Come sta la birra italiana? Benino: gli ultimi dati sul settore dicono che nei primi dieci mesi del 2014 le vendite in volume sono scese dello 0,6 per cento. Né le prospettive sembrano migliori, a causa, accusano i produttori, delle accise che continuano a crescere (e le clausole di salvaguardia delle varie finanziarie incombono a ogni giro di calendario). Per fare il check-up, abbiamo intervistato Alberto Frausin, uno dei “signori della birra” tanto da essere anche presidente dell’associazione di categoria Assobirra da giugno 2011: i galloni se li è guadagnati sul campo come a.d. di Carlsberg Italia, filiale italiana di totale proprietà di Carlsberg Group, dal 2002. Si tratta del quarto produttore a livello mondiale (con 500 marchi su 150 mercati e 40mila dipendenti), attentissimo sul fronte dell’innovazione, della sostenibilità e del sociale visto che – come da abitudine nordica – ha ben tre fondazioni impegnate su progetti di ogni tipo. Frausin arrivato nel 2007 ha ribaltato l’azienda, rilanciandola sul mercato e facendone oggi il terzo produttore in Italia, con oltre un milione di ettolitri e ben 23 marchi. I più noti sono Poretti (fondata nel 1876 a Induno Olona, in provincia di Varese, da Angelo Poretti, vero pioniere della birra in Italia), Carlsberg, Tuborg e Kronenbourg 1664. Partiamo dall’attualità dell’Expo.
Siete presenti come birra ufficiale del Padiglione Italia con uno spazio di 200 metri quadrati. Il motivo?
Quando sono arrivato in azienda, la prima cosa logica da fare era studiare la storia per capirne le tante difficoltà che avevo ereditato e così ho scoperto che Angelo Poretti aveva portato la sua birra all’Expo 1881: era la sola ed ebbe un successo incredibile. Ecco perché due minuti dopo l’assegnazione della rassegna all’Italia, ho deciso che saremmo stati a Milano, al fianco del Padiglione Italia: potevano mancare?
No in effetti. Ma ci dice perché i visitatori dovrebbero “farsi una birra” da voi?
Perche sarà buonissima, in particolare la special edition che lanceremo proprio per la rassegna. Per noi l’Expo, al di là del normale aspetto promozionale, rappresenta la situazione ideale per parlare di luppoli: è il tema del momento, noi abbiamo iniziato a occuparcene cinque anni fa, quando capimmo che potendo disporre di 500 possibilità in natura, era tempo di cercare caratterizzazioni diverse. E poi, per i tecnici, si potrà vedere la nostra grande innovazione, il sistema di spillatura Draught Master.
Spieghiamolo per i non addetti ai lavori.
Lo abbiamo messo a punto noi ed è ovviamente motivo di orgoglio, la conferma della rinascita di un’azienda in crisi. È una tecnologia che si basa sui fusti in Pet da 20 litri al posto dei classici fusti in acciaio che ha un duplice vantaggio: non è richiesta anidride carbonica, quindi la birra è come se fosse appena uscita dallo stabilimento e i fusti si riciclano con la normale raccolta differenziata. Più gusto e più sostenibilità, insomma.
Nel mondo della birra, sembra che gli italiani godano considerazione maggiore della potenza del mercato nazionale. È vero?
«Il doppio aumento del decreto Letta del 2013, volto a coprire le spese per Pompei e la scuola, chi l’ha subito? Bene, quel 30% in più ce lo siamo divisi noi e i consumatori»
Non siamo un mercato formidabile: 28 litri pro capite l’anno, potremmo arrivate a 30 ma non di più. Del resto si bevono pochissimi superalcolici e il vino è arrivato sotto quota 40 litri: chi l’avrebbe mai detto? In compenso, gli italiani hanno le idee, vengono considerati innovativi e lo sono forse perché sono abituati a lottare. Basti pensare che metà del costo di ogni bottiglia finisce allo Stato tra accise, dove siamo al terzo posto in Europa, e Iva al 22 per cento. Il doppio aumento del decreto Letta del 2013, volto a coprire le spese per Pompei e la scuola, chi l’ha subito? Bene, quel 30% in più ce lo siamo divisi noi e i consumatori. Nonostante questo, i consumi hanno tenuto e siamo cresciuti.
Il fenomeno delle artigianali come lo vede nella sua duplice veste?
«Le birre artigianali ci hanno stimolato a fare meglio. Teo Musso è stato un uomo di grandi visioni che ha tracciato una rotta nuova»
È servito a creare interesse all’intero comparto, in un Paese dove c’è abitudine alla qualità e quindi non posso che esserne contento. Dal punto di vista commerciale non portano via quote alle maggiori aziende, ricordo che il più grande “artigianale” non va oltre i 50mila ettolitri quando Carlsberg Italia ne fa un milione. Ma ci hanno stimolato a fare meglio, senza dubbio. In questo senso, va dato atto a Teo Musso di essere stato un uomo di grandi visioni che ha tracciato una rotta nuova.
Tornando a Poretti, state lavorando molto sul fronte della ristorazione.
Sì, perché al di là della Selezione Angelo – Pale Ale e Brown Ale – che è stata pensata per una distribuzione selezionata e per i locali specializzati, abbiamo creato una stretta collaborazione tra i nostri mastri birrai e Alma per creare un ricettario basato su soli prodotti italiani (Dop, Igp e Presidi Slow Food) dove i piatti si abbinano perfettamente a una delle birre Poretti con più luppoli. In più abbiamo appena aperto un locale a Milano, chiamato 7 Luppoli-Birra e Cucina, che vuole diventare un punto di riferimento per chi apprezza i nostri prodotti e vuole mangiare bene.
Lei passa per un maniaco della sostenibilità.
«È un mondo ricco di persone interessanti, anche un po’ matte, con passione da vendere»
Se maniaco vuol dire che ritengo la sostenibilità non solo un obiettivo del presente ma anche l’arma che farà la differenza nel futuro prossimo, allora lo sono. Noi crediamo – seguendo la logica del gruppo – in una produzione dove ogni elemento, dai metodi di coltivazione del luppolo sino al packaging siano “responsabili”. Nel 2013 ci è stata assegnata la certificazione Epd, unica azienda birreria, che a livello internazionale è la più rigorosa dichiarazione ambientale di prodotto. Le nostre birre hanno già etichetta con l’indicazione dell’impatto ambientale, le altre seguiranno sicuramente perché la clientela come è avvenuto per altri prodotti, sarà sempre più attenta al tema.
Frausin, ma è divertente occuparsi di birra?
Molto, perché – parlo della Poretti – da un lato fai industria e dall’altro fai artigianato. A chi capisce di birra, dico sempre che siamo un po’ la Sam Adams italiana…E poi, è un mondo ricco di persone interessanti, anche un po’ matte, con passione da vendere.