«Triton è un fallimento completo, ha fatto solo aumentare i morti»

«Triton è un fallimento completo, ha fatto solo aumentare i morti»

«Il capretto morto non ha paura del coltello del macellaio». Mattia Toaldo, analista dell’European Council on Foreign Relations, esperto di Medio Oriente e Nordafrica, in particolare di Libia, ricorre a un proverbio ivoriano per spiegare i flussi senza fine dei migranti nel Mediterraneo, alla luce della tragedia di domenica 19 aprile. Diciotto mesi dopo la strage al largo di Lampedusa, un altro Golgota di massa. Settecento morti, si teme, a cento chilometri dalle coste libiche e a duecento da quelle siciliane. E il contesto, rispetto all’ottobre del 2013, è peggiorato, perché la Libia è sempre più uno Stato fallito, in cui due fronti si fanno la guerra da ormai un anno e negli ultimi mesi si è aggiunto un terzo incomodo, lo Stato Islamico.

Dicevamo del capretto, Mattia.

Si scappa dalla Libia perché il Paese è da tempo in una condizione di caos totale. Inoltre per i migranti dell’Africa subsahariana l’insicurezza è ancora più grande

Si scappa dalla Libia perché il Paese è da tempo in una condizione di caos totale, c’è una guerra civile, e in più c’è lo Stato Islamico. Inoltre per i migranti che vengono dall’Africa subsahariana l’insicurezza è ancora più grande. Già a partire dal 2011 sono stati presi di mira e discriminati, perché accusati di avere combattuto a fianco di Gheddafi. Quindi preferiscono di gran lunga saltare sui barconi e rischiare la morte in mare. Ma non ci sono solo loro. Il bacino di potenziali migranti è enorme.

A chi ti riferisci?

Ora ci sono anche i profughi che scappano dal Vicino Oriente, come la Siria. Dallo scoppio della guerra contro Assad, dieci milioni di siriani sono sfollati o rifugiati. Pensa a cosa succederebbe se una percentuale minima di queste persone, anche solo l’un per cento, decidesse di tentare la traversata nel Mediterraneo. L’impatto sarebbe insostenibile.

Dopo il naufragio dell’ottobre 2013 venne varata dal governo Letta l’operazione Mare Nostrum, poi sostituita, a novembre 2014, da una missione europea, Triton. Ora l’Italia è intervenuta con una serie di manovre, che la Difesa ha riassunto dietro l’etichetta “Mare Sicuro”. Niente di risolutivo.

«Triton è un fallimento completo, e non solo per una questione di mezzi. Essenziale, infatti, è mettersi d’accordo su che cosa si deve fare, ed è salvare vite umane»

Non bisogna confondere un’operazione di controllo delle frontiere, come Triton, con una missione di salvataggio. Triton è un fallimento completo, e non solo per una questione di mezzi. Essenziale, infatti, è mettersi d’accordo su che cosa si deve fare, ed è salvare vite umane. Adesso l’Italia ha sopperito alle carenze di Triton con una serie di esercitazioni, che si sono poi trasformate in operazioni di salvataggio, come impone la legge del mare. Ma servirebbe di più, molto di più. Anche Mare Nostrum era insufficiente. Servirebbe un Mare Nostrum plus, rafforzato.

Questa tesi non sembra avere successo a Bruxelles, intesa come Europa a 28.

Se fossero confermate le cifre di cui si parla, si supererebbero i 1500 morti, ossia la metà delle vittime di tutto il 2014

Il problema, per l’Italia, è che la maggior parte dei partner europei riteneva che Mare Nostrum incoraggiasse i flussi dei migranti. Così si è passati a Triton. Meno salvataggi, meno sbarchi, pensavano. Il calcolo si è rivelato sbagliato. Il numero dei migranti non è diminuito. In compenso, è aumentata la contabilità dei morti. Prima della tragedia di ieri erano già 900, dall’inizio dell’anno. Se fossero confermate le cifre di cui si parla, si supererebbero i 1500 morti, ossia la metà delle vittime di tutto il 2014. Purtroppo il business non si fermato, a beneficio delle mafie locali ed internazionali

Intendi le milizie libiche?

