Sono passati quasi due anni, un tempo appropriato per collezionisti, artisti, galleristi e fanatici d’arte contemporanea, per ricaricarsi e prepararsi a una nuova edizione della Biennale d’arte di Venezia, che per decisione del ministero italiano, sarà inaugurata con un mese di anticipo, per ravvicinarla a quella dell’ Expo.
Da Sabato ricomincerà la maratona tra i Giardini e l’Arsenale, la corsa da un’installazione in un palazzo storico a una mostra in una delle tante fondazioni, girovagando tra calli e campielli, navigando sul Canal Grande e tra le isole della laguna, alla ricerca delle novità. Difficile visitare tutto in meno di una settimana e ancor più arduo sarà scegliere tra i quasi quattrocento eventi in programma, trovare un tavolo all’Harry’s Bar per guardarsi intorno tra VIP e celebrities, e arrivare intatti all’appuntamento serale sulla terrazza del Bauer Hotel per incontrarsi con chi riesce ancora a rimanere in piedi.
All the world’s Futures è il titolo di questa edizione curata dal nigeriano Okwui Enwezor, il primo non occidentale a ricoprire l’incarico
L’atmosfera è elettrizzante: l’arte, la moda e la cultura si fondono insieme su una grande passerella mondana, ma quest’anno, lasciando da parte le superficialità, la Biennale obbligherà a una riflessione più profonda, densa di significati. All the world’s Futures è il titolo di questa edizione curata dal nigeriano Okwui Enwezor, il primo non occidentale a ricoprire l’incarico. Famoso per il suo approccio multidisciplinare, aperto ai paesi periferici al sistema mondiale dell’arte, «Enwezor ha convocato artisti da ogni parte del mondo e di diverse discipline», spiega Paolo Baratta, presidente della Biennale, che in questa cinquantaseiesima edizione annovera 136 artisti, di cui 89 che presenzieranno per la prima volta, provenienti da 53 paesi diversi.
questa cinquantaseiesima edizione annovera 136 artisti, di cui 89 che presenzieranno per la prima volta, provenienti da 53 paesi diversi
«All the World’s Futures è un insieme di filtri sovrapposti, di parametri che circoscrivono le molteplici idee che saranno trattate, prendendo spunto dall’attuale stato delle cose, per domandarsi in che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, azioni, testi e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di quest’epoca», spiega Enwezor. «Al centro della Mostra c’è la nozione di esposizione come palcoscenico, dove esplorare progetti storici e antistorici; sarà un evento visivo, corporeo, uditivo e narrativo, un evento dal vivo in continuo e incessante svolgimento, che proporrà delle opere che esistono già, ma chiederà anche dei contributi che saranno realizzati appositamente ed esclusivamente per questa Mostra», garantisce il curatore.
I Giardini, dove si trovano il Padiglione Centrale e 29 padiglioni stranieri, ognuno costruito con stile diverso a seconda dell’epoca e della nazionalità degli architetti, proprio per la loro diversità serviranno da metafora per mostrare un mondo disordinato, fatto di conflitti nazionali e di deformazioni territoriali e geopolitiche, dove gli artisti sono stati invitati ad elaborare delle proposte che avranno come punto di partenza il concetto di giardino, realizzando nuove sculture, film, performance e installazioni.
Per tutta la durata della Biennale, ci saranno letture dal vivo di Das Kapital, un imponente progetto bibliografico frutto di una meticolosa ricerca. «Oltre al disordine proprio dell’attuale stato delle cose, esiste una preoccupazione diffusa al centro della nostra epoca e modernità, che è quella del Capitale, il grande dramma della nostra epoca, che oggi incombe più di qualsiasi altro elemento su ogni sfera dell’esistenza; in All the World’s Futures si percepiranno gli effetti, le ripercussioni e gli spettri del Capitale in una delle esplorazioni più ambiziose di questo concetto e di questo termine», afferma Enwezor.
Gli esperti consigliano di non perdere il padiglione greco, il padiglione armeno a San Lazzaro, che quest’anno coincide con il centenario del genocidio, e il padiglione americano
Gli esperti consigliano di non perdere il Padiglione greco curato da Gabi Scardi con Maria Papadimitriou, il padiglione armeno a San Lazzaro, curato da Adelina Cüberyan von Fürstenberg, che quest’anno coincide con il centenario del genocidio armeno, e il padiglione americano, affidato a Joan Jonas, ottantenne pioniera della performance, così come alcune manifestazioni fuori della Biennale, come la mostra di Cy Twombly Paradise a Ca’ Pesaro.
