Chissà se Okwui Enwezor, curatore nigeriano della 56esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, riuscirà a superare il record di 475 mila visitatori che sono intervenuti alla Biennale 2013, l’edizione 55esima curata da Massimiliano Gioni e il suo Palazzo Enciclopedico. Attualmente è il numero più alto registrato nella lunga storia della Biennale d’Arte, che vede la sua prima edizione nel 1894. Eppure ogni due anni, a Venezia, centinaio di persone in più o in meno, nei giorni d’inaugurazione di una o dell’altra Biennale, quando i conti sono ancora tutti da farsi, sembra ripetersi lo stesso copione: signorine vestite di tutto punto (ma come se il look fosse casuale), giornalisti 20 ore su 24 da una all’altra parte della città, con qualche sosta al bar o alla sala stampa dell’Arsenale e la sera in giro per cocktail e feste, e intorno i veneziani, che ormai abituati si trovano a dover organizzare la propria città ancor più perfettamente affinché riesca a contenere tutte quelle persone.
Il padiglione brasiliano (Awakening/Getty Images)
E così, anche questa Biennale d’Arte è stata inaugurata, alla presenza di 89 partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Vedremo poi come andranno le visite, intanto si può dire che sono presenti 5 nuovi Paesi: Grenada, Mauritius, Mongolia, Repubblica del Mozambico e Repubblica delle Seychelles. Inoltre Ecuador, Filippine e Guatemala ritornano dopo lunghi anni di assenza (in ordine: 1966, ’64 e ’54). Certamente la Biennale è una macchina organizzativa ormai molto ben rodata. Nel 2016 sarà tuttavia inevitabile confrontarla con l’Expo, appena aperto a Milano, per vedere se quest’ultimo sarà capace di tenere testa all’Esposizione Internazionale d’Arte che, oltre all’Arsenale e i Giardini, coinvolge tutta la città con diversi eventi e mostre collaterali (quest’anno 44 ufficiali, ovvero ammessi da Enwezor e promossi da enti e istituzioni internazionali).
A dire il vero, dopo aver visitato la Biennale nei giorni scorsi, possiamo quasi consigliare di dedicarsi con più interesse alle attività e le mostre collaterali rispetto alla Esposizione Internazionale vera e propria.
L’operazione di Enwzor è talmente varia da risultare a volte fin troppo ampia e dispersiva: il tema scelto va oltre le teorie estetiche e indaga il rapporto diretto tra l’arte e lo sviluppo delle realtà umana, sociale e politica
L’operazione di Enwzor, infatti, è talmente varia da risultare a volte fin troppo ampia e dispersiva: il tema scelto va oltre le teorie estetiche e indaga il rapporto diretto tra l’arte e lo sviluppo delle realtà umana, sociale e politica. L’arte è, per il curatore, anzitutto un mezzo d’espressione attraverso cui si affronta la realtà e si trasmette una specifica concezione sul presente. Certo che, se a confrontarsi in questo “Parlamento delle forme”, come Enwezor chiama la sua Biennale di Venezia, sono 136 artisti provenienti da 53 paesi da tutte le aree geografiche del Mondo, ecco che l’intento di creare dialogo rischia di diventare una sovrapposizione di punti di vista, di idee e di tecniche espressive. Si tratta di una Biennale in cui ogni Padiglione si confronta con la sua storia, le sue tradizioni e le trasporta in un’opera (fatta eccezione per alcuni paesi come l’Albania, la Polonia, l’Ungheria e Israele, che riescono a convincere nella propria analisi della realtà). In particolare, tra la mostra “All the World’s Futures” curata da Enwezor nel Padiglione Centrale dei Giardini e l’analogo “Codice Italia” a cura di Vincenzo Trione, ciò che si respira è sovrapposizione: troppi artisti e troppe idee, che si soffocano fra loro.
