Portineria MilanoIl magistrato che gira con la pistola per ripulire Roma. E fa bene

Il magistrato che gira con la pistola per ripulire Roma. E fa bene

«Sceriffo», «Demolition man», «cacciatore di mafiosi» «un giudice stritolato dalla trattativa» (copyright Marco Travaglio), ma pure «assessore alle coccole e alle carezze». Non è facile decifrare un personaggio come Alfonso Sabella, nato a Bivona in provincia di Agrigento più di cinquant’anni fa, attuale assessore alla Legalità del comune di Roma, ma con un passato pesante alle spalle prima come magistrato a Palermo e poi con alcune ombre sul G8 di Genova del 2001, quando fu responsabile della caserma degli orrori di Bolzaneto. Sabella si sta occupando negli ultimi mesi delle infiltrazioni mafiose a Ostia. Non è un lavoro facile, in una zona che per anni ha goduto di impunità e su cui in pochi, in particolare i politici, hanno voluto mettere il naso in questi anni. Ma lui va avanti, senza guardare in faccia nessuno, annoverando giorno dopo giorno sempre più nemici. 

Ironico, accanito fumatore di sigarette, a Roma lo hanno già definito l’uomo che sta cercando di riscattare l’immagine appannata del sindaco Ignazio Marino tra polemiche di una città in perenne difficoltà, stritolata dagli interessi di grandi immobiliaristi come Caltagirone, il peso della politica italiana e ancora scottata dall’inchiesta su Mafia Capitale. C’è chi ne parla come un politico in ascesa, un Raffaele Cantone bis, altra faccia pulita del nuovo «rinascimento» del rottamatore Matteo Renzi. Non a caso tra i suoi sostenitori c’è Matteo Orfini, presidente dei democratici, sempre pronto a difenderlo a spada tratta. A febbraio fu beccato a parcheggiare il suo Suv Bmv su un marciapiede vicino al Campidoglio. Sabella si scusò con i cittadini, ma la sua figura è spesso al centro di polemiche, in quel limbo dove siedono spesso i protagonisti della legalità in Italia, stretti tra l’immagine di difensori dell’ordine pubblico, il rispetto delle regole e il duro lavoro di chi deve combattere la malavita organizzata.

Alcuni dipendenti pubblici lo hanno visto circolare in comune con una pistola, nella fondina sotto l’ascella. La porta sempre con sé da anni, dai tempi in cui pedinava insieme con la forze dell’ordine i mafiosi in Sicilia. E infatti a chi gli domandava spiegazioni ha risposto seccato. «Sono un magistrato e ho il porto d’armi»

Anche per questo motivo Sabella negli ultimi giorni ha scatenato una nuova polemica tra i municipi di Roma. Alcuni dipendenti pubblici lo hanno visto circolare in comune con una pistola, nella fondina sotto l’ascella. La porta sempre con sé da anni, dai tempi in cui pedinava insieme con la forze dell’ordine i mafiosi in Sicilia. E infatti a chi gli domandava spiegazioni ha risposto seccato. «Sono un magistrato e ho il porto d’armi». Ma c’è chi lo critica, anche perché proprio Marino nei giorni scorsi aveva firmato una proposta di legge per l’autodifesa non armata e non violenta. Ma Sabella, a cui alla fine degli anni ’90 tolsero la scorta, è un demolition man dai toni ironici, capace di dire che «sul lungomare di Ostia devono tornare a baciarsi gli innamorati» per testimoniare la sua voglia di pulizia della zona, dopo che di fronte alle spiagge avevato inviato le ruspe per fermare l’abusivismo. O lo si prende così com’è oppure non se ne fa niente. 

Lo sa bene Giancarlo Caselli che lo volle con sé a Palermo nel 1993, dopo le stragi e la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 15 gennaio, giornata storica per procuratori e forze dell’ordine in Sicilia. Quel giorno oltre al cambio in procura fu arrestato Totò Riina. In quegli anni di lotta alla mafia Sabella si distinse per arresti eccellenti, come quelli di Leoluca Bagarella, dei fratelli Brusca o di Nino Mangano. Fu lui ad annotare per primo sul suo taccuino la dichiarazione di Giovanni Brusca dove l’autore della strage di Capaci confessò che via D’Amelio era stata pilotata dai carabinieri. È lì che s’inizia a parlare di trattativa Stato-Mafia, di papelli e di inchieste che negli ultimi anni hanno coinvolto pure l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Dopo Palermo, dove si distinse soprattutto per aver smantellato la mano militare dei Corleonesi, sono iniziati i problemi

Sabella è uno che si muove tra i gangli più oscuri dello Stato. Ha scritto un libro «Cacciatore di Mafiosi», dove racconta la sua esperienza, nei luoghi più tragici della mafia siciliana, quella delle torture e delle vendette, dei bambini sciolti nell’acido. Dopo Palermo, dove si distinse soprattutto per aver smantellato la mano militare dei Corleonesi, sono iniziati i problemi. Prima entra al ministero di Grazia e Giustizia e diventa magistrato di collegamento con la Commissione Antimafia di Montecitorio. Al governo c’è Massimo D’Alema, mentre al ministero siede Oliviero Diliberto. La nomina dello sceriffo crea non poche polemiche anche all’epoca, perché va a toccare assetti politici prestabiliti dell’antimafia dove all’epoca c’era Ottaviano Del Turco. Tanto che dopo la fine del governo di centrosinistra segue Caselli al Dap, la direzione delle carceri. E’ questo il periodo più difficile, tra le polemiche sul Protocollo Farfalla e il G8 di Genova, in un mondo come quello delle carceri dove i problemi sono all’ordine del giorno. E’ lui il responsabile della caserma di Bolzaneto in quell’estate terribile del 2001. Si scatena una guerra senza precedenti con il Csm da cui Sabella ne uscirà con le ossa rotte. Gran parte della polemica ruota sulla sua presenza o meno quella notte in caserma. Lui sostiene di no, ma poi iniziano le stranezze, per di più scompare la parte che si riferisce a lui sui tabulati telefonici per verificare dove fosse quel giorno. Un mese fa, nel pieno delle polemiche sul G8 dopo la sentenza della Corte di Strasburgo ha rilasciato un’intervista a Repubblica che ha creato non poco clamore. 

Come sulla trattativa Stato-Mafia anche qui Sabella parla di una regia politica dietro il G8. «È possibile che qualcuno a Genova volesse il morto, ma doveva essere un poliziotto, non un manifestante, per criminalizzare la piazza e metterla a tacere una volta per sempre». La posizione di Sabella fu archiviata nel processo su Bolzaneto, ma lui ha sempre voluto dimostrare la propria innocenza. “Chiesi ai magistrati di Genova di controllare i miei spostamenti, perché ogni sospetto fosse dissipato. Ma quando dopo 9 mesi furono finalmente acquisiti, il traffico relativo alla ‘cella’ territoriale che io occupavo durante le violenze era sparito (cancellato su quattro cellulari!) e dunque era impossibile affermare dove mi trovassi. Penso siano stati i servizi”. Misteri, su un magistrato spesso scomodo, che per quello che ha passato fa bene a girare armato.

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