Le donazioni estere che imbarazzano Hillary Clinton

Le donazioni estere che imbarazzano Hillary Clinton

Domenica pomeriggio i dipendenti della Clinton Foundation hanno ricevuto una mail. Mittente: Hillary Clinton. Oggetto: le dimissioni della neo-candidata alla Casa Bianca dal Board of Directors della Fondazione. Le motivazioni, del resto, sono logiche: la corsa alla nomination democratica è incompatibile con l’impegno filantropico, e soprattutto l’ex first lady deve togliere un’arma preziosa ai suoi avversari, l’accusa di conflitto d’interessi. 

Dai nove dipendenti iniziali la Clinton Foundation ne ha oggi 2.200 e nel corso del tempo ha raccolto circa due miliardi di dollari 

Hillary era entrata a far parte del board nel febbraio 2013, dopo avere lasciato il Dipartimento di Stato, all’inizio della seconda presidenza Obama. All’epoca la William J. Clinton Presidential Foundation, nata dodici anni prima, fu ribattezzata Bill, Hillary and Chelsea Foundation (e la figlia divenne vicepresidente). Oggi l’ente filantropico è un peso massimo globale, dai nove dipendenti iniziali si è passati a 2.200, nel corso del tempo sono stati raccolti circa due miliardi di dollari e si sono moltiplicate le iniziative strutturali, dalla lotta all’Aids in Africa, presidiata dalla Clinton Health Access Initiative (CHAI), alla campagna contro l’obesità infantile negli Stati Uniti.

Le dimissioni di Hillary non placheranno l’ardore dei rivali politici, che hanno sempre presentato i finanziamenti esteri alla charity come una sorta di quinta colonna straniera sul suolo politico americano. Poco prima che la Clinton divenisse ufficialmente segretario di Stato, su pressione del transition team di Obama, che voleva evitare accuse di conflitti d’interesse, la Fondazione smise di accettare fondi dall’estero, ma il flusso riprese dopo la fine dell’esperienza di Hillary a Foggy Bottom. La reazione dei repubblicani fu prevedibilmente polemica.

Quel che è sicuro è che i nomi dei finanziatori stranieri della ong saranno un argomento forte negli spot elettorali dei repubblicani

Non è ancora chiaro se la candidatura presidenziale dell’ex first lady porterà a un nuovo divieto. Quel che è sicuro è che i nomi dei finanziatori stranieri della ong, rintracciabili sullo stesso sito istituzionale, saranno un argomento forte negli spot elettorali del Grand Old Party. In nome della trasparenza, nel 2008 la Fondazione decise di rivelare tutti i nominativi dei propri donatori e l’elenco viene costantemente aggiornato (anche se un’inchiesta della Reuters ha rivelato che la stessa Clinton Health Access Initiative, il programma di gran lunga più consistente, ha smesso di pubblicare la propria disclosure annuale nel 2010). Ma le polemiche non sono mai mancate, soprattutto sui fondi esteri. Oltretutto il divieto che ha accompagnato l’avventura di Hillary al Dipartimento di Stato, riguardava i governi stranieri, ma non gli individui, che spesso avevano con loro legami piuttosto  stretti.

La charity si focalizza oggi su quattro aree (“health security”, “economic empowerment”, “leadership development and citizen service”, “racial, ethnic and religious reconciliation”) ed ha tutta una serie di iniziative tematiche, anche in collaborazione con altri enti. Oltre alla CHAI, ci sono, tra le altre, la Clinton Climate Initiative, la Clinton Development Initiative, la Alliance for a Healthier Generation, la Clinton Economic Opportunity Initiative e il No Ceilings Project, nato nel 2013 da una partnership con la Bill and Melinda Gates Foundation, il cui scopo è quello di rafforzare, in tutto il mondo, il tasso di partecipazione politica delle donne e di lottare per l’allargamento dei loro diritti.

La sola Arabia Saudita ha donato alla Clinton Foundation almeno dieci milioni di dollari

Obiettivi, questi, che paiono in linea con l’immagine di Hillary e con la sua storia di campionessa delle prerogative femminili, ma in contrasto con il profilo di alcuni donatori: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar, Algeria, Brunei. I report del Dipartimento di Stato su quei Paesi fanno a pugni con la piattaforma della Fondazione: assenza di diritti per le donne, violenze e discriminazioni di genere, violazioni dei diritti umani. Eppure la sola Arabia Saudita ha donato alla ong almeno dieci milioni di dollari. Circa un milione, invece, è arrivato dall’associazione Friends of Saudi Arabia, co-fondata da un principe della dinastia dei Saud.

Il Gop ha colto al volo l’occasione. In un video rilasciato a marzo dal Republican National Committee si vede il presidente Obama definire le donazioni politiche straniere «una minaccia alla democrazia». Accanto c’è Hillary che sorride assieme ad alcuni leader del Medio Oriente. A difesa della Fondazione, e dell’impegno per i diritti delle donne dell’ex Segretario di Stato, è intervenuto Bill Clinton, facendo professione di pragmatismo. «Non tutto quello che fanno quei Paesi ci vede d’accordo – ha detto – ma quando fai questo mestiere devi decidere se gli aiuti esterni sono utili o meno». Maura Pally, direttore esecutivo presso la charity, ha precisato invece che nessun governo straniero ha mai contribuito al progetto No Ceilings.

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Non per questo i repubblicani si fermeranno, anzi cercheranno di sfruttare i finanziamenti mediorientali alla Fondazione per sottrarre ad Hillary parte del voto femminile, uno degli elementi cardine della sua candidatura. Rand Paul, candidato presidente alle primarie del GOP, ha già definito i fondi esteri della charity clintoniana delle «spose velate in maniera sottile». 

L’occasione per alzare il tiro dovrebbe arrivare a breve. Dal 5 al 7 maggio in Marocco, a Marrakech, si terrà il Clinton Global Initative Middle East and Africa Meeting. Probabilmente Hillary, la cui presenza era annunciata, non parteciperà, ma ci sarà comunque Bill. A far discutere saranno sicuramente gli sponsor –  tra cui la Ocp (Office Chérifien des Phosphates), un’azienda produttrice di fosfati, di proprietà del governo marocchino, che ha donato all’evento un milione di dollari –  e la lista degli invitati. Ci saranno infatti i presidenti di Ruanda e Tanzania, assieme a funzionari di Emirati Arabi, Egitto e Lega Araba. Anche l’anfitrione non è impeccabile. Sebbene abbia fatto progressi sul piano dei diritti umani, il Marocco è un Paese caratterizzato «da un’alta corruzione e da un certo numero di arresti arbitrari». Era scritto in un report del Dipartimento di Stato, all’epoca di Hillary Clinton. 

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