Il padiglione giapponese (Awakening/Getty Images)
Le mostre in giro per Venezia
Alla Fondazione Prada oltre 80 opere tra il piano terra e il piano nobile esplorano le origini e le funzioni delle riproduzioni in miniatura di sculture classiche
Se tutta questa varietà ai Giardini e all’Arsenale potrebbe disorientare, restano delle chicche imperdibili da vedere in giro per Venezia. La prima è la mostra “Portable Classic”, a cura di Salvatore Settis e Davide Gasparotto, che apre oggi (9 maggio) e prosegue fino al 13 settembre nella splendida Ca’ Corner della Regina, nel Sestiere di San Marco, ad uso della Fondazione Prada: oltre 80 opere tra il piano terra e il piano nobile esplorano le origini e le funzioni delle riproduzioni in miniatura di sculture classiche, un vero e proprio canone artistico che si forma nell’antica Roma e prosegue fino all’Europa moderna. Si tratta di riproduzioni di altre sculture che erano considerate di altissimo valore estetico e di cui un pubblico colto desiderava assolutamente averne una copia anche se di dimensioni più piccole e in materiali diversi rispetto all’originale. Un’altra sezione della mostra è dedicata a importanti figure di collezionisti del Cinquecento, soggetti ritratti ad esempio da Lorenzo Lotto o Tintoretto, quasi sempre in quadri ambientati tra i calchi in gesso provenienti dalle raccolte dello stesso collezionista rappresentato.
Il padiglione greco (Awakening/Getty Images)
La mostra è la parte veneziana di un percorso a tema “copie di opere d’arte” che ha un corrispettivo a Milano nella sede della Fondazione Prada appena inaugurata nel nuovissimo (apre al pubblico oggi, sabato 9 maggio), complesso di 19mila mq in Lago Isarco 2 (zona sud della città). Si chiama “Serial Classic”, sempre a cura di Salvatore Settis ma qui con Anna Anguissola, ed è visitabile fino al 24 agosto. Sono esposte sculture in bronzo, in marmo, ma anche in gesso, originali del I e anche del II secolo a.C (prestiti da diversi musei italiani e non solo). La riflessione che Prada vuole proporre attraverso queste opere è sul tema della serialità e la copia nell’arte classica, in particolare il rapporto ambivalente tra originalità e imitazione nella cultura romana e il suo insistere sulla diffusione di multipli come omaggi all’arte greca.
Nella “Logica del Passaggio” Iorio e Cuomo analizzano i fenomeni d’emigrazione “economica” italiana dal Sud del continente verso il Nord tra la fine degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’60
Alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, fino al 7 giugno, si tiene la mostra “Logica del passaggio”, di Maria Ioirio e Raphael Cuomo, i vincitori del Premio Furla 2015: a cura di Simone Frangi, l’esibizione raccoglie i frutti della prima fase di lavoro sul progetto con cui lo scorso novembre gli artisti si sono aggiudicati il Premio Furla 2015 (il riconoscimento biennale per l’arte contemporanea dedicato ai giovani talenti italiani). La Iorio e Cuomo analizzano il contesto generale dei fenomeni d’emigrazione “economica” italiana dal Sud del continente verso il Nord tra la fine degli anni Cinquanta fino alla metà degli anni Sessanta, cogliendo così il tema della Biennale e raccontando allo stesso tempo una realtà, il “passaggio” dei migranti dall’Italia alla Svizzera: dalle modalità di attraversamento del confine, alle condizioni di lavoro, dallo sfruttamento alle limitazioni di diritti e di mobilità in vista di un permesso di soggiorno lavorativo, fino all’efficiente dispositivo “bio-politico” di controllo sanitario.
