Le mani di Milano

Le mani di Milano

Quando avevamo pensato di dedicare il nostro speciale domenicale a Milano, lo avevamo fatto motivati dall’idea di raccontare il vero o presunto rinascimento della città in cui ha sede la nostra redazione e in cui buona parte di noi vive, lavora, ha studiato. Una città che è stata la capitale industriale del Paese e che oggi non ha più un’industria, o quasi. Una città che ne è stata “capitale morale”, prima di diventare, tra il 1992 e 1994, Tangentopoli, la città del malaffare per antonomasia. Una città anomala, epicentro di ogni fenomeno politico nuovo – dal fascismo al socialismo riformista, dal leghismo al berlusconismo, sino alla “sinistra arancione” di Pisapia -, che non ha mai avuto un sindaco democristiano. Una città che non è mai stata metropoli, ma si è sempre sentita tale. 

Una città, soprattutto, all’inizio di un periodo fondamentale della sua vita. Le trasformazioni urbane, la nuova skyline, gli investimenti degli emiri, il Milan e l’Inter in mano a magnati estremo orientali. E poi, l’Expo, che – in potenza, perlomeno – metterà Milano al centro del mondo nei prossimi sei mesi, portando uomini d’affari, politici e turisti da tutto il mondo, a calcare le strade di questo piccola grande anomalia urbana a cerchi concentrici. E le elezioni comunali che seguiranno, nel 2016. Quelle, si spera, della ripresa. In cui a Milano non basterà crescere, ma dovrà anche prendersi il compito di trainare il resto della regione, il nord, l’Italia.

Poi, sabato pomeriggio, i black bloc hanno messo a ferro e fuoco la città e la narrazione della grande anomalia poteva essere già vecchia. Al suo posto, quello di una città ferita e impaurita, come quel giorno di qualche settimana fa, in cui un uomo ha fatto fuoco dentro un aula di tribunale, uccidendone altre quattro. Non è stato così. Milano reagisce, non sta mai con le mani in mano, come dice quel piccolo inno popolare che ne definisce da sempre l’indentità. Ecco i milanesi che già dalla sera degli scontri escono nelle strade per ripulirle dal caos. Un esempio, quest’ultimo, di una città che lascia i piagnistei e le retoriche vuote agli altri. Che si rimbocca le maniche. Che sa ripartire, sempre.

Quando avevamo pensato di racoontare e celebrare Milano non sapevamo nulla di tutto questo. Ora che lo sappiamo, siamo ancora più felici nel farlo.

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