La Milano degli hipster è meglio di quella dei paninari

La Milano degli hipster è meglio di quella dei paninari

A SurviveMilano ci si arriva da una ricerca su Google, con un link mandato da un’amica, da un post su Facebook. È uno spazietto sul web che chiunque si trasferisca a Milano prima o poi scopre, per necessità. Accogliente come un parco verde in mezzo ai palazzoni, SurviveMilano aiuta i suoi lettori a conoscere la città e a innamorarsene, anche. Perché Milano, oltre la coltre di luoghi comuni e cieli grigi, ha un grande cuore da metropoli europea. Bisogna solo avere la pazienza di trovarlo.

Bruna Gherner e Luca Giorcelli hanno fondato SurviveMilano nel 2009 e da allora hanno pubblicato centinaia di post, con segnalazioni di tutti i tipi — dai primi, timidi, negozi dove fare la spesa sfusa ai migliori ristoranti cinesi della città, passando per i mercati di quartiere e le iniziative per i bambini — che raccontano una Milano che da fuori non si vede, quella a misura d’uomo. Dopo il blog è, inevitabilmente, arrivato il libro: Milano Low Cost – Guida anticrisi alla città più cara d’Italia(BUR-Rizzoli, 448 pagine, 9,90 €), aggiornato con una seconda edizione più ricca e lunga nel dicembre 2014.

Nei giorni scorsi Bruna e Luca hanno rilanciato SurviveMilano, facendolo più bello e più funzionale. E noi abbiamo colto l’occasione per farci quattro chiacchiere, chiedendogli di raccontarci quanto e come è cambiata la città da quando la guardano dal loro punto di vista privilegiato:

Avete chiamato il blog SurviveMilano. E la prima domanda è ovvia: Milano è una città a cui bisogna sopravvivere?
Il blog è nato nel 2009 per una esigenza personale di sopravvivere a Milano. Arrivavo da Berlino, che è una città bella ed economica, e dovevo capire come vivere bene a Milano. Allora lo slogan sotto il titolo era «vivere bene a Milano, nonostante Milano». Questo slogan io adesso l’ho tolto, perché effettivamente più conosco Milano, più mi innamoro della città. Un po’ perché Milano negli anni è cambiata e un po’ perché io l’ho scoperta. Di primo impatto Milano ti dà questa idea di «oddio, come faccio, non so come muovermi, non so dove andare», si vende abbastanza male.

Negli ultimi anni però è migliorata molto, c’è stato un grosso lavoro di immagine che ha cambiato la percezione di Milano, sia per i milanesi sia per chi arriva da fuori. Siamo passati dalla Milano da bere, dalla milano del business e della moda a una Milano un po’ più verde, la Milano delle cascine, la Milano della bici. Secondo me si è diffusa questa immagine più green, più accessibile, magari più hipster anche.

Lo stereotipo della Milano grigia dove si lavora tutto il giorno e si va sempre di corsa è stata superata?
Sì, secondo me sì. È chiaro però che Milano è sempre una città dell’apparenza. Ma adesso l’apparenza si è un po’ spostata su nuovi valori.

Perché dici dell’apparenza?
Trovo che sia una città in cui tutto è mediatizzato. C’è una Milano che appare nei media che è un po’ sempre la stessa. Dai locali di cui si parla allo stile di vita. Ora sembra che tutti i locali abbiano i mazzolini di fiori, le sedie scompagnate, le cheesecake. Se guardi su Facebook, è tutto un po’ così.

Si è passati dai paninari agli hipster. Ma io sinceramente preferisco i valori degli hipster. Almeno vanno in bici, sono vegetariani, ma sono più simpatici. Magari lo sono ugualmente più per l’apparenza che per la sostanza, ma almeno i valori sono più positivi. Nell’introduzione a Milano Low Cost scrivo «meglio morire hipster che paninari».

D’altra parte questa parte mediatizzata continua a essere una visione molto e superficiale rispetto alla vera Milano, che è fatta da persone normali. A volte sembra che a Milano queste persone non ci vivano.

