo non si posa sul pavimento di lastre lapidee, molto diverse tra loro, molto macchiate, alcune rotte e poi sigillate. Addirittura, al primo piano, il loro allineamento non corrisponde a quello delle lastre verticali del rivestimento del parapetto della scala, perché il marmista ha sbagliato le misure: ha tagliato le lastre verticali tutte uguali, senza tenere conto del giunto di dilatazione del pavimento.
Non si tratta di dettagli, ma della qualità di un’opera che i tecnici del Comune avrebbero dovuto seguire, nel modo più intransigente, utilizzando appieno i poteri che la normativa attribuisce loro
Del Corno ha definito – facendo suo quanto gli hanno riferito – i difetti “dettagli”, rimandando al giudizio di un soggetto terzo, che ovviamente si concluderà, se il soggetto terzo vorrà individuare i difetti come tali, con una detrazione all’impresa e null’altro. Difendendo la decisione di aprire comunque il museo, è stato anche detto che i collaboratori dello studio Chipperfield avevano svolto un sopralluogo nella cava e avevano approvato un campione di lastra.
E le responsabilità del direttore dei lavori, che era di nomina comunale? Il direttore dei lavori avrebbe dovuto – perché questa è la sua mansione – verificare che le lastre fornite corrispondessero al campione approvato, che fossero prive di difetti, che il casellario fosse corretto, che la posa fosse eseguita a regola d’arte. Non lo ha fatto. E Chipperfield è anche stato generoso, contestando soltanto il pavimento, perché, per esempio, i pannelli lignei tipo MDF che rivestono tutte le pareti al piano terra risultano in parte disallineati e spesso non complanari.
Chipperfield è un architetto rigoroso, scevro da atteggiamenti spettacolari, attento all’urbanità. E temo che diventerà l’ennesimo architetto straniero che rifiuta di lavorare in Italia
Non si tratta di dettagli, ma della qualità di un’opera che è costata molti milioni di euro e che i tecnici del Comune avrebbero dovuto seguire, dirigendo i lavori delle imprese appaltatrici, nel modo più intransigente, utilizzando appieno i poteri che la normativa attribuisce loro. Degli spazi culturali inaugurati negli ultimi anni – il Museo del ’900, le Gallerie d’Italia, il MUDEC – il primo ha sfigurato i pregevoli ambienti del ’900 preesistenti, mentre l’ultimo, il cui progetto era il più importante e innovativo, con la sinuosa piazza opalina illuminata dall’alto, che sospende l’attenzione del visitatore preparandolo alla concentrazione necessaria alla visita, è stato realizzato male.
Perché, dei tre citati, l’unico spazio privato è quello più apprezzabile, pur essendo un museo di concezione e distribuzione così tradizionale? Perché non ci impegniamo a mettere in crisi il luogo comune, ormai consolidatissimo, che solo il privato può perseguire pienamente la qualità?David Chipperfield viene definito giornalisticamente come un’archistar. A parte che il termine archistar sa di disprezzo, un po’ di destra populista, per la cultura – anche se molti degli architetti così definiti lo meritano, per la professata concezione del mestiere molto lontana dalla sua dimensione civile – Chipperfield invece è un architetto rigoroso, scevro da atteggiamenti spettacolari, attento all’urbanità (si veda il recente progetto berlinese di Joachimstrasse). E temo che diventerà l’ennesimo architetto straniero che rifiuta di lavorare in Italia.