TaccolaOltre i sogni, il Nord non avrà grandi aeroporti

Oltre i sogni, il Nord non avrà grandi aeroporti

Il sogno di Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, è noto già da un paio d’anni: costruire a Brescia un grande aeroporto che funga da hub per tutto il Nord Italia. Per ribadirlo e far sapere che non ha cambiato idea, l’89enne creatore della catena di supermercati di maggior successo in Italia ha inviato un documento di una trentina di pagine al Rotary Club. «Amico Rotariano – si legge nell’introduzione dello studio – benché molto avanti negli anni, mi sento ancora coinvolto nel mondo aziendale e imprenditoriale e soffro nel constatare l’inadeguatezza dei servizi aeroportuali in tutto il Nord Italia, che limita le possibilità di essere collegati con le città cruciali per il business, come normalmente avviene negli altri Paesi europei. Ho elaborato una visione di come potrebbe essere risolto il problema negli anni a venire».

La “visione” di Caprotti

L’idea di Caprotti è quella di creare un’area di 44 km quadrati che metta in collegamento gli scali di Ghedi e di Montichiari. Sarebbe più grande di Heathrow e del Charles de Gaulle

La “visione” è quella di creare un’area che metta in collegamento gli scali di Ghedi (militare) e di Montichiari. «Da urbanisti affermiamo che alternative non ce ne sono – si legge -. A est di Milano, là dove c’è la maggiore concentrazione di richiesta di servizio, esiste una sola opportunità. Esiste. Ed è in un punto nodale unico. È una soluzione obbligata: l’intera area costituita dagli aeroporti di Montichiari e Ghedi. 44 chilometri quadrati a destinazione aeroportuale. Un’area più grande di Heathrow (Londra), Charles de Gaulle (Parigi), Jfk (New York). Vasta grossomodo come un terzo della Milano costruita». 

Perché proprio Brescia? Caprotti elenca i motivi: «Di questa area, una parte già è di proprietà dello Stato; ubicata nel cuore della macroregione lombardo-veneta-emiliana (un po’ troppo a est rispetto a Milano, ma un’alternativa non esiste); servita da tre autostrade: la Torino-Venezia (A4); la Torino-Brescia (A21) e la Milano-Brescia (A35, detta Brebemi). E in prossimità della Modena-Brennero (A22); è poi servita dall’Alta velocità Torino-Trieste che dovrebbe prevedere una fermata sotto il futuro Montichiari. Così come in Francia il Tgv Parigi-Bruxelles passa sotto il Charles de Gaulle (progetto di 40 anni fa); facilmente navettabile con gli aeroporti di Orio al Serio e Linate). 

Secondo il patron di Esselunga il tutto si potrebbe realizzare entro un decennio

Secondo il patron di Esselunga il tutto si potrebbe realizzare entro un decennio. «Con la smilitarizzazione dell’aeroporto di Ghedi e la progettazione ex novo dell’intera infrastruttura aeroportuale (terminal, hangar, parcheggi, tutto), tra 8/10 anni anche il Nord Italia potrebbe avere un aeroporto intercontinentale. Ma intanto occorre fare cose coerenti. Per esempio, a Montichiari far passare il treno sotto il terminal aeroportuale. Lo scalo avrebbe un utilizzo potenziale enorme. Qualsiasi compagnia aerea sarebbe disposta a farne il proprio hub. 30/40 milioni di abitanti finalmente sarebbero serviti!». 

