Thomas Peterffy capisce di essere portato per gli affari a dodici anni. Sono i primi anni ’50, in una Budapest sotto il controllo comunista che da lì a poco diventerà protagonista della rivoluzione ungherese e un amico di Thomas torna da un viaggio in Austria con qualcosa di prezioso, qualcosa che non era non né concesso né permesso: un pacchetto di gomme da masticare alla frutta.
Thomas capisce subito che cosa ha in mano: un affare. Prende ogni singola gomma del pacchetto, la taglia in cinque e la rivende ai compagni di scuola, con un ricavo del 500%.
È la prima volta che Thomas «comprava basso e rivendeva alto», uno dei mantra del settore in cui sarebbe diventato famoso: la finanza.
L’obiettivo era abbandonare l’Ungheria e rifugiarsi nella terra del capitalismo
Qualche anno dopo, Thomas ottiene un breve permesso per andare a visitare dei lontani parenti nella Germania dell’Ovest. E appena arrivato in Germania coglie immediatamente l’opportunità per fare richiesta di asilo negli Stati Uniti. L’obiettivo è quello di abbandonare per sempre l’Ungheria sovietica dove, solo pochi anni prima, il regime comunista aveva represso con la violenza una rivolta e rifugiarsi nella terra del capitalismo. Un posto in cui Thomas si sarebbe trovato molto bene.
Nel 1965 Thomas arriva negli Stati Uniti e dopo un periodo da ingegnere mette le mani sull’oggetto che gli cambierà la vita: un computer. È l’alba dell’era dell’informatica ma nonostante i computer stessero invadendo gli uffici di mezza America, pochissimi sapevano cosa farsene veramente. Thomas si offre volontario per scoprirne le potenzialità. Si immerge nei manuali e impara molto velocemente non solo tutto quello che c’è da sapere sui computer ma anche su come funzionano e su come si possono scrivere comandi per fargli fare cose nuove.
In tre anni, passando per un lavoro per un’azienda che aiuta le società di Wall Street a installare questi nuovi computer, Thomas impara tutto quello che c’è da sapere sulla programmazione. E diventa uno dei migliori tra i, seppur pochi, programmatori di Wall Street. A cosa serve un programmatore a Wall Street alla fine degli anni Sessanta? A poco, ma ancora per poco.
In quegli anni, non c’è spazio per la tecnologia in borsa: gli ordini — il classico compra o vendi — vengono dati a voce a degli incaricati che segnano l’acquisto o la vendita in un registro. Thomas, però, viene assunto da qualcuno che vuole cambiare le cose: Henry Jarecki. Jarecki chiede a Thomas di sviluppare per la sua società di trading uno dei primi black box: un modello matematico che, partendo dai dati di mercato, è in grado di dare indicazioni su come comportarsi. Un algoritmo.
Nessuno ancora lo sa, ma Wall Street è il posto perfetto per gli algoritmi
Nessuno ancora lo sa, ma Wall Street è il posto perfetto per gli algoritmi. Le decisioni sono prese a partire da una molteplicità di dati complessi che vengono elaborati, messi in correlazione e valutati in base a molti fattori. Ma poi l’ouput finale è quanto di più semplice un computer possa produrre: una scelta binaria tra compra e vendi. 0 o 1.
All’inizio degli anni Settanta, la finanza comincia però a scoprire le opzioni.
Le opzioni, per farla semplice, sono contratti che danno il diritto di comprare un certo titolo a un certo prezzo in un certo giorno. Esattamente come per i titoli, queste opzioni hanno un valore, che sale e scende seguendo il movimento del mercato finanziario. Thomas e Jarecki lavorano a un modello per calcolare il valore di queste opzioni. Ci vuole più di un anno di lavoro ma Thomas riesce a costruire un algoritmo che predice in modo affidabile il valore reale delle opzioni, dando un vantaggio incredibile alla società di Jarecki.
L’ungherese capisce che qualcosa sta cambiando e che, grazie ai suoi algoritmi, può guadagnare in borsa lavorando praticamente da solo
Nel 1973, poi, due professori dell’università di Chicago pubblicano una ricerca con formula che cambierà Wall Street. Si chiama formula di Black e Scholes, calcola il valore delle opzioni ed è incredibilmente simile a quella progettata da Thomas oltre un anno prima. L’ungherese capisce che qualcosa sta cambiando e che, grazie ai suoi algoritmi, può guadagnare in borsa lavorando praticamente da solo. E così fa. Si licenza e inizia la sua carriera da hacker della borsa. Una carriera che parte molto in salita.
Un ungherese in borsa
Nel 1977, con circa 200mila dollari messi da parte dal suo lavoro, Thomas si compra un posto alla American Stock Exchange, una delle borse valori più importanti degli Stati Uniti. È un uomo solo in un territorio sconosciuto, ma è armato. Non potendo portarsi i suoi computer direttamente in borsa, Thomas si porta almeno i risultati: un raccoglitore con i risultati aggiornati, giorno dopo giorno, dei calcoli fatti dai suoi algoritmi con le indicazioni su quando comprare e quando vendere.
