C’è una foto che ha fatto il giro del mondo. L’ha scattata il danese Mads Nissen e ritrae un momento di intimità di una coppia gay, a San Pietroburgo. Ha vinto il World Press Photo, probabilmente il massimo riconoscimento internazionale per il fotogiornalismo. E c’è una serie tv, House of Cards. Nella terza stagione un attivista omosessuale americano, Michael Corrigan, viene arrestato a Mosca per le manifestazioni contro le leggi anti-gay volute dal presidente Petrov – alias Vladimir Putin – e la first lady degli Stati Uniti, Claire Underwood, mentre il marito discute di equilibri internazionali con lo stesso Petrov, cerca di assicurarne il rilascio, convincendolo a firmare una lettera di scuse (spoiler – la missione andrà malissimo e Corrigan si suiciderà in carcere).
La Russia non è certo la patria ideale per gli omosessuali, anzi negli ultimi tempi le maglie per i movimenti si sono fatte sempre più strette
La Russia non è certo la patria ideale per gli omosessuali, anzi negli ultimi tempi le maglie per i movimenti si sono fatte sempre più strette. Ma, più in generale, a venticinque anni di distanza dalla fine della guerra fredda in Europa, tra Est ed Ovest è rimasta un’invisibile cortina di ferro, in materia di diritti civili.
Esempio: oggi nella cattolicissima Irlanda si vota un referendum costituzionale sull’equiparazione fra matrimonio eterosessuale ed omosessuale. A Dublino è già in vigore una legge sulle unioni civili, ma ora i cittadini devono esprimersi sull’inclusione di una frase specifica nell’articolo 41 della Costituzione, quello che regolamenta l’istituto della famiglia: «Il matrimonio può essere contratto secondo la legge da due persone, senza distinzione di sesso». In Ungheria, d’altro canto, ha fatto rumore il caso di un ragazzo italiano, Andrea Giuliano, perseguitato e minacciato di morte da gruppi di estrema destra perché gay (il caso è arrivato fino al Parlamento europeo).
Basta leggere il rapporto Rainbow Europe, appena uscito, e pubblicato ogni anno da ILGA Europe, una piattaforma che riunisce ben 422 organizzazioni non governative LGBTQ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgendered, Questioning) per vedere fotografata questa frattura tra Occidente ed Oriente. Il report stila una graduatoria della condizione di gay, lesbiche, bisessuali e transgender, a seconda della capacità di uno Stato di soddisfare determinati criteri in sei aree tematiche, che vanno dalle leggi anti-discriminazione ai riconoscimenti di genere, dalla libertà di espressione e associazione alla punizione dei cosiddetti hate speech (l’incitamento all’odio), dai matrimoni gay alle politiche di asilo.
Quattordici dei primi quindici Paesi in classifica sono occidentali. In testa c’è il Regno Unito, dove non solo sono stati introdotti i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma le scuole hanno ospitato molte iniziative per combattere l’omofobia e la transfobia. Dopo Londra, c’è il Belgio. Il balzo in avanti più significativo, fino al terzo posto, è di Malta, il primo Stato europeo ad avere bandito costituzionalmente le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Nel 2014, inoltre, il governo di La Valletta ha legalizzato le unioni omosessuali – compreso il diritto ad adottare minori – e ha deciso di consentire il cambio di genere e documento d’identità senza sottoporsi all’intervento chirurgico e senza la necessità di un parere medico o della sentenza di un tribunale (basterà un atto notarile). Mosse significative, per un Paese molto cattolico, in cui l’aborto è vietato e il divorzio è stato introdotto, tramite referendum, solo nel 2011.
L’Italia è piuttosto indietro: trentaquattresima, tra Polonia e Lituania
Altri Paesi che hanno scalato la graduatoria di Rainbow Europe sono la Finlandia e il Lussemburgo. Passo indietro, invece, per Ungheria e Spagna (che pure nella classifica generale si trova al sesto poso). L’Italia, invece, è piuttosto indietro: trentaquattresima, tra Polonia e Lituania. Il rapporto cita i tentativi di alcuni sindaci di registrare le unioni civili, fa riferimento a sentenze, contraddittorie, in materia di adozioni, e sottolinea come la promessa di un intervento legislativo del governo su questa materia non sia stata ancora mantenuta.
I Paesi nordici occupano buona parte della top 15, dove non compare, invece, l’Est. L’unica eccezione, nell’Europa che fu comunista, è la cattolica Croazia, che si piazza al quinto posto, persino davanti a tradizionali bastioni del progressismo come Norvegia, Danimarca e Olanda. A Zagabria, infatti, non solo sono state riconosciute le unioni tra persone dello stesso sesso – anche se l’adozione è stata esclusa – ma si è stabilito che il cambiamento di genere, come a Malta, possa prescindere da interventi chirurgici e cure ormonali. Inoltre, la libertà di espressione è in continua crescita: ILGA Europe fa cita i numerosi gay pride tenutisi in varie città della Croazia, una delle principali cartine di tornasole dei diritti, secondo le associazioni della piattaforma.
Non sembra che in Europa orientale i diritti gay siano una priorità
D’altra parte, i governi sono lo specchio delle rispettive società: non sembra, infatti, che in Europa orientale i diritti gay siano una priorità e manca una domanda di questo tipo proveniente dal basso. Prevale l’indifferenza (e, in alcuni casi, l’omofobia). Secondo un sondaggio del Pew Institute, realizzato nel 2013, 74 russi su cento pensano che l’omosessualità non dovrebbe essere accettata dalla società. All’interno dell’ex Patto di Varsavia, poi, c’è un ulteriore muro, quello tra i Paesi che guardano all’Europa, e sono già entrati nell’Unione – la Croazia lo ha fatto nel 2013 – e gli altri che, invece, restano parecchio lontani da Bruxelles, come l’Armenia, la Bielorussia, la Russia e l’Azerbaigian. Stati che – occorre riconoscerlo – hanno un problema di limitazione delle libertà individuali che va al di là della questione dei diritti civili. Il fanalino di coda nella classifica di Rainbow Europe è proprio l’Azerbaigian, una delle società più illiberali del continente. L’influenza di Mosca, aggiunge il rapporto, si estende anche alle regioni dell’Ucraina orientale contese tra il governo di Kiev e i ribelli filorussi. Non è un caso che la prima repubblica dell’ex Unione Sovietica ad avere riconosciuto le unioni dello stesso sesso sia stata l’Estonia, un Paese filo-americano e molto ostile alle politiche di Vladimir Putin.
La classifica completa di Rainbow Europe