Le gallerie non devono apparire luoghi esclusivi, che quasi intimidiscono, ma possono essere alla portata di tutti, nella misura di un click. È questa l’idea di ArtRooms. Una startup figlia della mescolanza geografica nord-sud: i tre soci si chiamano Giuseppe Autorino, 37 anni, Giuseppe D’Aniello, 43, e Diego Ciotola, 38, sono napoletani, ma non si conoscevano prima di ritrovarsi a Milano. I due Giuseppe erano al Politecnico per l’Executive Mba, dove ArtRooms — di cui Autorino è ceo e D’Aniello cfo — è venuto fuori come progetto di fine corso; nei due anni a MIlano hanno incontrato Diego, che ha un laboratorio d’arte ai Navigli, e dell’azienda è sales manager e arthunter director.
Naturalmente la passione e l’interesse per il mercato dell’arte contemporanea è stato il collante che li ha uniti per intraprendere. Di pari passo è maturata l’idea di agganciare alla vendita il noleggio di opere d’arte, secondo un trend che si sta affermando molto all’estero, e far viaggiare tutto il business sul sito è stata infine la cornice.
Partita a novembre scorso, al motto di Inspiring your space, ArtRooms ha intercettato la nuova moda degli art hotel che trasformano i loro spazi interni in gallerie. Inoltre si sta sperimentando la vendita dentro i negozi di design e arredi, dove l’opera d’arte è già venduta, ma il piano della startup napoletana è organizzare meglio la proposta artistica. Infine, per ultima ma non da ultima, l’attività di galleria d’arte vera e propria online: finora sono 193 gli artisti presenti, per complessive 1.259 opere, corrispondenti a un valore di mercato di 1.305.926 euro.
«Non abbiamo magazzino, sarebbe peraltro molto costoso per noi gestirlo: l’opera va dalla porta dell’artista alla porta del compratore»
Spiega Autorino: «Oggi è difficile dare un valore preciso all’arte, sui canali tradizionali è un mercato soggetto a troppi intermediari. Sappiamo tutti come si fa: si mette un’opera sul mercato, si fa un attività di compravendita pilotata, la si ricompra e così l’opera nel giro di poco tempo ha moltiplicato il suo prezzo, non in base al suo valore artistico e al contesto storico, ma solo attraverso escamotage commerciali, e peraltro l’artista di tutti questi soldi non vede praticamente nulla. Noi invece vogliamo mettere gli artisti al centro: li scoviamo attraverso i nostri arthunter oppure diamo loro modo di presentarci la loro produzione, riservandoci la valutazione e l’accettazione. Dopodiché stabiliamo un prezzo e fissiamo una percentuale per l’artista. Poi l’opera potrà essere rivenduta attraverso la nostra bacheca, e l’artista avrà un’ulteriore percentuale del 4%, mentre normalmente è dello 0,4%. Insomma, il principio è fare come se l’acquirente direttamente entrasse nella bottega, saltando mediazioni e speculazioni nei passaggi. Tant’è che non abbiamo magazzino, sarebbe peraltro molto costoso per noi gestirlo: l’opera va dalla porta dell’artista alla porta del compratore, assicurata, e con il rilascio di una certificazione digitale che ne attesta l’autenticità e la proprietà. Insomma, vogliamo far entrare in gioco i soliti ignoti, non i soliti noti del mercato dell’arte».
«All’estero dove questo nuovo modo di approcciare il mercato dell’arte è più sviluppato»
Quanto al noleggio, questa modalità si rivolge soprattutto verso alberghi e ristoranti che vogliano cambiare periodicamente (il noleggio è possibile da 3 a 12 mesi) il modo e lo stile nel presentarsi alla clientela: «Finora», dice D’Aniello, «abbiamo chiuso con una società alberghiera campana che gestisce un gruppo di 100 strutture in tutta la Penisola, in più stiamo lavorando a un nuovo albergo di prossima apertura a Milano in zona Tortona. Le nostre orecchie e i nostri occhi li teniamo ben all’erta soprattutto all’estero dove questo nuovo modo di approcciare il mercato dell’arte è più sviluppato: abbiamo incontrati alcuni investitori internazionali e presto apriremo dei punti a Londra, Barcellona e Berlino, anche per la ricerca di nuovi artisti che tendono a concentrarsi in queste tre grandi metropoli».
