C’è del potenziale, ma è tutto ancora da liberare. In sostanza è questa la risposta che l’Open Data Barometer fornisce sull’Italia e la sua capacità di mettere a disposizione dati aperti non solo agli addetti ai lavori e alle stesse istituzioni, ma anche alla cittadinanza.
«I dati si chiamano così perché vanno dati, altrimenti si chiamerebbero “tenuti”». Sono passati cinque anni da questa riflessione che si levò dal pubblico nel 2010 in occasione di uno dei primi convegni dedicati al tema, e qualche passo in avanti in questo senso è stato fatto, ma l’Italia rimane tuttavia in tema di dati aperti un Paese in via di sviluppo.
«I dati si chiamano così perché vanno dati, altrimenti si chiamerebbero “tenuti”»
Il report, stilato dalla World Wide Foundation, posiziona l’Italia in 22esima posizione in tema di dati aperti a livello di flussi elettorali, ambiente, contratti, istruzione, performance del settore sanitario, commercio, trasporto pubblico, crimine, registri delle imprese, spesa pubblica, giustizia e statistiche nazionali.
Tra i Paesi del G7 l’Italia è quella messo peggio alle spalle di Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Canada, Germania e Giappone. Meglio tra i Paesi del G20, dove tuttavia è scavalcata da Australia, Corea del Sud e Brasile.
Open Data Barometer Rankings (Fonte: Open Data Barometer Global Report)
Tutto bene, dirà qualcuno, si sta almeno facendo qualcosa. Vero, ma è altrettanto vero che da febbraio, in tema di open data da parte della Pubblica Amministrazione, si è entrati nel territorio dell’illegalità. E alle pubbliche amministrazioni questo sembra interessare molto poco, così come al governo.
Come ricorda Alessandro Longo su agendadigitale.eu, da metà febbraio sono scattati i termini previsti dal decreto legge 90/2014, convertito dalla Legge 114 dell’11 agosto, secondo cui le pubbliche amministrazioni erano obbligati a fornire i dati in formato aperto a partire da 180 giorni dall’entrata in vigore della legge. Con tanto di sanzioni per gli inadempienti.
In tema di Open Data da parte della Pubblica Amministrazione si è entrati nel territorio dell’illegalità, e alle pubbliche amministrazioni questo sembra interessare molto poco
Ma in Italia gli open data sono la Cenerentola dell’Agenda digitale: non meritano l’attenzione del Governo. È solo per questo motivo che le pubbliche amministrazioni possono permettersi una così sfrontata inadempienza della legge. Insomma, ancora oggi troppi dati di pubblico interesse sono ostaggio di enti opachi che fanno parte della Pubblica Amministrazione.
A titolo di esempio, è sufficiente recuperare e constatare come i dati sui rimborsi per le spese di missione di ministri, sottosegretari, presidenti di regione e assessori regionali siano caratterizzati da diversi gradi di trasparenza e formati non sempre riutilizzabili da coloro che sono interessati a farne una rielaborazione. Altro esempio è il famoso “dossier Cottarelli” sulla revisione della spesa pubblica, rimasto nel cassetto per mesi e mesi. Allo stesso modo, e qui a Linkiesta ci abbiamo sbattuto il muso contro, sono praticamente inutilizzabili, salvo un lavoro di pulizia e ricalcolo, i dati riguardanti il censimento delle opere incompiute: non è sufficiente infatti, perché sia realmente “aperto”, che un dato sia scritto nero su bianco su un file in formato Pdf, ma deve anche essere immediatamente utilizzabile all’interno di uno software di calcolo come Microsoft Excel.
Al netto di alcune finezze tecniche, l’accesso all’informazione va garantito, e in Italia l’istituto dell’Accesso Civico pone ancora il cittadino in una posizione di svantaggio nei confronti della Pubblica Amministrazione. Da qui la necessità di un progetto come “Chiedi”, realizzato da Diritto di Sapere, per fare correttamente richiesta dei dati alla stessa Pubblica Amministrazione.
Open Data Barometer Global Report (Gennaio 2015)
Per uscire dalla lista dei “Paesi in via di sviluppo” in tema di dati aperti, diventa indispensabile – per addetti ai lavori (come i giornalisti) e per cittadini che, legittimamente, sentono il desiderio di misurare le performance di chi li governa e prende le decisioni – l’adozione di un Freedom Of Information Act. Cioè una legge chiara e organica sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione.
Nel Documento di Economia e Finanza, approvato lo scorso 13 aprile in Consiglio dei Ministri, si cita per la prima volta espressamente l’adozione del Foia
Nel Documento di Economia e Finanza, approvato lo scorso 13 aprile in Consiglio dei Ministri, si cita per la prima volta espressamente l’adozione del Foia. Purtroppo, al momento, le aspettative non sono altissime tra chi da anni chiede una misura di questo tipo: non vengono infatti specificate né tempistiche né risorse.
«Nella prospettiva del “freedom of information act”, saranno aumentati gli investimenti per la trasparenza attraverso la diffusione degli open data e saranno ulteriormente sviluppate le iniziative già realizzate per la trasparenza negli appalti pubblici (Open EXPO, che pure è partito a poco meno di un anno dal’inaugurazione del prossimo 1 maggio 2015, ndR) e nella spesa delle amministrazioni pubbliche italiane (Soldi Pubblici). Sarà data attuazione al Piano nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali». Questo è quanto si legge nel documento. Ancora troppo poco e, in tema, i governati sono ancora più avanti di chi governa.