Il primo giorno all’American Stock Exchange non va benissimo: il raccoglitore è troppo grosso e Thomas non riesce neanche ad aprirlo, schiacciato a fianco a fianco degli altri investitori. Allora modifica i risultati, riducendoli a qualche foglietto che poteva piegare e tenere in tasca. Dopo qualche errore da principiante (a un certo punto perde in un colpo solo oltre 100mila dollari, più di metà del suo capitale iniziale) le cose cominciano ad andare bene. E ben presto comincia ad avere bisogno di più persone, che applichino il suo stesso metodo — o, meglio, quello dei suoi algoritmi — a più azioni.
Belle donne e tablet
Dopo aver assunto qualche assistente, Thomas si accorge di un problema. I suoi algoritmi avevano eliminato la componente umana da una parte dell’equazione della borsa — quella decisionale — ma non potevano fare nulla per l’altro lato: quello pratico dell’acquisto e della vendita delle azioni. Thomas era un immigrato ungherese che, anche dopo anni negli Stati Uniti, parlava ancora inglese un forte accento. Non era esattamente a suo agio in mezzo agli altri ricchi investitori della American Stock Exchange né riusciva a passare inosservato. E gli operatori di borsa che dovevano prendere i suoi ordini non amavano particolarmente avere a che fare con lui, tanto che a volte fingevano di non vederlo e non piazzavano i suoi ordini. Così, Thomas iniziò ad assume qualcuno che gli operatori non avrebbero potuto non notare: le più alte e belle donne che riusciva a trovare. Le cose per i suoi affari, naturalmente, cambiarono molto in fretta.
Thomas arrivò persino a progettare un precursore dei tablet
Per dare ancora più vantaggio ai suoi operatori, Thomas arrivò persino a progettare un precursore dei tablet. Più simile a una calcolatrice che a un iPad, era uno scatolotto di plastica che eseguiva i calcoli del suo algoritmo in tempo reale, dicendo con delle lucine colorate montate in cima se a un determinato prezzo un’azione andava comprata o venduta.
Un bel passo avanti, che fece guadagnare molti soldi a Thomas, molto in fretta. Il circuito, però, non era ancora chiuso: oggi la borsa è controllata da enormi algoritmi che decidono in completa autonomia quando comprare e vendere, senza nessuna necessità di passare da un essere umano che piazzi gli ordini. Anche in questo campo, Thomas è stato un precursore.
Hack the Nasdaq
Il Nasdaq è il primo terreno di prova che porterà alla rivoluzione dei computer nella borsa. Nel 1987, infatti, il Nasdaq diventa la prima borsa valori completamente elettronica e gestita da terminali. Questi terminali però non sono progettati per eseguire algoritmi, possono solo ricevere informazioni e inviarle. Eliminano la necessità di avere a che fare con gli operatori, permettendo di inviare l’ordine direttamente al sistema, ma continua a servire una persona che li invii questi ordini.
Thomas allora fa quello che ha fatto fino a questo momento: aggira le regole. Innova, direbbe qualcuno.
Thomas allora fa quello che ha fatto fino a questo momento: aggira le regole. Innova, direbbe qualcuno. Prende il terminale del Nasdaq, lo apre, lo smonta e lo collega a un altro computer, il suo. Il circuito è chiuso: il computer riceve le informazioni, le elabora seguendo un algoritmo e piazza gli ordini, senza nessun intervento umano.
Ma c’è un problema: gli ordini inviati dal computer sono troppi e qualcuno al Nasdaq si fa qualche domanda. Ben presto un ufficiale della borsa valori si presenta all’ufficio di Thomas e chiede di vedere come vengono inviati gli ordini. Thomas gli mostra il suo computer IBM e l’ufficiale non è per niente contento e dice a Thomas che gli ordini devono essere inviati dal terminale ufficiale tramite tastiera, esattamente come fanno tutti gli altri operatori Nasdaq. Da a Thomas una settimana per conformarsi alle regole.
Sei giorni dopo l’ufficiale ritorna a visitare gli uffici di Thomas e trova il terminale Nasdaq in una strana condizione: davanti allo schermo c’è una specie di telecamera e sopra alla tastiera c’è uno strumento che schiaccia i tasti in autonomia, come i martelletti del pianoforte battono le corde. A controllare il tutto, un computer. La camera leggeva i caratteri sullo schermo, il computer elaborava i dati e la macchina sopra la tastiera li inviava. Thomas e i suoi ingegneri avevano costruito una macchina che faceva esattamente lo stesso lavoro del computer di una settimana prima, rispondendo alla lettera alle richiese del Nasdaq. L’ufficiale se ne andò sdegnato e Thomas aspettò per ore, poi giorni e poi settimane una telefonata dal Nasdaq che lo intimasse dal fermarsi. Quella telefonata, però, non arrivò mai.
Bisognerà aspettare ancora qualche anno, ma negli anni Novanta il Nasdaq si adeguerà alle innovazioni e permetterà finalmente agli operatori di borsa di collegarsi al sistema senza terminali, dando il via ufficiale all’era del trading elettronico.