Erano militari italiani, per la maggior parte soldati semplici. Accusati di diserzione, di tradimento, di viltà di fronte al nemico. Quasi sempre fucilati da plotoni composti dai loro stessi compagni d’armi. A volte giustiziati senza nemmeno un processo, durante esecuzioni sommarie o decimazioni. A cento anni dall’inizio della Grande Guerra, la Repubblica chiede loro perdono.
È una pagina strappata della nostra storia, a lungo dimenticata. Adesso le istituzioni riabilitano quei caduti. Nei prossimi giorni una proposta di legge firmata da sessanta deputati del Partito democratico inizierà l’iter nelle commissioni Difesa e Giustizia di Montecitorio. Un impegno assunto dai parlamentari democrat – guidati da Gianpiero Scanu – in risposta a un appello presentato lo scorso 4 novembre da decine di intellettuali, docenti universitari e rappresentanti di associazioni culturali, affinché «i nostri soldati fucilati per mano amica vengano considerati fra coloro che caddero per la loro Patria».
Di quella tragica vicenda colpiscono i numeri. Durante l’intero conflitto i soldati italiani processati dai tribunali militari furono 262.481. La percentuale di condanne si aggira attorno al 60 per cento dei casi. «In questa moltitudine di procedimenti – si legge nel documento parlamentare – 4.028 si conclusero con la condanna alla pena capitale, di cui 2.967 con gli imputati contumaci e 1.061 al termine di un contraddittorio». Almeno 750 soldati italiani furono giustiziati davanti a un plotone d’esecuzione. Altri 350 furono giustiziati sommariamente, spesso attraverso decimazioni. E si tratta di una stima per difetto: è impossibile conoscere il numero dei nostri militari uccisi da altri italiani durante i combattimenti, per evitare che potessero arretrare dalle posizioni assegnate.
Un triste primato italiano. Pur avendo almeno il doppio dei nostri soldati al fronte, la Francia portò davanti al plotone d’esecuzione 700 militari. I soldati giustiziati dalla Gran Bretagna furono circa 300, ancora meno quelli tedeschi. La spiegazione è in parte giuridica. L’Italia si presentò alla Grande Guerra con un codice penale militare obsoleto, un testo che risaliva al 1869. «La disciplina che regolava l’Esercito italiano – scrivono i deputati – è passata alla storia come una delle più repressive tra quelle applicate dagli Stati coinvolti nella prima Guerra mondiale. Ma la responsabilità ricade anche sui vertici delle nostre Forze Armate. «La bibliografia più accreditata – si legge – sottolinea che le esecuzioni sommarie furono autorizzate e incoraggiate dal generale Cadorna, che le considerava utili come esempio per le truppe ed efficaci come punizioni per reati di particolare gravità».
A un secolo di distanza, la Repubblica è pronta a restituire la dignità anche a questi morti. Altri Paesi l’hanno già fatto. Come ricorda l’appello pubblico recentemente rivolto alle istituzioni, la Nuova Zelanda (nel 2000), il Canada (2002) e la Gran Bretagna (2006) hanno equiparato i loro militari giustiziati per fucilazione agli altri “caduti in guerra”. «Riabilitandoli così agli occhi delle famiglie e del loro Paese». Lo stesso è avvenuto in Francia.
La proposta di legge presentata a Montecitorio segue lo stesso percorso. ll provvedimento prevede l’attivazione d’ufficio della procedura per la riabilitazione dei nostri condannati a morte durante la prima Guerra mondiale «per reati di assenza dal servizio (diserzione) e per i reati in servizio, come lo sbandamento, e i fatti di disobbedienza, ancorché collettiva». Spetterà al procuratore generale militare presso la Corte militare d’appello – entro un anno dall’entrata in vigore della legge – la presentazione delle richieste davanti al Tribunale militare di sorveglianza. Come conseguenza, saranno estinte le pene accessorie, comuni e militari. A partire dalla perdita del grado rivestito dai militari giustiziati. La procedura è diversa nel caso degli italiani passati per le armi senza processo. A loro vengono ugualmente restituiti l’onore militare e la dignità di vittime della guerra. I loro nomi saranno inseriti nell’Albo d’oro del commissariato generale per le onoranze ai caduti, «su istanza di parte presentata al ministro della Difesa». Per tutti, sarà affissa al Vittoriano una targa in bronzo che ne ricordi il sacrificio. Rappresentando la volontà della Repubblica «di chiedere il perdono dei militari caduti».