Pippo è uscito dal gruppo. Civati come Jack Frusciante nel libro di Enrico Brizzi. Anche se il Partito Democratico non sono i Red Hot Chili Peppers. Eppure c’è anche chi azzarda il paragone con il celebre chitarrista in queste ore in cui a Montecitorio ci si domanda cosa accadrà nel partito di governo dopo l’uscita del parlamentare lombardo. L’uscita di Civati è stata rimandata, rinviata, annunciata e criticata per mesi. Almeno da un anno e mezzo, dalla fine delle primarie del 2013. C’è chi dice che la sua scelta sia stata una logica conseguenza del fatto che «il suo elettorato non è più nel Pd». Quei voti presi alle primarie del 2013, quando arrivò terzo su scala nazionale e secondo nelle regioni del nord dietro a Renzi, forse per davvero non esistono più in un partito sempre più orientato a diventare partito della nazione, una realtà politica sempre più incentrata su Renzi.
Per chi lo conosce bene la scelta di queste ore «è un gesto forte» su cui però si potrà ragionare solo dopo le elezioni regionali. Quindi da giugno, quando si capirà dove il Pd è riuscito a sfondare e dove no. Del resto, la candidatura di Luca Pastorino in Liguria, contrapposta a quella di Raffaella Paita, potrà essere un cartina di tornasole importante proprio per i civitiani, che al momento non sembrano voler seguire «il leader» nella sua uscita dal partito. Eppure qualcosa si muove. Nelle regioni, sul territorio, dove Civati può contare su un piccolo tesoretto di consensi. Ma qualcosa si muove soprattutto in quella sinistra ormai scomparsa dai radar, dove il “Ciao” dell’ex consigliere regionale lombardo viene già visto come un’opportunità per creare un nuovo soggetto politico, magari un’alternativa al renzismo.
Civati lo ha scritto nero su bianco sul suo blog: «Mentre in questi mesi si discuteva nel Pd, ho frequentato la sinistra e la società. Per prima cosa mi dedicherò al partito degli astensionisti, il partito più grande, che vincerebbe le elezioni direttamente al primo turno per dare la risposta a Saramago e al Saggio sulla lucidità e a quelli che in quel romanzo si chiamano «biancosi». Perché questa non è solo una fine, è anche un inizio». Gli ammiccamenti con una certa sinistra vanno avanti da mesi. Non è un caso che proprio nel giorno dell’addio Civati abbia pranzato con Maurizio Landini, leader della Fiom. E non è un caso che negli ultimi mesi proprio il deputato dem sia stato avvistato spesso in parlamento a braccetto con Nicola Fratoianni, coordinatore di Sinistra e Libertà. Lo stesso Fratoianni che proprio mercoledì 6 maggio ha scritto in una nota: «Sel è pronta da ora a mettere in discussione il nostro partito, i nostri gruppi parlamentari per costruire tutti insieme una forza più grande, una sinistra moderna, nuova, popolare. Credo che ce ne sia bisogno – conclude Fratoianni – e che sia urgente farlo».
In tanti in quell’area ormai morente, fatta di ex partiti con ancora sigle del Pci, sembrano essersi rianimati alla notizia dell’uscita di Civati. Da Nichi Vendola a Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, che scrive su twitter che «è il momento di una nuova costituente della sinistra» fino all’ex pm Antonio Ingroia anche lui convinto che si possa costruire una nuova alternativa al Pd. Ma al momento Civati tace, prende tempo. La stessa Cgil di Susanna Camusso, rimasta orfana dopo quasi un secolo di un proprio riferimento politico, potrebbe ritrovare in Pippo un leader intorno a cui costruire una nuova sinistra. Ma all’entusiasmo di un mondo ormai scomparso e rottamato da Renzi, fa da contraltare l’atteggiamento ancora diffidente della minoranza Pd, da settimane impegnata con Letta-Bersani e Prodi a costruire un nuovo Ulivo che Civati ha sempre sostenuto. Ma tra i bersaniani di ferro come tra i lettiani non ci sono prese di posizioni ufficiali. «Civati è un solista, ha sempre fatto così, per noi è più importante restare dentro il partito per costruire un’alternativa. Detto cinicamente, è meglio essere cacciati che andarsene» spiega uno di loro. Eppure non mancano gli attestati di stima. Come quello di Chiara Geloni, portavoce di Pier Luigi Bersani che gli stringe simbolicamente la mano via twitter. O dello stesso Matteo Orfini, ex giovane turco, ora renziano di ferro e presidente del Pd che chiede a Civati di ripensarci. Ma la strada è ancora lunga. Civati e i suoi lo sanno bene.