Milano è un po’ la New York d’Italia? Le persone che vengono a Milano sono quelle che vengono a cercare se c’è una verità sotto l’apparenza?
Milano è il posto dove uno va perché vuole avere successo. Non so se è un sogno, però se vuoi avere un po’ di successo speri di averlo a Milano piuttosto che in provincia o a Caltanissetta.

Poi è chiaro che arrivi qui e ti trovi un po’ in una macchina da guerra. Arrivi qui, guadagno poco, devi lavorare tanto, è una fatica. Milano però è anche una città che ti permette di vivere bene, basta scoprire dei piccoli posti che ti piacciono e a cui ti leghi. È per questo che ho tolto quello slogan «nonostante Milano».

Io sono di Torino, poi ho vissuto tanti anni a Berlino. E ho avuto questo confronto un po’ difficile da superare. E poi devo dire che mi sono anche un po’ innamorata dei milanesi. Un sacco di gente simpatica, che fa un sacco di cose. È vero che i milanesi sono sempre impegnati a fare robe, ma ci sono un sacco di cose interessanti. Trovo che Milano sia molto vitale.

Come l’hai vista cambiare gli ultimi anni Milano, negli anni di Pisapia e della preparazione a Expo?
Quando ho aperto il blog nel 2009, parlavo di argomenti che pensavo essere di nicchia. Penso alla bicicletta, ai farmers market, alla spesa in cascina, ai mercati delle pulci. Erano tutte cose di cui non si parlava molto. Credo che sia uno dei motivi di successo di SurviveMilano: parlava di nicchie. Adesso queste nicchie sono diventate mainstream. E il lavoro che facevo io lo sta facendo il responsabile della comunicazione del Comune di Milano. Guardo la pagina Facebook del Comune e trovo le cose che piacciono a me.

Qualche mese fa avete lanciato la nuova edizione di Milano Low Cost, speciale Expo. Cosa ci avete messo di nuovo?
La vecchia edizione partiva con la spesa, la cosa più quotidiana che ci sia. Questa è pensata più per un pubblico esterno, per i turisti. Parte con i trasporti ed più normale come guida, più utile se non vivi a Milano. C’è una parte più grossa di ostelli dove dormire, cascine, campeggi. E un intero capitolo sullo street food e una parte sullo shopping, anche questo con un taglio SurviveMilano, con una sezione sulle piccole sartorie in cui farsi fare qualcosa a mano.

E poi ho aggiunto un altro capitolo su un’altra tendenza fortissima che c’è a Milano che è quella dell’autoproduzione, dal hand made al self made. Posti che vendono gli elementi per farsi cose da sé, dalla lana ai gioielli, passando per il cucito. Questa è una cosa che non c’era tre/quattro anni fa. C’è stato un boom incredibile. E a fianco sono nati tantissimi mercatini come Pulci pettinate. Da questo punto di vista Milano è davvero la capitale d’Italia di questo movimento di autoproduzione.

Un’altra cosa che ho aggiunto sono i community garden. Sono giardini curati da privati, da persone, da associazioni. Spazi abbandonati che vengono rimessi a posto.

Community garden a Milano?
Sì. Ad esempio, uno è Isola Pepe Verde, un vecchio magazzino di materiale edile, vicino all’uscita della metropolitana di Garibaldi, in via Guglielmo Pepe. Il magazzino era di proprietà del Comune ed era abbandonato. Un’associazione di cittadini ha chiesto il terreno al Comune e l’ha rimesso a nuovo. Un posto bellissimo. E ce ne sono molti altri, come quello di viale Montello, alla fine di Via Sarpi. Anche lì un’associazione di cittadini ha rimesso a posto lo spazio e l’ha trasformato in un giardino pubblico.

Quando dico che mi sono innamorata dei milanesi, lo dico perché c’è un sacco di gente che fa cose belle. Non voglio idealizzare troppo, ma ci sono tanti progetti del genere. Io ho scritto anche la guida di Torino e mi sono resa conto nel confronto che a Torino cala tutto dall’alto. È più pubblico ma sono cose date. A Milano c’è molta più iniziativa privata.

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