«La spesa per abitante verso l’acquisto di opere d’arte in Italia è di 7 euro, a fronte dei 250 in Gran Bretagna o i 180 in Svizzera»
L’Italia è terra dal patrimonio artistico sconfinato, abbiamo una prossimità e una familiarità nei luoghi pubblici con opere d’arte che altrove non è altrettanto elevata, è forse questo è uno dei motivi per cui tendiamo a comprare meno: «La spesa per abitante verso l’acquisto di opere d’arte in Italia è di 7 euro, a fronte dei 250 in Gran Bretagna o i 180 in Svizzera. Ecco perché è un mercato che va aggredito in una forma nuova, e internet fa saltare le frontiere», chiosa D’Aniello.
Il valore medio delle opere vendute da ArtRooms è sui mille euro, ma si scende a 100 per le fotografie (le sculture hanno costi più elevati). Un pregio di quando si entra in una galleria classica è avere un impatto immediato con l’opera, vederla nella sua grandezza, nelle sue qualità. Come si ottiene questo con una galleria virtuale? Semplice: con un’app.
L’app consente di riportare l’opera su un muro, una parete, un qualsiasi luogo dove il compratore immagina di poterla sistemare.
Sviluppata internamente, l’applicazione consente, attraverso l’immagine fotografica, di riportare l’opera su un muro, una parete, un qualsiasi luogo dove il compratore immagina di poterla sistemare. L’app sembra molto apprezzata. E quanto ai gusti dei compratori, in larga parte giovani, vanno molto le opere astratte e quelle che si basano sul riutilizzo di materiali. Un’arte ecologica, verrebbe da dire.
Finora il riscontro per ArtRooms è stato più che positivo: buon successo è stato raccolto alla Smau di Berlino, così come alla Affordable Art Fair di Milano. Motivo d’orgoglio per una startup che si definisce orgogliosamente partenopea (il cuore operativo, in uno spazio di coworking con altre realtà imprenditoriali giovanili del digitale, è nel cuore di Napoli, in via Toledo, mentre la sede legale è a Somma Vesuviana).
A Napoli c’è sicuramente fermento nell’ambito delle startup e i due Giuseppe si occupano molto come consulenti strategici aziendali di far nascere e crescere nuove imprese innovative. «Ma quello delle startup», spiega Autorino, «è un ecosistema che ha bisogno di 4-5 anni per assestarsi e nel frattempo c’è chi, magari celandosi dietro i panni di business angel che ha fico, in realtà sta solo approfittando dell’effervescenza e dell’attenzione mediatica per fare business personale senza prospettive strategiche. In più, si sconta un grosso deficit di formazione nella gestione dell’impresa: in America l’80% degli startupper segue un Mba, da noi praticamente nessuno. E questo è drammatico. Abbiamo sempre presente quel che ci disse Gianluca Spina, presidente della School of Management del Politecnico, purtroppo morto in un incidente in montagna un paio di mesi fa: “Noi non vi garantiamo un posto di lavoro né le entrature giuste, ma vi garantiamo che quando uscirete di qua sarete capaci di decidere”. L’impresa è questo, fare scelte. Ma bisogna attrezzarsi, invece il sistema, specie quando si articola sul piano dei finanziamenti e dei fondi, sembra voler sempre prevedere la figura del facilitatore di turno, secondo vecchie logiche che purtroppo vanificano le nuove opportunità: e questo vale tanto al Sud quanto al Nord».