Oltre ai Giardini e all’Arsenale, e le esposizioni parallele di altissimo livello, come quelle organizzate dalla Fondazione Peggy Guggenheim, San Giorgio, Cini, Prada, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, la Biennale costituisce anche l’opportunità per visitare i palazzi storici che le famiglie veneziane mettono a disposizione degli artisti e visitatori durante la Mostra, dove si scoprono sorprese contemporanee installate in saloni millenari.
«Venezia è un luogo magico dove il tempo sembra essersi fermato; ogni volta la immagino in tutto il suo splendore nel passato, e mi conforta vedere come lo scenario dell’arte contemporanea riesca a dare valore alla storia e al patrimonio artistico di questa città, che continua a reinventarsi come centro di attrazione culturale», racconta a Linkiesta una collezionista sudamericana, che afferma estasiata: «posso passare la mattinata ad ammirare artisti come Jeff Koons e Andreas Gursky, e prima di tornare in albergo dilettarmi con maestri come Tiepolo, Canalletto, Tintoretto».
Ogni due anni la Biennale aumenta i padiglioni: Grenada, Mauritius, Mongolia, Mozambico, Seychelles sono i paesi che parteciperanno per la prima volta
Sarà per il suo fascino indiscusso che ogni due anni, la Biennale aumenta i padiglioni: Grenada, Mauritius, Mongolia, Mozambico, Seychelles sono i paesi che parteciperanno per la prima volta, mentre Ecuador, Filippine, Guatemala torneranno dopo una lunga assenza, così come la Santa Sede, che esibirà una mostra nelle Sale d’Armi al Padiglione centrale.
«La partecipazione di nuovi paesi apre nuove frontiere dell’arte», spiega Pepi Marchetti Franchi, della galleria Gagosian di Roma. «Alla pluralità già sicuramente espressa nella mostra di Enwezor, si aggiungono la diversità delle presenze nazionali e la possibilità di scoprire nuovi scenari politici attraverso un evento concentrato sulla diversità di filtri e di prospettive: l’arte come elemento politico e passionale di comunicazione».
Degli artisti mai visti prima alla Biennale, una ventina sono africani, «su questa linea è coerente l’assegnazione appena annunciata del Leone d’Oro alla carriera al settantenne artista ghanese El Anatsui», dice la consulente di Gagosian, che vanta cinque artisti della loro galleria, selezionati per Venezia alla Biennale di quest’anno: Georg Baselitz, Ellen Gallagher, Andreas Gursky, Carsten Höller e Taryn Simon.
«C’è molta curiosità nel conoscere i nuovi padiglioni, ma nella mentalità europea, così come in quella americana, è molto difficile all’inizio riconoscere la portata artistica di padiglioni sconosciuti»
«C’è molta curiosità nel conoscere i nuovi padiglioni, ma nella mentalità europea, così come in quella americana, è molto difficile all’inizio riconoscere la portata artistica di padiglioni sconosciuti», spiega Vincenzo de Bellis, direttore della fiera d’arte moderna e contemporanea Miart, da poco terminata con grandi soddisfazioni. «Oggi i veri attori della Biennale sono i collezionisti, che confermano, oppure no, la portata di un artista; a Venezia non si va per scoprire nuovi talenti, ma si va per osservare come cresce l’opera di un artista”, spiega De Bellis e aggiunge: “nelle fiere si scoprono gli emergenti, alla Biennale si lavora per due anni per monitorare come cresce un artista».
Sicuramente la biennale è una grande vetrina: «galleristi e collezionisti girano, frugano, cercano di capire, si fanno opinioni, come tutti quelli che passano da Venezia in questo periodo; Venezia, non solo è l’evento cui non si può mancare, dove chi passa può incontrare attori e VIP internazionali, ma è anche il luogo in cui assaporare i nuovi linguaggi, quale sia l’estetica di questi anni e ancor più quali siano i temi e come vengono affrontati dagli artisti che i curatori hanno selezionato a rappresentare l’arte mondiale di questo biennio», afferma il gallerista milanese Riccardo Crespi. «In questi anni abbiamo assistito a una nuova forma di ‘mecenatismo’ da parte di molte imprese che vanno da studi professionali a grandi multinazionali, tra cui spiccano le grandi maison di moda che acquistano e producono opere, fanno mostre, ognuno con la sua logica, diventando veri protagonisti del sistema», afferma il gallerista, che tra i migliori momenti a Venezia ricorda il primo padiglione di Ragnar Kjartansson: «è stato una vera emozione vederlo in Biennale dopo averlo esposto in galleria anni prima, il rapporto tra gallerista e artista ha sempre qualcosa di magico che in qualche modo resta al di là di tutto».