È risaputo che i traffici sono gestiti dai miliziani libici, in collegamento con gruppi criminali internazionali. Molti migranti hanno raccontato di essere stati fatti salire sui barconi dai soldati. In realtà, si trattava di miliziani travestiti con uniformi militari. Più il caos in Libia avanza, maggiori sono i profitti di queste brigate criminali.

Federica Mogherini ha consegnato ai ministri degli Esteri un documento sulle possibilità di intervento della Ue in Libia, con cinque opzioni. Se ne discute oggi a Bruxelles.

«La premessa dell’intervento della Ue, quindi, al momento non esiste»

Sarà il solito teatro grottesco, come tutti gli altri consigli degli affari esteri dedicati alla Libia negli ultimi tempi. Perché si discute di una cosa che al momento non si può fare. La Ue parla di un’operazione sostanzialmente di peacekeeping, sotto varie forme, da organizzare dopo il raggiungimento di un’intesa tra le parti in guerra in Libia. Ecco, questo accordo di pace al momento non c’è. Le delegazioni si sono incontrate nuovamente in Marocco, ma continua ad esserci grande distanza. L’inviato delle Nazioni Unite, Leon, formulerà una nuova proposta, però i due fronti sono molto lontani dal concludere un’intesa, che, se ci sarà, avverrà tra qualche tempo. La premessa dell’intervento della Ue, quindi, al momento non esiste.

Nel frattempo, ai due fronti in guerra si è aggiunto un altro elemento di destabilizzazione, lo Stato Islamico. Dopo la decapitazione dei copti a Sirte si parlava già di un califfato sull’altra sponda del Mediterraneo.

Credo che sia doveroso fare una distinzione. Non bisogna confondere le potenzialità con il dominio effettivo sul campo. In Libia lo Stato Islamico beneficia di molti fattori: il caos del Paese, la presenza di un grande bacino, interno, di jihadisti, e di moltissimi fondamentalisti ai confini, tunisini e sudanesi. Tuttavia, anche nei centri in cui si è installato, come Derna, la sua presenza non è molto diversa da quella dei clan camorristici in Italia, nel senso che l’IS non controlla tutto il territorio e anzi deve convivere con altri gruppi criminali. Voglio essere chiaro. Se dovesse espandersi e consolidarsi in quell’area, lo Stato Islamico sarebbe più pericoloso rispetto a quanto non lo sia in Siria e in Iraq. Ma adesso in Libia non c’è il califfato.

Cosa si può fare, quindi, per impedirne l’espansione?

Certamente non si può stabilizzare la Libia appoggiando il generale Khalifa Haftar (il leader militare di uno dei due fronti, quello del governo di Tobruk, ndr) e quindi l’Egitto che lo sostiene.

Rispetto ad altri analisti, tu vedi un’Italia più schiacciata sulle posizioni dell’Egitto

La posizione ufficiale del governo italiano è che non ci può essere un accordo di pace tra i due governi libici senza l’Egitto. Il punto è che l’Egitto non vuole un accordo di pace, per cui l’Italia a un certo punto dovrà scegliere: o l’Egitto o l’accordo.

In assenza, e in attesa, di un governo “di unità nazionale”, come disinnescare la minaccia  dello Stato Islamico, quindi?

«L’Italia a un certo punto dovrà scegliere: o l’Egitto o l’accordo»

Un progresso notevole consisterebbe nel convincere le due fazioni a combattere l’IS, piuttosto che combattersi tra di loro, come stanno facendo adesso. Insomma, dovrebbero comportarsi come i curdi in Iraq. A quel punto l’Occidente potrebbe aiutarli, come è stato fatto con i curdi. Al momento, invece, i libici stanno agendo  alla maniera di al Maliki in Iraq (il premier iracheno, sciita, che discriminò e combatté i sunniti, ndr) e la comunità internazionale è rimasta incastrata in questa trappola. 

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