Bocciatura senza appello

Bosisio, The European House Ambrosetti: «L’idea di Brescia sarebbe andata bene se si fosse scelta 80 anni fa»

Per un attimo sembra di sentire Richard Attenborough nel film Jurassic Park, con le poltrone mobili che seguono il video di presentazione di un nuovo mondo. Ma per risvergliarsi dal sogno basta sentire alcuni esperti del settore. «Non è un progetto serio, non c’è niente di concreto. Dieci anni fa la Regione Lombardia parlò di fare di Ghedi il secondo hub della Lombardia, ma fu soprattutto una provocazione politica dell’assessore ai Trasporti contro gli alleati in giunta della Lega Nord», commenta Nino Cortorillo, segretario nazionale della Filt-Cgil. «Una botade, che non si regge su alcuna analisi concreta – la liquida Stefano Bosisio, Stefano Bosisio, responsabile dell’area Trasporti di The European House Ambrosetti che per la società di consulenza ha realizzato uno studio sul sistema degli aeroporti lombardi -. Diciamo che sarebbe andata bene 80 anni fa. Se all’epoca si fosse scelto il luogo ideale per costruire un aeroporto, Brescia avrebbe avuto un senso».  

Nord senza collegamenti adeguati

Caprotti: «È entrato nel comune modo di pensare che sia normale per un abitante dell’alta Italia dover passare per Francoforte, Roma, Londra o Parigi per andare in qualsiasi parte del mondo»

Se gli esperti del settore non prendono sul serio il progetto avveniristico di Caprotti, sulla situazione attuale dei collegamenti del Nord Italia c’è molto più consenso. «Una delle quattro aree più produttive d’Europa – scrive il patron di Esselunga – è priva di collegamenti con il mondo. Dunque: le impree non sono connesse né con l’Europa (Ginevra, Stoccarda, Monaco di Baviera, Lione, Nizza…) né, tanto meno, con il resto del mondo (Sydney, Chicago, Los Angeles, Buenos Aires, Mexico City…). Da decenni siamo costretti a vagabondare per mezza Europa per andare appunto a Los Angeles, Chicago, Buenos Aires…Talché è entrato nel comune modo di pensare che sia normale per un abitante dell’alta Italia dover passare per Francoforte, Roma, Londra o Parigi per andare in qualsiasi parte del mondo».

Caprotti: «Malpensa non è mai stato e non potrà mai essere l’aeroporto intercontinentale della valle padana. È un terminal grottesco»

Alla radice di tutti i problemi, Caprotti vede la scelta che fu fatta di puntare sutto su Malpensa, in provincia di Varese. «Malpensa non è mai stato e non potrà mai essere l’aeroporto intercontinentale della valle (padana) – scrive -. Perché? Perché la sua ubicazione è eccentrica rispetto al sistema, a ovest, quindi distante dal fulcro produttivo del Nord Italia. È la per caso, perché nel 1909 i Caproni, pionieri dell’aeronautica, scelsero quell’area nella brughiera come campo di volo dei loro velivoli. Poi, nel 1955, il Comune di Milano lo acquistò».

Nonostante le opere di collegamento che sono state fatte, Caprotti non concede sconti. «Poco accessibile l’autostrada per Varese spesso intasata; collegamento del Malpensa Express poco fruibile: dove si parcheggia l’auto in piazzale Cadorna, cioè in centro a Milano?». Non solo: «Mal concepito e mal disegnato: due piste sullo stesso lato: gli aerei devono attraversare una pista per raggiungere il terminal». Una sfilza di critiche, che finisce così: «Un terminal grottesco. Malpensa è il frutto di un progetto fatto a pezzi e bocconi». «Dunque – prosegue il ragionamento – si può asserire che Alitalia è fallita anche perché non le si è data la possibilità di servire il Nord Italia. Con uno scalo degno dei suoi quasi 30 milioni di abitanti. Delle sue splendide città. Delle sue Alpi». Caprotti respinge anche l’idea che limitare Linate serva a spingere Malpensa, ricordando le riduzioni dei voli imposti dai ministri Burlando e poi Bersani. Sorvola, però, sul fatto che tali divieti sono stati nei fatti (o dopo ricorsi) se non ignorati svuotati di efficacia. Alla questione questa testata ha già dedicato una lunga analisi.

Due hub?