Il padiglione svizzero (Awakening/Getty Images)
Alle Gallerie dell’Accademia la prima mostra in Italia realizzata in un’istituzione pubblica dedicata a Mario Merz dopo la sua scomparsa
È stata inaugurata l’8 maggio (fino al 20 settembre), alle Gallerie dell’Accademia, la prima mostra in Italia realizzata in un’istituzione pubblica dedicata a Mario Merz dopo la sua scomparsa (1925-2003): a cura di Bartolomeo Pietromarchi, in collaborazione con la Fondazione Merz e organizzata da Mondo Mostre, “Mario Merz-Città irreale” vuole esplorare il tema dello spazio in relazione alla ricerca artistica dell’artista. Dopo un imponente lavoro di restauro (durato 10 anni e che ha raddoppiato la superficie espositiva), inoltre, questa mostra è la prima e apre al pubblico i nuovi spazi dell’Accademia destinati ad accogliere esposizioni temporanee (www.fondazionemerz.org, www.mondomostre.it, www.gallerieaccademia.org).
(foto Marta Calcagno / Linkiesta)
Ad Arteterminal un esperimento in cui una forma d’arte non convenzionale, come quella della street art, viene messa in relazione con l’illustre tradizione della Biennale di Venezia
Dall’Accademia ad Arterminal, Terminal S. Basilio, Fondamenta Zattere Ponte di Legno: qui inaugura oggi, il 9 maggio, e prosegue fino al 22 novembre, la mostra “The Bridges of Graffiti”, in cui dieci artisti (Boris Tellegen, Doze Green, Eron, Futura, Mode2, SKKI, Jayone, Todd James, Teach, Zero-T ) sono per la prima volta riuniti per realizzare un lavoro di gruppo sui muri dello spazio Arterminal, al quale si aggiungeranno una serie di opere create appositamente per l’evento. L’arte dei graffiti nasce lungo le aree situate ai margini geografici di Manhattan, una zona di frontiera, ma anche “uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite”. Così il nome Arterminal (ovvero Terminal dell’Arte) vuole richiamare alla mente uno dei grandi contributi del porto alla Città: la dimensione internazionale, lo scambio e l’incontro tra diverse culture e quindi anche diverse forme artistiche. Il terminal passeggeri di San Basilio diventa un ponte ideale così che i più importanti contributi alla cultura del graffiti writing ad opera delle generazioni passate possano essere riconosciuti e contestualizzati.
Il padiglione venezuelano (Awakening/Getty Images)
Sposando la validità del progetto, l’Autorità Portuale di Venezia ha collaborato per la sua realizzazione, che riqualifica l’area portuale già aperta alla città e che Venezia Terminal Passeggeri, concessionaria del Terminal, ha investito per produrre l’allestimento architettonico. Un esperimento in cui una forma d’arte non convenzionale, come quella della street art, viene messa in relazione con l’illustre tradizione della Biennale di Venezia. L’allestimento sarà completato dalla creazione di uno spazio caffetteria e di BookShelves dedicati all’esposizione di libri e fanzine sulla storia dei graffiti, spazi realizzati su progetto di Boris Tellegen, artista che da sempre sperimenta con la tridimensionalità e con forme architettoniche nuove (www.thebridgesofgraffiti.com).
Il padiglione giapponese (Awakening/Getty Images)
Un’ultima segnalazione extra Biennale è nascosta in Calle degli Avvocati 3907, citofono Scatturin: qui si trova l’appartamento studio di Luigi Scatturin, avvocato che morì 2009 e lasciò la sua abitazione all’arte. Tutti gli arredi interni sono stati disegnati da Carlo Scarpa, che alla metà degli anni Cinquanta progettò integralmente i 250 metri quadrati della casa all’ultimo piano di un edificio del XVII secolo. Scarpa e Scatturin si intendevano sotto diversi aspetti e passioni, e il loro scambio intellettuale è alla base del progetto espositivo “Signori prego si accomodino”, che trova sede nell’appartamento secondo la curatela di Jeraldine Blais Zodo e Pier Paolo Pancotto. Opere di Nico Vascellari, Giorgio Andreotta Calò, Hope Atherton, oltre a Patrizio di Massimo, Claire Fontaine, Nicola Martini, Yuri Ancarani, Lili Reynaud Dewar, Emanuel Rohss, Angelo Sassolino e Morgane Tschiember si trovano esposte tra gli arredi della casa e la vivono in modo nuovo ma allo stesso tempo perfettamente armonico (www.labiennale.org).