Il 21 maggio esce in libreria “La banca del Papa. Le finanze vaticane fra scandali e riforma” (Marsilio) del nostro collaboratore Francesco Peloso. Il libro ricostruisce la vicende più recenti legate alla finanza vaticana: la crisi di un sistema, gli scandali e la riforma portata avanti da papa Francesco e dai suoi collaboratori.
Un passaggio d’epoca che tocca da vicino anche l’Italia: l’intreccio fra potentati politico-economici di casa nostra e sacri palazzi è stato infatti una costante del nostro Paese nei decenni del dopoguerra.
Ma ora l’avvento di un Papa argentino, la globalizzazione economica i nuovi rischi connessi al riciclaggio del denaro sporco e del finanziamento al terrorismo, hanno prodotto una svolta in favore della trasparenza anche Oltretevere. Di seguito, su concessione dell’editore, anticipiamo un breve brano del volume dedicato alle origini dello Ior.
Cosa c’entrano con il messaggio del Vangelo un istituto finanziario in grado di operare sui mercati internazionali – è il caso dello Ior – e uno Stato dotato di una diplomazia ramificata in tutto il mondo, di una burocrazia, di un’amministrazione, di propri servizi di sicurezza e segreti? La domanda, alla fine, trova una sua legittimità proprio in ragione dello sforzo riformatore portato avanti dal papa che, attraverso una predicazione incessante sulla necessita di smantellare le strutture di potere all’interno della Chiesa, ha messo in luce contraddizioni profonde.
La modernità ha portato con sé una maggiore consapevolezza circa il ruolo sociale di chi si erge a guida spirituale e morale di un popolo
E se queste ultime non sono una novità ma, al limite, hanno rappresentato una risorsa per l’istituzione bimillenaria capace di giocare, proprio attraverso una mai risolta ambiguità, sempre due o tre partite contemporaneamente – quelle che derivano dal potere e dalla missionarietà, per intendersi – nella stagione storica in corso, tale coesistenza di identità contrastanti è messa in dubbio sia dai fedeli sia dall’opinione pubblica.
La modernità ha portato con sé una maggiore consapevolezza circa il ruolo sociale di chi si erge a guida spirituale e morale di un popolo, a incarnare, insomma, valori che, anche quando difesi in nome della tradizione e non dell’aggiornamento della dottrina, non riescono a conservare un alto livello di credibilità se ruberie, scandali, traffici illeciti, ostentazione della ricchezza finiscono col disegnare modalità di vita personale e di gestione del governo fin troppo mondanizzate o, comunque, simili a quelle di tanti manager e politici divenuti brevemente noti per qualche scandalo, abuso o arricchimento illecito.
Da qui la fatica di riformare la curia e lo Stato vaticano che, per sua natura, è ordinatore di leggi, apparati, rapporti istituzionali, politici, diplomatici, economici e via dicendo. La ricerca aperta da Francesco e quella di un nuovo equilibrio fra centro – il Vaticano – e periferia – le chiese locali – in cui la seconda aumenti decisamente il proprio peso specifico rispetto al primo.
Il capitale iniziale
L’Istituto per le opere di religione, nato nel 1942 per dare gambe allo Stato vaticano sorto (o sorto nuovamente) grazie ai Patti lateranensi del 1929 stipulati fra il cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini, ha avuto una vita lunga e travagliata.
I laici e gli ecclesiastici alle cui cure è stato affidato in successione dai diversi pontefici hanno fatto ricorso a mezzi leciti e meno leciti per garantire l’attività della Chiesa universale. Nel frattempo i Patti lateranensi venivano aggiornati nel 1984 con il Concordato, firmato stavolta da Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli; e forse non casualmente, in occasione di quel secondo tornante dei rapporti fra Italia e Santa Sede, le finanze ecclesiastiche si avvalsero di un nuovo formidabile strumento di introiti attraverso l’istituzione dell’otto per mille.
In questo caso a beneficiarne era più direttamente la Chiesa italiana e in particolare quella cresciuta durante il lungo regno del cardinale Camillo Ruini – posto sotto l’ala protettrice del wojtylismo – che ha potuto contare, durante gli anni del suo governo, su un tesoretto lievitato progressivamente nel tempo fino a toccare e superare il miliardo annuo, circa.
Il rapporto particolarmente stretto della Chiesa italiana con la sede apostolica si rafforzò dunque ulteriormente negli ultimi decenni anche grazie all’aspetto economico; da qui pure l’influenza eccezionale che ebbe la Cei sulla vita politica e sociale del paese e un certo sovradimensionamento del suo peso effettivo nel contesto ecclesiale mondiale.
Il gruzzolo iniziale dello Ior ricevuto in dotazione dallo Stato italiano, un miliardo e settecentocinquanta milioni di lire dell’epoca, fu messo insieme a partire dalle compensazioni che il governo fascista diede alla Chiesa per sanare la ferita inferta al papato dai piemontesi con la breccia di Porta Pia; oltre al denaro, per altro, furono notevoli le cessioni immobiliari, in particolare nella capitale ma non solo.
L’invulnerabilità del segreto “bancario” vaticano ha cominciato a vacillare in questi ultimi anni
Così, se lo Stato vaticano, in un certo modo rinato nel 1929 – e riconosciuto dalla Repubblica nella Costituzione del 1947 – contribuì enormemente a cambiare la vita della Chiesa, determinando l’eccezione della Santa Sede quale figura non facilmente classificabile di “nazione” con relazioni diplomatiche vastissime e rappresentanze in tutti gli organismi internazionali, lo stesso può dirsi per lo Ior e la sua capacità di intraprendere azioni finanziarie.
L’invulnerabilità del segreto “bancario” vaticano, sfociato non di rado nell’opacità e nell’indagine giudiziaria, ha cominciato a vacillare in questi ultimi anni, vale a dire con l’avvento della globalizzazione e l’allarme per il riciclaggio di denaro sporco legato al terrorismo e alle mafie a livello mondiale.