Il punto, è: si può uscire da questa situazione oggi, creando un secondo hub in Italia? Per Caprotti sì: «Una macroregione senza un grande scalo: perché la Germania può avere tre hub, la Francia due e l’Italia forse uno, a Fiumicino, lontano dai centri produttivi del Paese?».

Il punto più debole del ragionamento del patron di Esselunga: pensare che basti una infrastruttura per creare un hub, senza una compagnia di riferimento

Questo è forse però il punto più debole del ragionamento del patron di Esselunga: pensare che basti una infrastruttura per creare un hub, che invece si può realizzare se c’è la volontà di una compagnia aerea di metterlo al centro di un sistema di trasporto basato su un perno (hub) e dei raggi. Dopo la serie di scelte che negli anni ha riguardato Alitalia, l’ex compagnia di bandiera è definitivamente fuori dai giochi. Si può rimpiangere il tempo in cui un’alleanza avrebbe reso il sogno realizzabile: con Klm prima (che se ne andò di fronte alle mancate garanzie di limitare Linate favorendo Malpensa), poi con l’ipotesdi di Lufthansa (Piano Scala). Il resto è noto: la presenza di Air France, limitata al 25% in nome dell’italianità sbandierata dall’ex premier Silvio Berlusconi sotto elezioni, il dehubbing da Malpensa per concentrarsi su Fiumicino, il buco nero accumulato dalla Cai dei capitani coraggiosi e la possibilità concreta del fallimento. Poi il salvataggio del salvabile, con la vendita a Etihad, che ha inserito Roma tra gli hub della sua rete globale. Il male minore per la compagnia, una grande possibilità di sviluppo per Fiumicino, ma una condanna al nanismo per gli aeroporti del Nord. Da qui, per ora, non si scappa. Malpensa è rimasto un aeroporto intercontinentale, ma con il solo point-to-point non ha possibilità di crescere (se si esclude il periodo eccezionale dell’Expo, dove comunque gran parte del traffico sarà drenato su Linate, liberato dai limiti con i collegamenti con le capitali europee da un apposito decreto). 

Vale quindi la pena di capire quali sia il reale sviluppo possibile per gli scali del Nord, sulla base di quello che sta succedendo.

Il piano aeroporti è quasi realtà

Dopo cinque governi e altrettanti ministri, il Piano nazionale aeroporti sta per diventare realtà. Ma è stato depotenziato dalle regioni

Bianchi, Matteoli, Passera, Lupi I, Lupi II. Stava diventando lungo come la formazione di una squadra di calcio il numero di ministri che annunciavano la “quasi prossima” approvazione del piano nazionale degli aeroporti. Va dato atto a Corrado Passera di aver voluto difendere politicamente (anche se da tecnico) il piano, e a Maurizio Lupi di averlo in effetti portato in consiglio dei ministri, lo scorso novembre. Poi c’è stato bisogno di un passaggio alla Conferenza Stato-Regioni, che lo ha, come previsto, depotenziato. Dopo il via libera di questo organismo, lo scorso 19 febbraio, per l’ufficialità manca la firma del presidente della Repubblica, che avverrà con il neo-ministro Delrio. Che cosa prevede? 

Prendiamo le informazioni dal sito del ministero delle Infrastrutture e Trasporti: 

Il piano individua 10 bacini di  traffico omogeneo, determinati in base al criterio di una distanza massima di 2 ore di percorso in auto da un aeroporto di particolare rilevanza strategica:  1) Nord-Ovest, 2) Nord-Est, 3) Centro-Nord, 4) Centro Italia, 5) Campania 6) Mediterraneo-Adriatico, 7) Calabria, 8) Sicilia Occidentale 9) Sicilia Orientale, 10) Sardegna.

In questi bacini sono stati individuati

3 aeroporti strategici intercontinentali: Roma Fiumicino, Milano Malpensa, Venezia

9 aeroporti strategici inseriti nella core network europea: Torino Caselle (a condizione che realizzi, in relazione alle interconnessioni ferroviarie AV/AC tra le città di Torino e Milano, un sistema di alleanze con l’aeroporto intercontinentale di Milano Malpensa finalizzato a generare sinergie di sviluppo reciproco e dell’intero bacino del Nord Ovest), Bologna e Pisa/Firenze (a condizione che Pisa e Firenze realizzino la gestione unica), Napoli, Bari, Lamezia Terme, Palermo, Catania, Cagliari.

All’interno di ciascun bacino vi sono, inoltre,  aeroporti considerati di interesse nazionale (Milano Linate, Bergamo, Brescia, Cuneo, Genova, Verona, Treviso, Trieste, Rimini, Parma, Ancona, Roma Ciampino, Perugia, Pescara, Salerno, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Crotone, Comiso, Trapani, Pantelleria, Lampedusa, Olbia, Alghero) a due condizioni:

– la specializzazione dello scalo e una sua riconoscibile vocazione funzionale al sistema all’interno del bacino di utenza;

la dimostrazione, tramite un piano industriale corredato da un piano economico-finanziario, che l’aeroporto è in grado di raggiungere

– l’equilibrio economico-finanziario anche tendenziale e adeguati indici di solvibilità patrimoniale, almeno su un triennio.

La mancanza di queste condizioni determinerà l’uscita dello scalo dall’elenco degli aeroporti di interesse nazionale.

Chi ha seguito la trasformazione del piano negli anni, non può che notare una cosa macroscopica: lo Stato ha rinunciato a fare selezione. Le prime versioni del piano prevedevano i tre aeroporti strategici intercontinentali, una decina di aeroporti strategici; dieci aeroporti primari; 14 aeroporti complementari. In altri termini (anche se la cosa non è mai stata scritta con la necessaria chiarezza nei documenti ufficiali), gli aeroporti strategici avrebbero potuto fare affidamento sui soldi statali, quelli primari su quelli regionali, mentre per i 14 complementari l’alternativa sarebbe stata tra privatizzarsi o chiudere. Il fatto che siano considerati di interesse nazionale scali come Parma (forse con l’obiettivo di vendere lo scalo ai cinesi), Crotone (pochi voli stagionali), Cuneo (con i suoi 10 voli a settimana) e molti altri minori la dice lunga.

Cortorillo: «Con il Piano aeroporti il risultato è stata la decisione tipicamente italiana di non decidere»

«Gli aerporti sono nati in un’epoca in cui si basavano sul costo pubblico – commenta Nino Cortorillo, Filt- Cgil -. Quando si è posto il problema che dovessero essere in equilibrio, lo Stato ha avuto la necessità di fare una selezione, per evitare gli sprechi. Gli aeroporti si sono difesi, con pressioni di ogni tipo, e il risultato è stata la decisione tipicamente italiana di non decidere». La beffa è che dopo tanti anni di rinvii l’accordo con le regioni è arrivato poco prima della riforma costituzionale, che, modificando il Titolo V e riattribuendo le competenze per le infrastrutture allo Stato, avrebbe ridato allo Stato la competenza sulle infrastrutture strategiche. 

Nord e Sud

Nel piano gli scali svantaggiati per i collegamenti ferroviari hanno un trattamento di favore, che ha una logica

Il piano salva in particolare aeroporti del Sud e lo motiva. «La qualifica di aeroporti di interesse nazionale è attribuita – si legge – anche a quegli scali che garantiscono la continuità territoriale di regioni periferiche e aree in via di sviluppo o particolarmente disagiate, qualora non sussistano altre modalità di trasporto, in particolare ferroviario, adeguate a garantire tale continuità». Secondo Cortorillo non si può ragionare sul sistema aeroportuale ignorando il ruolo della ferrovia e dell’alta velocità in particolare. Con la linea già realizzata, quella in costruzione da Torino a Trieste e quella futura per Genova (salvo sorprese), i collegamenti aerei all’interno del Nord Italia saranno meno necessari, mentre continueranno a servire (e a crescere) quelli tra il Nord e Sud e tra il Centro e il Sud. Nel Mezzogiorno la mancanza di ferrovie adeguate, ragiona Cortorillo, rende necessari aeroporti che altrove sarebbero superflui, anche se la costruzione di ferrovie sarebbe di gran lunga preferibile in prospettiva alla proliferazione di piccoli scali. Anche perché la gestione di questi aeroporti è stata spesso del tutto anti-economica e dettata da logiche politiche. 

I poli aeroportuali

Anche se non offre una soluzione di ampio respiro per il Nord Italia, il PIano ha già prodotto una spinta all’aggregazione degli aeroporti, a partire da Firenze/Pisa

Il piano aeroporti, con tutti i suoi compromessi, è quindi da bocciare? No. Perché se non offre una soluzione di ampio respiro per il Nord Italia, ha comunque già prodotto alcuni risultati. Il primo dei quali è la spinta all’aggregazione e alla riduzione di una logica campanilistica che ha solo fatto disperdere risorse. È sulla spinta del piano che si è potuta realizzare la fusione tra gli aeroporti di Firenze e Pisa, superando un dualismo tra società quotate e antagoniste a pochi chilometri una dall’altra. Dopo l’acquisizione da parte di Eduardo Eurnekian di Corporacion America di quote di controllo di entrambi gli scali, il primo effetto è il quasi via libera alla realizzazione della pista di Firenze da 2.400 metri, su cui pende un ricorso della Regione Toscana.

Il sistema di consolidamento dei sistemi aeroportuali ha anche interessato il Nord-Est. Save, la società che gestisce gli aeroporti di Venezia e Treviso, è entrata con il 35% nell’aeroporto di Verona e quindi anche in quello di Brescia Montichiari. Per Verona non c’è stata alternativa, per la serie di colpi dati a un modello che si reggeva su charter e sulla compagnia Meridiana. «I due veri poli del traffico aeroportuale del Nord sono quello lombardo e quello veneto – spiega Cortorillo -. In questi casi, sul confine ci sono dei conflitti». L’ultimo ha riguardato lo scalo di Brescia. Una lettera di intenti tra il gestore dell’aeroporto di Orio al Serio (Sacbo) e Verona prevedeva uno sviluppo di Brescia curato congiuntamente da Bergamo e Verona. La scadenza dell’impegno a trovare una modalità per questa gestione comune è scaduta il 28 febbraio senza soluzione. Né ha aiutato un malinteso sul contratto della società Dhl, che ha firmato fino al 2018 con Bergamo facendo andare su tutte le furie il presidente di Save Enrico Marchi. Per Bergamo l’intesa non precludeva uno spostamento su Brescia, ma la rottura era avvenuta. 

Il piano spinge anche Torino a realizzare un sistema di alleanze con l’aeroporto intercontinentale di Milano Malpensa finalizzato a generare sinergie di sviluppo reciproco e dell’intero bacino del Nord Ovest. Entrambi gli aeroporti vedono la presenza come azionista forte del fondo F2i, partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Proprio questa mancanza di sinergia, a partire dalla mancanza di collegamenti (autostrada e Alta Velocità) tra Torino e Malpensa è stato indicato da molti come un freno allo sviluppo di Malpensa. 

Rimane invece fuori dal piano (e dallo status di aeroporto strategico) l’aeroporto di Genova, che da anni la proprietà pubblica (Autorità portuale) sta cercando di privatizzare senza successo. Per Genova, come per Torino, si sconta una domanda piatta (mentre il resto del traffico cresceva) per la diminuzione del proprio ruolo di bacino industriale.  

Proprio questo declino, a differenza di un Nord Est più vitale, giocherebbe a favore del progetto di lungo periodo di Caprotti. Se di mezzo non ci fosse la realtà. 

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